RIPARTE LA CAMPAGNA SI SOSTEGNO ALLO STORICO RIBELLE (EX-BITTO STORICO)

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giovedì 13 novembre 2014

Slow Food saluta con entusiasmo la rivincita del Bitto


Slow Food saluta con entusiasmo l'accordo tra il Consorzio salvaguardia del Bitto storico e il Consorzio tutela Bitto e Valtellina Casera con le parole di Piero Sardo, grande amico e sostenitore del Bitto storico, sempre  al fianco del produttori anche nei passaggi più difficili e impegnativi anche per la chiocciola.  





fonte: http://www.fondazioneslowfood.it/pagine/ita/news/dettaglio_news.lasso?-idn=330#.VGRv6PmG98H



La rivincita del Bitto/Bitto's victory

12/11/14


Si dice che i montanari abbiano la testa dura. Ed è così a ben guardare la storia dei ribelli del bitto. Storia che ieri ha avuto il suo epilogo finale con la firma dell'accordo tra il Conzorzio per la salvaguardia del Bitto storico, il comune di Gerola e il Consorzio di Tutela formaggi Valtellina Casera.

Ma procediamo con ordine. Bisogna risalire a vent'anni fa, al 1994, quando ha inizio la contestazione dei produttori dell'area storica del Bitto (Valli del Bitto) nei confronti di una Dop che allargava la produzione a tutta la provincia di Sondrio. Una contestazione che divenne più aspra con la modifica del disciplinare e l'introduzione dei mangimi nell'alimentazione in alpeggio e dei fermenti selezionati (2005), con la temporanea uscita dei produttori storici dalla Dop (2006) e con le sanzioni comminate dal Ministero nei loro confronti (2009).



Nel frattempo però i produttori non si sono dati per vinti e hanno trovato numerosi compagni di strada. Giornalisti, gastronomi, associazioni ma soprattutto Slow Food che, con loro, ha avviato un Presidio con un disciplinare di produzione severissimo: il Bitto storico prevede l'uso del 10-20% di latte di capre orobiche, la produzione esclusivamente sui pascoli (tra i 1400 e i 2000 metri) durante i mesi estivi , l'uso della legna per alimentare il fuoco sotto il paiolo in cui si riscalda il latte (arricchisce l'aroma del formaggio), l'uso di attrezzi in legno anziché di solo acciaio o plastica (contribuiscono a mantenere e sviluppare la microflora spontanea del latte e quindi dona caratteristiche organolettiche particolari a ogni forma), la salatura a secco nelle fascere di legno (favoriscono la formazione di una crosta più delicata sul formaggio, ottenendo quindi una migliore maturazione).

Il bitto ha partecipato a tutti gli eventi Slow Food, ai Mercati della Terra, ai gruppi di acquisto e agli scambi tra produttori di tutto il mondo diventando un emblema internazionale di resistenza casearia e di tutela della biodiversità. Inoltre l'associazione dei produttori del Presidio alcuni anni fa avviò in Val Gerola (provincia di Sondrio, Italia) un centro di affinamento e promozione, collettivo, per valorizzare la produzione del bitto. Per reggere lo sforzo finanziario necessario è stata istituita un'apposita Spa che ha raccolto adesioni e finanziatori anche tra privati non legati al mondo della caseificazione. Il progetto in questi anni ha rilanciato il prodotto d'alpeggio, assumendo il ruolo di facilitatore nella filiera e di polo di promozione di questo prodotto supportando così la comunità di produttori e la loro attività di gestione dei pascoli.

Oltre a resistere, i ribelli si sono rafforzati (costituendo un problema crescente per chi si rifiutava di legittimarli), portando così a un cambiamento e all'accordo di oggi con le istituzioni.

«Per anni in Italia (con qualche eccezione, specie nel settore enologico)», ha affermato Paolo Ciapparelli, referente storico del Presidio «la 'compattezza' di un prodotto e di un territorio si è misurata sulla negazione delle differenze. In Francia, dove le denominazioni di origine risalgono al XIX secolo, i grandi vini prestigiosi hanno adattato le Doc a sistemi di classificazione che valorizzano le eccellenze sancite dalla storia, corrispondenti ad aree limitate ed elevatissimi livelli qualitativi. Esse trascinano a cascata aree produttive più vaste. Le decine di migliaia di bottiglie trascinano i milioni. Il modello Bitto (su scala ridotta) può funzionare nello stesso modo con vantaggio reciproco».

