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giovedì 9 aprile 2015

Da oltre un secolo "rompono" con i fermenti e la standardizzazione

fonte: http://www.ruralpini.it/saperi(08.04.15)-La-secolare-battaglia-dei-fermenti.html

(08.04.15) È da oltre un secolo che i tecnocrati hanno ingaggiato la loro battaglia di esproprio dei saperi rurali e di imposizione della standardizzazione al formaggio bitto. Oggi abbiamo capito che l'igiene, il "progresso" non c'entrano. C'entra il controllo industriale totalizzante sulle filiere produttive

Da oltre un secolo "rompono" con i fermenti e la standardizzazione




Oggi, quando il bitto storico ha almeno parzialmente vinto la sua battaglia per evitare l'omologazione di metodi produttivi secolari ad una "modernizzazione" coatta, possiamo guardare al passato con più serenità e ricostruire una vicenda lunga un secolo. Una storia che ha visto i tecnocrati e le istituzioni, prima qualificare come inadeguata una produzione che si era fatta una grande reputazione da secoli, poi cercare di uniformare il prodotto alle tecnologie "razionali" del caseificio industriale. Un modo per arrivare a produrre durante tutto l'anno, in grossi caseifici, un formaggio leggendario che deve le sue caratteristiche peculiari all'alpeggio


Come forse i nostri lettori sapranno il formaggio Branzi, sino ai primi decenni del Novecento era era così chiamato perché nella località di Branzi in alta val Brembana  "[...] ricorre ogni anno una famosa fiera di formaggi, dove sono messi in vendita i prodotti di tutte le Alpi della Valle Brembana, e di gran parte della Valle Seriana e della Valtellina". Si trattava di formaggio grasso d'alpe prodotto anche sugli alpeggi della val Tartano e della stessa valle del Bitto che, in base alle descrizioni dei tecnici di inizio Novecento era molto simile all'attuale Bitto. Il "Branzi" era, infatti un formaggio duro a pasta cotta destinato alla stagionatura.
Nonostante la fama del Branzi/Bitto i tecnocrati dell'epoca avevano da ridire. Forte era il loro pregiudizio contro i bergamini (malghesi) produttori del Bitto/Branzi. Essi erano allevatori-casari transumanti che continuavano a fare la spola tra la pianura e la montagna e non andavano a genio alle "Istituzioni agrarie". Tanto che con giudizi tanto faziosi quanto ingenerosi li consideravano inadeguati, sia come allevatori che come casari (peccato che il loro bestiame e il loro formaggio - come dovevano riconoscere i tecnocrati a denti stretti - era ben commerciabile).

un casaro d'alpeggio del XV secolo: si sono secolo e millenni d'esperienza dietro le tecniche dei "casari ignoranti" disprezzati dai tecnocrati


"Non sanno né allevare né caseificare"

Il "nomadismo" era vissuto com un "disordine" dagli enti agricoli del tempo ovvero le Cattedre ambulanti (espressione istituzionale anche se non ancora ministeriale come divenne in seguito a partire dagli anni Venti). Essi, come del resto gli "scrittori" di cose agrarie (tutti di estrazione aristocratica o borghese) ne auspicavano già dalla metà dell'Ottocento (con Stefano Jacini) la "fissazione".
Lo Scalcini, direttore della Cattadra ambulante di agricoltura delle Valli bergamasche, nella relazione sull'attività della Cattedra stessa nel periodo 1906-1913 (Bergamo,1913)non nascondeva la sua poca simpatia per i bergamini che qualifica: "allevatori quanto mai primitivi" e vedeva nell'azione illuministica di "innalzamento intellettuale" della Cattedra un mezzo per facilitare la loro sedentarizzazione o al piano o in montagna (purché si fissassero...).

[...] noi abbiamo creduto che a facilitare questa trasformazione del mandriano in un allevatore a dimora stabile avrebbero potuto contribuire anche le nostre istituzioni agrarie, cercando di elevare la sua istruzione tecnica e, per conseguenza diretta, anche le sue condizioni economiche; di che per noi è pacifico che se i mandriani si assoggettano ancora alla loro attuale, dura vita, gli è per la semplice ragione che non hanno i mezzi di fare altrimenti

Ovviamente non era vero niente. I bergamini incarnavano una cultura "altra" da quella borghese e delle classi rurali "umili e sottomesse". Vestivano alla montanara perché preferivano investire nel bestiame e tesaurizzare. Erano tanto "pezzenti" che sono riusciti ad acquistare i fondi in pianura.  Oggi ci rendiamo che era lo spirito indipendente dei bergamini a risultare antipatico ai tecnocrati. Questi ultimi cercavano in ogni modo di favorire i "casalini" (i piccoli contadini-allevatori stanziali) promuovendo associazioni e consorzi di alpeggio e suscitando la concorrenza di queste aggregazioni a danno dei transumanti affittuari degli alpeggi. I "casalini" impersonavano il contadino sottomesso, senza orgoglio, che si vergogna di essere tale ed è più facilmente manipolabile dalle classi elevate e dai loro rappresentanti intellettuali, tecnici, burocratici.

Il formaggio deve essere "migliorato" (come il bestiame)

La preoccupazione dei tecnocrati consisteva nell'auspicio di  un "miglioramento" zootecnico caseario che coincidesse con le loro vedute preconcette. A loro (ieri come oggi) importava più che altro che fossero le loro scelte e il loro controllo a determinare gli indirizzi tecnici. Oggi sappiamo che in campo zootecnico gli errori dei tecnici furono clamorosi. L'imposizione autoritaria dei tori svizzeri (con la carota dei premi e il bastone della negazione dell'autorizzazione alla monta dei tori da parte dalle commissioni) era motivata più da preconcetti formalisti che da precisi indirizzi funzionali di miglioramento e, tra le due guerre, si impose un tipo di Bruna di diretta derivazione svizzera eccessivamente pesante e con eccessiva attitudine alla carne (carattere desiderato dagli svizzeri per assicurarsi, in vista dei venti di guerra del tempo, una buona autosufficienza).

Serina (Bg). Fiera del bestiane, anni Quaranta. Molta carne

Ma nel 1928 fu una vacca dei bergamini (di nome "Regina"), di tipo decisamente diverso da quello svizzero a battere sul filo di lana , vaticinio dei nomi, dopo aver vinto per tre anni consecutivi nelle mostre casalinghe alla Fiera-esposizione di Milano, con la produzione di 67 litri di latte in due giorni, conquistò il titolo di «Regina del latte» battendo, sia pure sul filo del rasoio, una Pezzata nera olandese. Era la prima volta che una Bruna Alpina montanara otteneva una simile affermazione. Poi proseguì l'ortodossia svizzerofila che comportò anche inconvenienti non da poco quando venivano vendute (o per meglio dire rifilate) indumping (con il sussidio federale) bovine da "risanamento".

La Regina dei bergamini. Molto latte ma animale di forme raccolte e sviluppo moderato compatibile con la montagna

Distrutto il ceppo di Bruna dei "primitivi e ignoranti" bergamini la razza si consegnò senza colpo ferire all'incrocio di sostituzione con la Brown Swiss, decisamente più lattifera. Siamo ormai in anni a noi vicini (fine anni Sessanta-inizio anni Settanta).  Questa volta i tecnocrati imposero qualcosa che era all'estremo opposto delle loro scelte precedenti e che non mancò di rivelarsi un errore clamoroso. Hanno guadagnato i commercianti di seme congelato, di mangimi, di farmaci.
Il montanaro trovandosi con vitelli di valore nullo si è dovuto arrangiare con l'incrocio industriale (usando seme di tori da carne); poi ha inizato a incrociare le vacche e l'attuale babele di razze e incroci in totale o parziale sostituzione di una Brow Swiss che non è adatta alla montagna è una Caporetto zootecnica. Tutto grazie ai tecnici. Che hanno sempre dimostrato di non avere per finalità il "progresso zootecnico e caseario" ma gli interessi dell'industria, di un sistema economico che voleva fare a meno di contadini indipendenti, che voleva materie prime a vile prezzo (latte, carne) e rendere completamente dipendenti dal mercato (sia dal punto di vista dell'acquisto degli input, che della cessione degli output) i produttori.
Il mercato capitalistico premia la specializzazione e aborriva dai bergamini autosufficienti che erano allevatori, casari, commercianti.  Ai tecnici piace la specializzazione e la quantità perché il produttore agricolo è poi costretto a cedere il suo unico prodotto (di cui non sa cosa fare altrimenti) accettando "con le mani dietro la schiena" un vile prezzo.