 «Caseificazione eroica: è il solo modo corretto di definire l'attività degli allevatori del Bitto quando salgono in malga e fanno formaggio» dichiara Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus. «Fatica, dedizione, saper fare, testardaggine: tutte caratteristiche che valgono a definire la loro visione della vita e delle proprie tradizioni e che probabilmente ha pochi eguali nel mondo. Ed ora finalmente vedono riconosciuta ufficialmente la loro specificità: è un bel giorno per altri piccoli produttori che possono sperare di ottenere lo stesso risultato, è un bel giorno per Slow Food che li ha sempre accompagnati rispettandone le decisioni, ma soprattutto è un magnifico giorno per loro, per i ribelli del Bitto che ora possono guardare al loro futuro con maggiore tranquillità».

Non c'è esempio migliore di questo, dunque, per esemplificare la forza e l'importanza della rete. Di Slow Food e dei suoi Presìdi.

English version

They say that the people of the mountains are stubborn, and the story of the Bitto rebels certainly bears this out. The final chapter in the story came yesterday with the signing of an agreement between the Consorzio per la Salvaguardia del Bitto Storico (the consortium for safeguarding heritage Bitto), the municipality of Gerola and the Consorzio di Tutela Formaggi Valtellina Casera (the consortium for the protection of Valtellina Casera cheese).

But first let's go back to the story's beginning, 20 years ago, in 1994, when the producers from the historic Bitto area (the Bitto valleys) began their fight against a PDO (protected denomination of origin) that expanded production to the whole province of Sondrio. The struggle became even more bitter with changes to the specifications and the introduction of feed to the Alpine pasture diet and selected starter cultures (2005), the temporary exit of the historic producers from the PDO (2006) and the sanctions imposed on them by the Italian Agriculture Ministry (2009).

The producers never gave up, however, and along the way they found many supporters: journalists, gastronomists, associations and, above all, Slow Food, which worked with them to set up a Presidium with a very strict production protocol. Heritage Bitto must be made with the addition of 10 to 20% Orobica goat's milk and can be produced only in mountain pastures (at altitudes between 1,400 and 2,000 meters above sea level) during the summer months. Wood must fuel the fire under the cauldron in which the milk is heated, adding complex layers to the cheese's final aroma. Wooden utensils must be used instead of just steel or plastic, which helps to maintain and develop the milk's natural microflora and give specific sensory characteristics to each cheese. The cheeses must be dry-salted inside their wooden molds, to encourage the development of a more delicate rind and ensure better aging.

Bitto has featured in all of Slow Food's major events, the Earth Markets and buying groups, and the producers have taken part in exchanges with other cheesemakers from all over the world. Bitto has become an international emblem of Slow Cheese and biodiversity protection. A few years ago, the Presidium producers' association opened a collective aging and marketing center in the Gerola Valley, in the province of Sondrio, to promote Bitto production. To raise the necessary investment, a limited company was set up to gather support and funding, including from individuals not connected to the cheesemaking world. The project has relaunched the mountain cheese, taking on the role of facilitator within the distribution chain and promotion hub for the cheese, supporting the community of producers and their pasture management activities.

Over the years, the rebels have grown stronger, creating an increasing problem for those who refused to legitimize them. This has eventually led to a change in the situation and the current agreement with the authorities.

"With some exceptions, especially in the wine sector, for years in Italy the ‘cohesion' of a product and a place was measured based on the negation of differences," said Paolo Ciapparelli , the Presidium's long-standing coordinator. "In France, where the denominations of origin date back to the 19th century, the big prestigious wines have adapted the DOCs to classification systems that add value to historically excellent products, corresponding to limited areas and very high quality levels. They end up pulling larger productive areas behind them. The tens of thousands of bottles stimulate millions. The Bitto model, on a reduced scale, can work in the same way, with mutual advantages."