Un modello che reléga l'allevatore a dipendente del sistema industriale

In nome dell'igiene e della standardizzazione l'economia industriale ha puntato a concentrare l'attività di trasformazione agricola in poche unità di produzione.
Nei formaggi un passo decisivo per la standardizzazione è l'impiego di "innesti selezionati", ovvero di disciplinatiuniformati e prevedibili batteri lattici. Che si sostituiscono alla variegata, così intollerabilmente biodiversa, microflora spontanea con i suoi ceppi "selvaggi", i lieviti, gli eterofermentanti. Con una microflora disciplinata si possono applicare schemi di produzione relativamente costanti (tanto caglio,tanto tempo, tanta temperatura). Le lavorazioni diventano riproducibili, non c'è più bisogno delle competenze dei "mastri casari". Il sapere viene trasferito nei macchinari, nel capitale e viene sottratto alle persone. Alla fine il casaro diventa un supervisore che schiaccia i bottoni. Un secolo fa questi sviluppi erano embrionali in pianura mentre in montagna si era anni luce distanti da questo modello "razionalizzato". Il già citato Scalcini, però, nella Relazione sull'attività della Cattedra ci informa che:

...sempre per i miglioramento del branzi la cattedra ha coadiuvato il chiarissimo professor Gorrini della reggia scuola superiore di agricoltura di Milano in una sua esperienza di semina di fermenti selezionati, eseguita, nel 1909, sull'Alpe Ponteranica in comune di Mezzoldo. l'esito di queste prove è stato soddisfacente, in quanto che ne formaggi fabbricati con riferimenti si riscontrò una perfetta conservazione della pasta e un sapore delicato ed ottimo; mentre le forme di confronto, lavorati nelle stesse condizioni, ma senza fermenti, presentavano varie pecche. Pur riconoscendo la necessità di altre prove su più larga scala, si è però già incoraggiati a sperare che il brand si possa trovare nell'uso dei fermenti selezionati un mezzo molto efficace di miglioramento, specialmente per arrivare alla uniformità del tipo.

Un entusiasmo che pare eccessivo considerando che le prove di utilizzo di innesti selezionati nella lavorazione del Bitto (nel frattempo il Branzi non era più prodotto in alpeggio ma in caseificio) furono riprese dopo ottant'anni (Cavallotto G., Giangiacomo R., Carini S. Il formaggio Bitto: tecnologia, composizione e caratteristiche reologiche e di colore in il Latte, 13 -1988 -726-733). La finalità era sempre quella della "uniformazione" del prodotto.
In quei tempi non si nascondeva l'idea di seguire la strada di altri prodotti e di produrre un Bitto "migliore", lontano dagli alpeggi, in moderni e razionali "caseifici moderni".
Questo programma, era stato enunciato in un articolo su "Il formaggio bitto" apparso sulla rivista dell'Ispettorato agrario provinciale di Sondio (G.Delforno, A. Fondrini in   Rezia agricola e zootecnica n. 5 maggio 1976). Gli autori, dopo aver auspicato che "si provvedesse ad apportare alcune modifiche nei tradizionali, e talvolta irrazionali, metodi di lavorazione, nonché e a curare maggiormente l'aspetto esteriore e la confezione del prodotto finito" indicavano questa soluzione:

tutto ciò si potrebbe ottenere, ad esempio, con la costituzione di alcuni moderni caseifici nella zona, che- disponendo di maggiori quantitativi di latte da lavorare ed adottando più razionali procedimenti di fabbricazione- potrebbero non solo produrre reddito tutto l'anno, ma anche conseguire quei miglioramenti produttivi e merceologici, che sono compatibili con i recenti progressi raggiunti in ogni campo dall'industria lattiero casearia del nostro paese

Generazioni di studiosi di caseificio erano arrivate alla conclusione che la qualità di un prodotto artigianale poteva migliorare solo con l'adeguamento ai progressi della tecnologia industriale.
Ancora una volta un abbaglio colossale, smentito anche dalle successive generazioni di tecnici e ricercatori che hanno dovuto ammettere - sia pure solo di recente - che è superiore il prodotto artigianale, realizzato da mani esperte e con una materia prima ben diversa da quella di cui può disporre l'industria (latte anestetizzato e pastorizzato di vacche pompate di mangimi e integratori).

Una rivincita per i bergamini e per quelle "teste dure" refrattarie alla manipolazione dei tecnici e dei politici come Paolo Ciapparelli che ha saputo far rivivere una cultura di "autonomia rurale e contadina" pur essendo un "venditore di piastrelle" (in realtà proprio grazie a questo e alla possibilità di sfuggire ai condizionamenti, manipolazioni, piccoli e grandi ricatti che gli "agricoli" hanno troppo spesso accettato di subire).


Galà delle Alpi 50 anni AIS con bitto storico

Galà delle Alpi Le eccellenze (quelle vere) dell’arco alpino al Muse di Trento



Sabato 11 aprile 2015 è una data da segnare sulle agende di ogni appassionato di cultura del cibo e del vino: AIS Trentino, infatti, in occasione dei festeggiamenti per il 50° Anniversario dell’Associazione Italiana Sommelier, propone una degustazione che può dirsi davvero unica nel suo genere. Nelle sale del  MUSE di Trento, i fortunati partecipanti godranno di un’irripetibile verticale del Bitto Storico, uno dei più grandi formaggi del mondo: 2012, 2011, 2010, 2009, 2008, 2007, 2006, 2005, 2004, 2002, 2000 … un viaggio a ritroso nel tempo grazie ad un formaggio straordinario, il Bitto, che può resistere al trascorrere del tempo come pochi altri. Assaggiare un Bitto del 2000 è un’esperienza che pochi avranno il piacere di vivere, talmente rare le forme ancora disponibili. Ad accompagnare questa perla della produzione casearia alpina, le Eccellenze delle Cantine Ferrari di Trento e dell’azienda Nino Negri di Chiuro, Valtellina. Perlè 2006 Magnum, Perlè Nero 2006, Riserva Lunelli 2006 per aprire le danze, e poi tre grandi annate di Giulio Ferrari Riserva del Fondatore (2000 – 1994 – 1989), tutte da formato Magnum. Dalla cantina storica della Nino Negri uscirà prima un Valtellina Superiore Vigneto Fracia 2007 da Magnum, per chiudere con le annate 2009 – 2002 – 2001 – 1999 – 1998 del Valtellina Sfursat 5 Stelle, tutte da formato Magnum.
L’appuntamento è al MUSE di Trento, sabato 11 Aprile 2015 alle ore 17.00: i posti a disposizione sono in esaurimento, per informazioni scrivere a info@aistrentino.it o telefonare a 348 1486308.

Bitto storico. Successo da non credere...

Due settimane fa Paolo Ciapparelli, presidente del consorzio bitto storico si è recato in Canton Ticino ad un evento organizzato dal movimento politico "Montagna Viva" , impegnato nella campagna per le cantonali parlare dell'esperienza del bitto. "Una bella esperienza" aveva commentato Paolo "E' bello vedere come in Svizzera nelle campagne elettorali si parli di problemi concreti, ed è stato bello parlare in dialetto in un evento politico". In questi giorni sul sito agriticino è apparso un post che commenta la serata. Oltre a confermare l'interesse degli amici ticinesi per l'esperienza del bitto storico (anche loro hanno un formaggio d'alpe dop) il resoconto è interessante perché riferendo della vendita di bitto storico a Hong Kong l'articolista precisa che i dollari locali valgono un sesto e che quindi i 380 dollari citati da Ciapparelli erano in realtà 63. 



Ma i dollari di Hong Kong in questione erano 2.500. Si fa fatica a credere che un formaggio riesca a essere venduto a certi prezzi. Ma il bitto storico è l'unico formaggio al mondo (escluso il rarissimo formaggio d'alce svedese) a raggiungere certe quotazioni. Segnando una tappa miliare nella valorizzazione di un prodotto che, esattamente come il vino, si divide in prodotto industriale e capolavoro artigianale. 






Un esempio dalla Valtellina: la valorizzazione del Bitto “storico”