According to Piero Sardo, the president of the Slow Food Foundation for Biodiversity, "heroic cheesemaking" is the only way to define the work of the Bitto farmers as they make cheese up in the Alpine pastures. "Hard work, dedication, know-how, stubbornness: all characteristics that can be used to define their vision of life and their traditions, a vision which probably has few equals in the world. And now finally they are seeing their distinctiveness being officially recognized. This is a good day for other small-scale producers who can hope for a similar result. It is a good day for Slow Food, which has always supported them, respecting their decisions. But most of all, it is a magnificent day for them, for the Bitto rebels who can now look more happily to their future."

We can think of no better example of the strength and importance of the network, of Slow Food and its Presidia.

mercoledì 12 novembre 2014

Torma la Bruna alpina. Merito anche del Bitto storico

Torna la Bruna ma i tecnocrati anticontadini responsabili della sua 'estinzione forzata' la chiamano "Linea carne" per difendere le loro scelte sciagurate 



Vacca OB di Alfio Sassella, un 'ribelle del bitto' che carica l'Alpe Cavisciöla a Mezzoldo in alta val Brembana

La buona notizia è che è stato attivato il Registro anagrafico della Bruna originale Original Braunvieh. Il merito è anche degli allevatori che caricano gli alpeggi del Bitto storico, i primi a reintrodurre la Bruna originale dileggiati sino a pochi anni come trogloditi ("volete disperdere decenni di selezione") dai tecnici dell'Apa (Associazione provinciale allevatori) di Sondrio. Da tempo inoltre il Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico sta penando di vincolare alla razza OB Bruna alpina originale, la produzione del formaggio. La stessa Apa  ora si inventa con finanziamenti della Regione una fantomatica "Bruna valtellinese" (destinata a fare la vacca nutrice, ovvero a non essere munta). E' sempre la Bruna "Linea carne" inventata dall'Aia (Associazione italiana allevatori) e dall'Anarb (Associazione razza Bruna), chiamata così per nascondere che la Bruna originale è una ottima razza a duplice attitudine 'madre' di tanti formaggi lombardi e svizzeri.

Una denominazione inaccettabile quella dei tecnocrati dell'Aia e dell'Anarb e insultante per gli allevatori.  Ferdy Quarteroni (grande amico del Bitto storico e 'inventore' dei Principi delle Orobie con Paolo Ciapparelli  e Francesco Maroni) nel suo agriturismo di Lenna e all'Alpe Inferno di Ornica sta da tempo anch'egli 'collaudando' le Brune originali e non ci sta a vederle insultate come "Linea carne". Lo ha detto chiaro e tondo all'assessore regionale Fava che è andato a trovarlo nel suo agriturismo.

I tecnoburocrati delle Associazioni di razza  sono  i responsabili (insieme alle Associazioni provinciali allevatori e alla Regione) dell'estinzione della Bruna alpina di cui hanno disperso il patrimonio frutto di secoli di selezione in Valtellina, Valsassina e valli bergamasche. L'hanno sostituita al 100%. Hanno imposto la Brown Swiss (l'Anarb è una specie di monarchia ereditaria dove le decisioni partono dall'alto) anche in aziende dove non vi erano le condizioni per allevare una vacca 'spinta': la Brown Swiss made in Usa. Una sostituzione che in montagna è stata anticamera dell'abbandono degli alpeggi, della chiusura dei piccoli allevamenti che si basavano sulla produzione di foraggi aziendali e sul pascolo e traevano un reddito non trascurabile dalla carne (il vitello Brown non vale nulla). 

Ovviamente ha guadagnato il 'giro' (quello che vede l'intreccio tra associazioni tecniche, sindacati agricoli, politica, cooperative).  Ci ha guadagnato chi traffica in fiale di seme di toro, mangimi, farmaci, integratori (e intrugli più o meno leciti), chi voleva la pulizia etnica delle piccole aziende per imporre anche in montagna il modello agroindustrialista (poche aziende, molto produttive, tutte dedite a mungere a manetta, a vendere il latte per  quattro centesimi e a comprare quantità industriali di mangimi). Per attirare gli allevatori nella trappola li facevano sentire 'moderni' e 'imprenditori'. In realtà gli consentivano di tenersi in piedi appena allargando sempre la stalla. I profitti li facevano solo gli allevatori più grossi e altri soggetti.

Alla fine quando gli allevatori hanno capito che la Brown Swiss non era più adatta all'economia delle loro aziende l'hanno mollata. Ma dovendosi arrangiare (dove sono state le istituzioni?) hanno dovuto 'sperimentare' tra razze varie e incroci (portando in Lombardia la Pezzata Rossa ma anche la Grigia alpina, la Pinzgauer e altre razze minori variamente mescolate tra loro, con la P.R., con la Brown swiss, con la Frisona. Un... casino di cui vanno ringrazieti gli enti suddetti. La scomparsa della Bruna alpina ha danneggiato l'agricoltura di montagna, la montagna, la qualità del latte (le vacche 'spinte' si ammalano più facilmente anche di mastiti), la tanto invocata a sproposito (da coloro che la calpestano) sostenibilità. La Brown swiss importata dagli Usa è un incrocio attuato negli States a fine Ottocento tra Bruna alpina di origine svizzera e varie razze da latte. E' un 'derivato' dalla Bruna alpina, cioè un'altra razza. Di fatto oggi, dopo l'accanita selezione (in Italia si è seguito l'indirizzo 'spinto' Usa a differenza di Bolzano, Austria, Germania) la Bruna italiana è una Frisona con un colore solo pallidamente bruno.

Qui la storia della "BRUNA NON PIU' ALPINA' (scarica)


fonte: http://news.valbrembanaweb.com/index.php/dalla-val-brembana-parte-la-rivincita-della-bruna-alpina/

Dalla Valbrembana parte la rivincita della Bruna alpina



(12.11.14) Valle Brembana – La vacca Bruna alpina tornerà regina delle nostre montagne? Per ora è soprattutto un auspicio ma si sono messe le basi: con i primi capi che stanno per essere riconosciuti ufficialmente dall’Associazione provinciale allevatori in un registro anagrafico. Premessa: fino ancora a venti anni fa circa, nella nostra provincia, in montagna e in pianura, gli allevamenti bovini erano di Bruna alpina, ovvero la razza originaria, nata in Svizzera, con il latte della quale per decenni e oltre, si sono prodotti i formaggi orobici diventati poi famosi nel mondo, dal Taleggio al Formai de mut, dal Bitto al Branzi. Ma già dal 1940, in Italia, e quindi anche da noi, venne introdotta la Brown Swiss, un incrocio americano della Bruna alpina, con un’attitudine più lattifera rispetto all’originale. In sostanza produceva più latte e, perciò, in nome del commercio e del profitto, la Bruna alpina originale, più rustica e adattabile all’alpeggio, ma meno lattifera, venne «insanguata» con la razza oltreoceano.
«Più rustica e adatta all’alpeggio»
«Prima degli inserimenti americani – spiega Giulio Campana, funzionario zootecnico della Provincia di Bergamo – anche da noi esisteva il ceppo originale di Bruna alpina, rimasto ora, (con un numero di capi limitati, ndr) solo in Svizzera, Austria e Alto Adige. Se l’Alpina aveva una duplice attitudine, per latte e carne, quella oggi diffusa ovunque, ovvero la Bruna derivata dall’incrocio americano, è prevalentemente per latte, ma è anche meno resistente, meno adatta alla montagna e, sugli alpeggi, non è sufficiente che si alimenti di erba, ha bisogno di un’integrazione alimentare di cereali». La razza antica star su Canale 5 Così, negli ultimi vent’anni, anche nelle nostre valli, la tradizionale vacca alpina è stata sostituita, oltre che dall’incrocio con la Brown Swiss (col semplice nome di Bruna), anche da Pezzate rosse friulane e Frisone, un mosaico di razze ormai lontano dalla tradizione orobica. Ma a volte ritornano. Da qualche anno la Bruna alpina ha fatto la sua ricomparsa sulle Orobie valtellinesi, grazie ad alcuni produttori di Bitto storico, visto che il consorzio a cui fanno capo vieta proprio in alpeggio l’integrazione alimentare delle bovine, ormai diventata necessaria per tenere in piedi le Brune di origine americana.
Ora è la volta della Bergamasca.
Per il ritorno della razza originaria si parte dalla Valle Brembana, culla di formaggi: i primi due allevamenti tornati (o rimasti fedeli) alla Bruna alpina sono quelli dell’agriturismo Ferdy di Lenna (con cinque capi già certificati e arrivati da Austria e Svizzera, con alpeggio in Valle Inferno, Ornica) e alcuni capi, ancora da certificare, dell’allevamento di Ignazio Carrara (con alpe ai Laghi Gemelli). Proprio domenica scorsa il programma di Canale 5 Melaverde ha messo in onda una puntata dall’agriturismo Ferdy, incentrata anche sul recupero dell’antica razza bovina, da tempo messa da parte sulle nostre Alpi. «I primi capi – spiega ancora Campana – saranno visionati dagli esperti dell’Associazione nazionale razza Bruna, per verificarne la riconducibilità alla razza originaria. Momentaneamente prenderanno il nome di “linea carne” all’interno della razza Bruna, anche se tale denominazione è poco corretta e andrebbe modificata: le Brune alpine, infatti, hanno sempre avuto la doppia attitudine, alla carne ma anche al latte, con cui per secoli sono stati prodotti i nostri formaggi d’alpeggio. Una volta identificati i capi, l’Associazione provinciale allevatori aprirà il registro anagrafico e, con controlli semestrali, verificherà il mantenimento dei requisiti di razza».
«Valore per ambiente e turismo»
«Si tratta sicuramente di un ritorno positivo – aggiunge il funzionario della Provincia – soprattutto per quelle piccole realtà zootecniche, magari di montagna, che hanno tra gli obiettivi la salvaguardia ambientale, visto che una razza di questo tipo, più rustica e muscolosa, è anche più resistente e adattabile alla montagna». Un ritorno che potrebbe avere, per gli allevatori, anche una valenza economica – legata eventualmente a sovvenzioni europee per le razze in via di estinzione – ma soprattutto un ritorno che ha il valore della tradizione e dell’identità territoriale, con tutte le implicazioni positive in ambitoturistico.
Giovanni Ghisalberti – L’Eco di Bergamo