Pubblicata il 06-04-2015

La Valtellina, come noto, è la patria del “Bitto”, un formaggio del tutto speciale, la cui particolarità principale sta nella lunghissima conservazione, che arriva anche a 12-13 anni. Naturalmente ciò richiede una molto cura, tipo quella del vino. Le forme infatti, dopo alcuni mesi di stagionatura “in orizzontale”, vengono sistemate verticalmente e girate di un quarto alla volta, un po’ come le bottiglie di una “grande cuvée”.
Se n’è parlato recentemente al Caseificio di Airolo, in occasione di un incontro promosso dall’associazione politica MontagnaViva. Il relatore Paolo Ciapparelli – ha messo l’accento sul fatto che questo formaggio, prodotto con latte misto di vacca e di capra, appena munto – rigorosamente a mano – è lavorato anche a più di 50 gradi C. La  sua disponibilità è limitata. La dozzina di alpi che lo producono, ne “sfornano” in tutto meno di 2'000 forme all’anno. Pur considerando le grandi dimensioni - 12-14 kg l’una – non si può certo parlare di produzione di massa.
Eppure - grazie al sostegno dell’associazione “Slow food”, che mira alla promozione di prodotti genuini - il reddito dei produttori è lievitato. Un certo numero di forme viene esportato all’estero, perfino oltre-oceano, dove viene venduto a cifre elevatissime. Ad Hong Kong, ad es., un chilo di questo formaggio sarebbe pagato addirittura… 380 dollari! Pur considerando che il “dollaro” di Hong Kong vale solo 1/6 di quello americano, è pur sempre… un bel pagare.
La genuinità del prodotto è assicurata anche dal fatto che vacche e capre sono nutrite esclusivamente di erba. Mangimi e farinacei sono banditi, ed è ciò che fa la differenza rispetto ad altri formaggi che portano lo stesso nome ma che sono di altro genere e non entusiasmano i consumatori. Per difendere il prodotto tipico, è pure stato trovato un “modus vivendi”  con le autorità, in modo che ad es. le norme igieniche vengano applicate… “cum grano salis” (significativo il fatto che dai caseifici l’acciaio, elemento-cardine dell’asetticità, sia escluso).     
L’evoluzione citata consente dunque ai responsabili della produzione in parola di trovare senza problemi il personale che ancora si adatta a svolgere il lavoro necessario in condizioni di vita non sempre ottimali, scongiurando così il pericolo di chiusura di questa attività. Attorno ad essa si è pure sviluppata una marcata attività turistica. Il declino delle valli Albareda e Gerola, che fino a qualche anno fa sembrava inevitabile, forse, è dunque scongiurato. 

venerdì 3 aprile 2015

Bitto storico guarda oltre Expo

(03.04.15) A Expo, grazie ad un accordo con Slow Food vi sarà un'importante presenza del bitto (Consorzio bitto storico e Consorzio casera e bitto). Con questo evento e con la presenza a Cheese si concretizza l'accordo del 10 novembre 2014. Il bitto storico intanto guarda già oltre verso nuovi importanti progetti



Il bitto storico guarda già oltre Expo,

verso nuovi traguardi

Expo, Cheese 2015, il rilancio della Mostra di Morbegno con il gran ritorno del bitto storico. Eventi importanti che coronano l'accordo tra il bitto storico e le istituzioni. Da una parte si sta mettendo in pratica - a favore della Valtellina - il ruolo di trascinamento su altri prodotti agroalimentari e sul turismo di una produzione di grande prestigio, dall'altra viene non solo riconosciuto ma persino consacrato quel metodo di produzione e quei principi che determinano l'identita del bitto storico e ne determinano la sua differenza. In questo contesto il Bitto storico può guardare anche oltre. Esso intende riprendere tutti quei progetti originari di sviluppo locale autosostenibile, di iniziativa territoriale, di esperienze pilota, che ci si prefiggeva di realizzare già vent'anni orsono.
La decana delle forme di bitto andrà all'asta (curata da Bolaffi) in Piazza della Scala a Milano durante l'Expo

Intorno all'esperienza del bitto storico si è costruito un movimento di rinascita della montagna e della ruralità che va oltre le vicende di un sia pure grande formaggio. Nel solco delle iniziative del bitto storico è nato il progetto dei formaggi Principi delle Orobie, che ripristina e valorizza le antiche relazioni intervallive "di massiccio" e mette in rete tra loro le valli, gli operatori del settore caseario e turistico creando le premesse per un grande progetto d'area integrato che può rappresentare un punto di riferimento per le politiche regionali (se Regione Lombardia sarà capace di cogliere la novità).
Il progetto "Principi" ha già prodotto alcuni frutti. Nel 2015 si è costituita ufficialmente l'Associazione formaggi Principi delle Orobie (con imprese che rappresentano sei formaggi: Bitto storico, Formai de Mut, Stracchino all'antica delle valli Orobiche, Agrì di Valtorta, Strachitunt, Branzi FTP). All'interno dell'associazione (già da tempo in incubazione) sono nate due altre realtà: l'associazione degli allevatori di Bruna alpina originale e l'associaizone dei produttori della capra Orobica. I formaggi di capra Orobica sono stato intanto ammessi tra i "Principi" (il "settimo principe") mentre altri formaggi aspirano ad entrarvi (dalla Valsassina alla Val di Scalve).
I "principi" sono nati per promuovere il territorio e non solo e non tanto i formaggi in sé. Ed ecco che una delle proposte originarie (le "Vie dei Principi delle Orobie") sta prendendo forma proprio in queste settimane. La bella serata all'Antica Locanda Roncaglia di Corna Imagna del 27 marzo intitolata all'"incontro" tra Stracchino all'antica e Bitto storico è servita a gettare le basi di un itinerario che da Corna (nella valle Imagna bergamasca) conduce a piedi a Gerola alta (vedi qui il progetto di itinerario) attraverso caseifici, alpeggi, osterie, alberghi. A Corna durante la serata c'erano diversi protagonisti di questa "Via", non solo i produttori di formaggi ma anche la componente Cai-Rifugi rappresentata da Elisa Rodighiero (che gestisce il noto Rifugio Benigni sulla dorsale Nord orobica tra Val Brembana e Valli del.... Bitto).

Expo
Nel frattempo i "Principi" e il Bitto sono protagonisti di importanti iniziative Expo. A Bergamo, nel quadro di un progetto che intende valorizzare il ruolo di Bergamo quale "capitale dei formaggi" è partito il progetto FORME (sarà presentato con una conferenza stampa il 24 aprile a Bergamo). Il progetto prevede diverse azioni sia a Milano che a Bergamo con i "Principi" in evidenza. A Sondrio è stato presentato ieri 2 aprile il progetto che consentirà alla Valtellina di essere presente in modo importante nella sede di Expo nello stand di Slow Food. Il primo "formaggio del mese" che aprirà il programma semestrale sarà il Bitto. Ad esso seguirà il Parmigiano Reggiano. Un fatto che, di per sé, regalerà grande visibilità alla Valtellina e che rappresenta il risultato dei profondi legami tra il Bitto storico (forse il presidio più glorioso di Slow Food) e la Chiocciola. Poi ci saranno tanti piccoli e grandi eventi con protagonista il bitto storico durante tutto l'Expo (vi terremmo informati). Da segnalare l'asta in Piazza della Scala (non è il Centro del Bitto anche la "Scala del formaggio?") curata dalla casa Bolaffi di Torino in cui verranno battute sotto gli occhi del mondo le forme più vecchie di bitto storico (base d'asta 17 mila euro e tutto quello che andrà oltre sarà devoluto dal Consorzio salvaguardia bitto storico per gli orti di Slow Food in Africa).
La presenza del bitto storico, alfiere della Valtellina, rappresenta una dimostrazione evidente - forse anche quantificabile economicamente - dell'effetto di "trascinamento" del Bitto storico. Un effetto, è bene ricordarlo, che è legato alla leggenda del Bitto storico, costruita anno dopo anno in forza di tante iniziative, di tanta passione, di tanta creatività, a "costo zero" per il contribuente. Lunghi anni durante i quali le istituzioni non hanno fornito alcun sostegno economico al bitto storico (anzi...). Il bitto storico sarà presente anche a ottobre presso lo stand Slow Food a Expo (questa volta in quanto PresidioSlow Food)nel corso di una settimana.