lunedì 10 novembre 2014

E' pace del Bitto. Firmata oggi a Gerola

(10.11.14) Firmato oggi un accordo che stabilsce i termini della collaborazione tra i due Consorzi. Riconosciuta la specificità del Bitto storico.

 

E' pace del Bitto



di Michele Corti

Con l'accordo siglato oggi a Gerola alta presso il Centro del Bitto tra il Conzorzio per la salvaguardia del Bitto storico, Gerola e il Consorzio di Tutela formaggi Valtellina Casera e Bitto si pone termine ad un conflitto che data al 1994



Sono trascorsi vent'anni da quando era iniziata la contestazione dei produttori dell'area storica del Bitto (Valli del Bitto) nei confronti di una Dop che allargava la produzione a tutta la provincia di Sondrio. Una contestazione che divenne più aspra con la modifica del disciplinare (con l'introduzione dei mangimi nell'alimentazione e dei fermenti selezionati)(2005), la temporanea uscita dei produttori storici dalla Dop (2006), le sanzioni comminate dal Ministero nei loro confronti (2009).  In tutti questi anni a fianco dei produttori storici c'è sempre stato Slow Food ma anche tante persone (della Valgerola, della Valtellina, ma anche di fuori) che non volevano che un monumento di storia e cultura come il Bitto storico venisse cancellato.  Persone che non hanno esitato a finanziare le iniziative dell'Associazione produttori Valli del Bitto (poi Consorzio Bitto storico dal 2010) e hanno costituito la Società Valli del Bitto. Lo hanno fatto consapevoli che in caso di mancata distinzione del prodotto realizzato (con maggiore fatica) con il metodo storico il mercato non avrebbe potuto attribuire un plus e i produttori avrebbero dovuto adegarsi al metodo 'modernizzato'. Ma con le istituzioni che non appoggiavano la richiesta di tenere distinti i metodi (o che l'appoggiavano troppo tiepidamente) è stato necessario non solo crare un'Associazione di produttori storici ma anche delle strutture per la valorizzazione commerciale, per gestire la stagionatura e la vendita. Solo così era possibile riconoscere ai produttori un prezzo congruo per la continuità del metodo storico. Senza tutto questo era la fine del Bitto come era stato conosciuto da secoli (quello che costituiva il capitale di reputazione cui la Dop mirava).