Cheese e Mostra del bitto
A settembre l'evento caseario più importante in assoluto (Cheese a Bra) vedrà il bitto storico insieme al bitto del Consorzio tutela casera e bitto nel quadro dell'accordo di sinergia territoriale in uno stand importante (oltre che in un calecc' "fuori ordinanza" a riconoscimento della sua non ordinarietà). Ad ottobre un banco di prova decisivo: la Mostra del bitto. Nata intorno al bitto quasta mostra storica (risale al 1907) era andata negli anni perdendo di specificità, dimenticando la sia vocazione e le sue origini e assumendo i contorni dell'evento commerciale generico . La Mostra - per molti anni ghettizzata nella cattedrale cementizia del Polo fieristico - aveva abbandonato il centro storico con comprensibili lamentele dei commercianti. Il ritorno negli ultimi anni alla soluzione "integrata" nel tessuto vivo della città non ha risolto alcuni problemi (il costo della tensostruttura, il non completamento dei restauri del chiostro dell'antico monastero in Piazza Sant'Antonio). Lo storico ritorno dei "ribelli del bitto" alla mosta di Morbegno offre la possibilità di stimolare soluzioni in linea con la storia della Mostra.
Il bitto storico non sarà presente alla prossima mostra ottombrina in stand ma ogni produttore d'alpeggio si presenterà al pubblico all''interno di spazi (privilegiate le storiche cantine) di pertinenza di esercizi pubblici, anche in collaborazione con produttori enologici. Oltre a questa "soluzione diffusa" il bitto storico intende partecipare alla riqualificazione della Mostra di Morbegno con iniziative culturali (mostre, conferenze, presentazione di libri) tese a valorizzare la lunga storia della Mostra e del suo legame con quel formaggio di fama mondiale che è il bitto. La Mostra del Bitto (ma anche Expo e Cheese) saranno anche occasioni per presentare i progetti futuri del bitto storico.

Un progetto per completare il rilancio caseario (e zootecnico) della Valgerola

L'esperienza della casera del bitto storico (il Santuario del Bitto) ha dato ragione - contro ogni logica commerciale - a quel testardo idealista (con i piedi per terra) di Paolo Ciapparelli. Egli ha insistito, a volte anche di fronte alla perplessità dei suoi amici e sostenitori, a mantenere il più possibile aperto il punto di vendita con cucina di Gerola alta. Anche nei week end di "morta turistica". Sarebbe stato più facile spostare la vendita a Morbegno ma, per coerenza con il progetto originario, l'attività del bitto storico continua - almeno per ora - a ruotare intorno a Gerola.  Non solo. Per gestire la casera di stagionatura, il negozio, l'attività commerciale sono stati assunti due giovani (Albino e Gloria) che hanno risposto con entusiasmo.
A confortare una scelta coraggiosa a favore di Gerola (non sempre compresa e ricambiata dagli stessi gerolesi o per lo meno non da tutti) vi sono le sempre più strette collaborazioni e sintonia con gli Alberghi-Ristoranti della località (Tre Signori e Valli del Bitto). Il successo della recente cena a tema bitto storico presso il Ristorante Valli del Bitto (sono venuti apposta da Firenze per parteciparvi dopo aver letto delle evento sulla pagina facebook dello "storico") testimonia di un clima di "squadra" ormai instaurato. Ora, però, Paolo Ciapparelli e la Società Valli del Bitto (la famosa "spa etica" che con capitali privati e azionariato popolare sostiene il bitto storico senza ricavare utili) stanno pensando a riprendere i progetti delle origini.

"Sono gli animali che fanno restare la gente in montagna"

Ciapparelli ripete spesso che il progetto sviluppatosi intorno al bitto storico avrà successo solo quando in Valgerola torneranno ad essere allevati anche in inverno gli animali. Ma in modo veramente sostenibile. Non nel senso di quella "sostenibilità" dei politici con la quale vengono avallate le peggiori operazioni, alla biogas (vedi Postalesio con i liquami e i digestati che fanno turismo su e giù per la valle), non come nel vicino comune di Albaredo dove, mentre parecchi  contadini continuano a sfalciare i prati (anche a mano) le nuove stallone - le uniche prese in considerazione dalle istituzioni - si sono adeguate allo stile "pianura padana" con il corollario del problema dei liquami a go go e del mangime che viene usato a quintalate, purtroppo anche in alpeggio (Alpe Piazza). Non si resta così in montagna.
Gli amministratori di Albaredo, a suo tempo, quando si erano allontanati dal progetto bitto storico e da Slow Food (in precedenza entusiasticamente sostenuto) per abbracciare il modello industriale della Latteria di Delebio parlavano di Gerola, con la sua splendida casera (meta di una vero e proprio pellegrinaggio), come di una "Cattedraledel deserto". Il bitto ha proceduto in modo inverso: ha creato una leggenda, una notorietà internazionale, le premesse per un flusso turistico e quindi uno sbocco altamente remunerativo per i prodotti ottenuti anche dal latte invernale (ilmatüsc o "latteria", i formaggi di capra). La logica specularmente opposta a quella dell'agroindustrialismo arroganttemente quantitativo, che ha portato la Valtellina in un vicolo cieco.