Privati che si sostituiscono alle istituzioni

Per fare questo la Società Valli del Bitto ha sostenuto costi molto elevati (che normalmente vengono in tutto o in parte assunti dalle istituzioni pubbliche). Essa ha realizzato il Centro del Bitto allestendo una casera di stagionatura-gioiello che è diventata un 'santuario' del buon cibo (buono in tutti i sensi), una meta internazionale del turismo enogastronomico. Che da lustro alla Valtellina e alle Orobie, porta visitatori, crea beni pubblici (non ultimo il 'capitale di reputazione' del Bitto che viene così mantenuto a vantaggio di tutto il Bitto e della comunità territoriale). Un caso più unico che raro di privati che finanziano un'attività che ha un prevalente interesse pubblico, di promozione territoriale. Per parecchi anni le istituzioni hanno sperato che l'anomala esperienza dei 'ribelli del Bitto' si esaurisse di fronte alle difficoltà economiche. Ma non hanno fatto i conti con il moto di simpatia suscitato.
Per il Bitto storico si sono mossi, senza contropartita economica, televisioni straniere e nazionali (con la partecipazione del Bitto storico a una serie di programmi, dalla Prova del cuoco a Striscia la notizia), hanno scritto critici gastronomici (a partire da Veronelli) e tutta una cerchia di volontari, di appassionati , di fan ha dato il proprio contributo secondo le competenze.
E' poi scattata la 'moda' delle forme dedicate, mantenute esposte nel Centro del Bitto, ed acquistate anticipatamente. Il 'mercato' tanto spesso invocato ha premiato il Bitto storico che non ha problemi di vendita a prezzi che non sono paragonabili a qualsiasi altro formaggio.

Le basi dell'accordo c'erano già

Di fronte alla constatazione che il Bitto storico non solo era in grado di resistere ma si rafforzava (costituendo un problema crescente per chi si rifiutava di legittimarlo) e in vista della scadenza dell'Expo - dove il Bitto storico si è già prenotato un posto di rilievo grazie a Slow Food - ha prevalso nelle istituzioni (meglio tardi che mai) il senso di responsabilità. Ma anche la considerazione che il Bitto storico poteva essere una risorsa ancora più preziosa all'interno di un quadro di collaborazione.
E sono partite delle trattative. Che si sono rivelate meno difficili di quanto una storia di vent'anni di schermaglie avrebbe potuto lasciare supporre. Perché? Perché il terreno d'intesa, se si fosse voluto ricercarlo, era già a portata di mano. Il Bitto storico ha sempre sostenuto di rappresentare un modello ma senza la pretesa di considerarlo infallibile e tanto meno di applicarlo a tutti. Una volta che le istituzioni hanno compreso che il riconoscimento della specificità del Bitto storico, all'interno del 'sistema Bitto Dop', non era più una bestemmia non è stato difficile certificare con un accordo quello che avveniva già nella realtà: il Bitto storico (di quelli già qualificati 'trogloditi') trascina con la sua immagine di prodotto eroico, senza compromessi, rispettoso al massimo del pascolo e delle tradizioni, anche quello prodotto in quantità maggiori, con un metodo 'facilitato' (ammissibile quando si opera in aree non storiche dove non c'è una tradizione da tutelare).
Che esista un Bitto anche in tutti gli altri alpeggi della Valtellina (e della Valchiavenna) a questo punto viene pacificamente accettato dai produttori storici che hanno ormai ottenuto un riconoscimento della specificità del loro Bitto dal mercato, da autorevoli esperti e ora... anche dalle istituzioni. Del resto, come ha ribadito anche oggi Ciapparelli, bastava prendere esempio dai cugini francesi. Per anni in Italia (con qualche eccezione, specie nel settore enologico) la 'compattezza' di un prodotto e di un territorio si è misurata sulla negazione delle differenze. In Francia, dove le denominazioni di origine risalgono al XIX secolo, i grandi vini prestigiosi hanno adattato le Doc a sistemi di classificazione che valorizzano le eccellenze sancite dalla storia, corrispondenti ad aree limitate ed elevatissimi livelli qualitativi. Esse trascinano a cascata aree produttive più vaste. Le decine di migliaia di bottiglie trascinano i milioni. Il modello Bitto (su scala ridotta) può funzionare nello stesso modo con vantaggio reciproco.

Una compresenza 'globale' di due modelli alimentari

In realtà se si è arrivati all'accordo è perché rispetto a venti anni fa il mondo è cambiato. Vent'anni fa si parlava solo di standardizzazione, entrata nella Gdo, economie di scala. Chi avesse osato parlare di prodotti alimentari come beni pubblici, beni culturali era considerato matto.
Il problema di due modelli di agricoltura non c'è solo in Valtellina o in Lombardia ma in tutto il mondo. Il modello industriale convive/compete con un modello di agricoltura che si fa carico di tutelare e riprodurre valori che non sono solo economici, ma sociali, ambientali, culturali. Fortunatamente il global food system (tutto chimica, Ogm, multinazionali) non ha per fortuna la forza (per le sue contraddizioni interne) per imporre un 'regime unico'. Ma per difendersi da esso quelli che si concepivano sino a ieri come sistemi super-competitivi, pronti alle sfide della globalizzazione, si stanno accorgendo che riposizionarsi sul modello sostenibile, multifunzionale, riconnesso al territorio assicura meglio nei confronti del futuro (alla fine le nostre grandi produzioni regionali sono solo 'nicchioni' in una scala global). E magari ci si accorge che anche nella Pianura Padana c'è spazio per prodotti storici.  Ci son, in ogni caso,  spazi perché si affermi un altro sistema. A maggior ragione dove le realtà territoriali sono vocate per sistemi che valorizzano risorse  e patrimoni locali (il che ha molto a che fare con la montagna e un paese ricchissimo di diversità agroalimentari come l'Itala). Il valore di un sistema 'alternativo' è legato anche al fatto che oggi le 'nicchie' possono mettersi in rete e consolidarsi in realtà di dimensione più ampia senza perdere la loro anima, la loro specificità.
La 'nicchia' Bitto storico, oggi passa dalla fase di 'resistenza' ad una fase nuova in cui si troverà ad interagire all'interno di un sistema più ampio  insieme ad altre 'nicchie' anche per modificare dall'interno il modello complessivo. Riconoscimenti al ruolo che uno/più prodotti di prestigio possono avere in una strategia di promozione territoriale e turistica sono venuti anche dall'assessore regionale Fava presente alla conferenza stampa di presentazione dell'accordo. L'Expo può essere di stimolo anche se si deve guardare anche oltre. Ora si tratterà di mettere in pratica i principi sanciti nell'accorso. La cornice c'è, il quadro va riempito. Per tutti è una sfida importante.


ACCORDO TRA
Il Consorzio per la Tutela dei formaggi Valtellina Casera e Bitto e il Consorzio Salvaguardia Bitto storico, definiti nel prosieguo congiuntamente anche come “le parti”,
con l’intervento e la condivisione della Camera di Commercio di Sondrio.
PREMESSO CHE
  • l’attività zootecnica e la conseguente produzione di latte e formaggi, oltre alla loro funzione primaria volta ad assicurare alimenti di qualità segnatamente per la loro collocazione montana, svolgono un ruolo essenziale nello sviluppo economico della provincia di Sondrio, anche per il valore aggiunto trasferito ad altri settori in relazione al mantenimento e presidio del territorio e alla valorizzazione del comparto turistico; tale attività si esprime in modelli aziendali diversi e articolati (aziende zootecniche di piccole e medie dimensioni che trasformano direttamente il latte nei caseifici aziendali, aziende medio-grandi specializzate nella produzione di latte, aziende stanziali e aziende che praticano l’alpeggio, etc.), che hanno assicurato continuità e sostenibilità al tessuto agricolo provinciale;
  • l’alpeggio continua a caratterizzare la realtà zootecnica provinciale e ha sempre più un ruolo centrale, non solo economico ma anche di salvaguardia delle risorse naturali, di conservazione e riproduzione del patrimonio culturale e storico del territorio, di produzione di latte e formaggi dai caratteri organolettici unici, vista l'estrema varietà delle erbe nella successione di pascoli, quote e stagioni;
  • lo sviluppo delle DOP Bitto e Valtellina Casera si è dimostrato un valido strumento per la tutela e lo sviluppo delle produzioni casearie del territorio, contribuendo a valorizzare tutta la filiera provinciale;
  • il metodo tradizionale di conduzione dell’alpeggio adottato dai produttori aderenti al Consorzio Salvaguardia Bitto storico rappresenta un patrimonio della zootecnia valtellinese che va assolutamente conservato, diffuso e valorizzato;
  • tale sistema di agricoltura può e deve essere integrato nel patrimonio della DOP a supporto di tutti i produttori di Bitto;
CONSIDERANDO
  • la necessità di instaurare, in via generale per le diverse filiere produttive del comparto agroalimentare della provincia di Sondrio, una nuova e proficua relazione fra produttori di piccola scala e produttori su scala più ampia, accomunati da elevati standard di qualità e tipicità, attestati da denominazioni di origine comunitarie;
  • il valore dell’accordo fra il Consorzio per la Tutela dei formaggi Valtellina Casera e Bitto e il Consorzio Salvaguardia Bitto storico, quale modello da indicare alle altre produzioni a marchio presenti sul territorio provinciale, anch’esse caratterizzate dalla coesistenza di modelli aziendali tra lo diversi;
  • l’importanza di presentarsi ad Expo Milano 2015 in maniera coesa per promuovere insieme e con più forza il territorio valtellinese, le sue eccellenze e le sue filiere di qualità;
SI DEFINISCE QUANTO SEGUE