Due simboli e due elementi della "leggenda bitto": Mosè e le capre Orobiche di Valgerola

Forte di grande prestigio e di tanti sostegni "dal basso" oggi il bitto storico lancia l'operazione: Una stalla per la Valgerola. Il progetto prevede l'allevamento di soli animali di razze autoctone: la Bruna originale (non la Brown Swiss americanizzata e "macchina del latte" che in un sistema sostenibile agrozootecnico di montagna non può essere allevata) e la razza caprina simbolo del bitto storico: l'Orobica di Valgerola. Il numero di capi sarà pari a quelli necessari per produrre in alpeggio una forma di bitto storico (20% di latte di capra): 30-40 vacche e 50-60 capre.

Impatto ambientale zero, integrazione territoriale 100%
I principi della "stalla della Valgerola" sono chiari:
1) sfruttamento di un alpeggio (e possibilmente di maggenghi) della valle  per il maggior numero di giorni possibile;
2) utilizzo di solo fieno locale favorendo la crazione di una "associazione del fieno" aperta a tutti i proprietari e utilizzatori di prati invitati a fornire fieno sfuso (pre appassito) pagato a un "prezzo etico" da condizionare in un "fienile solare";

3) utilizzo di integrazioni minime del foraggio (che dovrà essere di alta qualità proprio per evitare i mangimi);
4) realizzazione della stalla e del fienile in legno e pietra locale adattando le moderne soluzioni di "stalla in legno" alle esigenze di massima efficienza energetica ma anche di valorizzazione delle caratteristiche dell'architettura utilizzando materie prime locali (copertura in scandole di larice);
5) massimo rispetto del benessere animale (spazio, libertà di movimento con posta fissa ma attacchi moderni e uscita più volte la settimana degli animali dalla stalla);
6) realizzazione di un caseificio aziendale per produrre matüsc ("latteria" vaccino), matüscin (formaggetta presamica di capra), agrìn o furmagìn (formaggini di capra a coagulazione lattica), mascherpa (ricotta con aggiunta di latte di capra);
7) Vendita dei latticini presso la casera del bitto storico e attraverso i canali dei Presidi e della Società Valli del Bitto.
Per la gestione della stalla e del caseificio verrà costituita un'apposita Società agricola che, insieme alla Soc. Valli del Bitto e al Consorzio salvaguardia bitto storico andrà a rafforzare il "sistema bitto storico".


Un progetto pilota a valenza didattica, sociale, culturale, turistica

La stalla della Valgerola è concepita come iniziativa aperta al territorio, attraverso la collaborazione con i comuni e con i privati possessori dei prati, ma anche alla massima collaborazione con scuole e le iniziative educative e culturali di diverso tipo.
Aperta alle visite dei turisti che vengono in valle per visitare il Santuario del bittoconsentirà di completare un circuito di visita, specie nei mesi invernali in cui gli alpeggi riposano sotto una spessa coltre di neve. la stalla della Valgerola sarà anche un luogo di sperimentazione e di formazione. Sarà parte di un progetto di Scuola pratica di montagna pronto ad accogliere quei giovani che desiderano apprendere dal vivo le tecniche di caseificazione e di governo degli animali. Per tutti questi motivi, per la sua carica innovativa (sul piano socio-territoriale, ecologico, didattico, commerciale) il progetto - che coinvolgerà diversi soggetti privati e pubblici e che si pone a tutela e valorizzazione delle due razze simbolo della montagna alpina lombarda (Bruna originale e Orobica) - si candida quale progetto pilota esemplare confidando nella capacità della Regione di saperne valutare i contenuti. In ogni caso, sulla scorta dell'esperienza del bitto storico, non si punta certo solo sui finanziamenti pubblici ma sulla capacità di suscitare (come è avvenuto per il bitto storico a dispetto degli scettici) un sostegno da parte della comunità locale e della comunità dei sostenitori della montagna, delle razze autoctone, dei prodotti in simbiosi con l'ambiente e le tradizioni.
Sarà decisivo per il successo del progetto l'entusiasmo con cui i non pochi sostenitori del bitto storico (che costituiscono un vero e proprio  movimento di opinione e, forse, anche qualcosa di più) risponderanno all'appello all'adozione delle singole bovine "original" e capre orobiche cui potrenno ovviamente dare un nome e che potranno sempre venire a trovare ritirando anche i prodotti. Siamo certi che di questa stalla si parlerà molto e che molti verranno in Valgerola anche per visitarla.