  1. Riconoscimento delle peculiarità della produzione del Bitto storico del Presidio Slow Food e dell’attività di valorizzazione e promozione realizzata dal Consorzio Salvaguardia Bitto storico e volta al mantenimento delle tradizionali pratiche d’alpeggio adottate nelle Valli di Albaredo e Gerola e alla valorizzazione delle piccole produzioni e del territorio da cui hanno origine;
  2. Disciplinare di produzione della DOP Bitto ai sensi del Reg. (CEE) n. 1263 del 01.07.1996 e del successivo Reg. (CE) n. 1138 del 25.11.2009: nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale afferente alle produzioni DOP, il Consorzio Salvaguardia Bitto storico si impegna a promuovere la completa adesione dei propri associati al sistema di controllo e certificazione della DOP Bitto a partire dalla stagione produttiva 2015, presentando idonea richiesta all’organismo di controllo autorizzato entro il 31 maggio 2015;
  3. Promozione dell’intera produzione di Bitto DOP: le parti si impegnano a collaborare per promuovere l’intera produzione di Bitto, riconoscendo la specificità della produzione ottenuta, nel rispetto dell’articolo 4, lettera c, del vigente Disciplinare, adottando il metodo ancor più restrittivo del Presidio Slow Food. Le parti si impegnano altresì a non intraprendere azioni che possano ingenerare discriminazioni o determinare potenziale danno all’immagine della DOP, alla reputazione delle produzioni e del territorio di origine. A tali fini, la politica di promozione e tutela della produzione deve essere condivisa fra le parti del presente accordo e le azioni promosse anche disgiuntamente dalle parti devono integrarsi e rinforzarsi reciprocamente. Il Bitto storico del Presidio Slow Food viene individuato come il prodotto di traino dell’intera produzione di Bitto e, più in generale, del comparto lattiero caseario provinciale. La Camera di Commercio valuterà per conseguenza l’assegnazione di risorse economiche per contribuire a specifiche azioni di comunicazione e promozione concordate tra le parti;
  4. Valorizzazione del Centro del Bitto storico di Gerola Alta: le parti si impegnano a valorizzare il Centro nell’ambito delle proprie iniziative promozionali, divulgative e formative, nell’ambito di programmi concordati finalizzati alla valorizzazione integrata delle produzioni agroalimentari e artigianali e delle risorse culturali, ambientali e turistiche della Valtellina; la struttura potrà diventare così un centro privilegiato di promozione dell’intero sistema Bitto, per l’organizzazione di degustazioni, educational tour per operatori e giornalisti, tour di turismo enogastronomico, attività formative e didattiche, convegni e un patrimonio unico per lo studio e la ricerca sulla salubrità delle produzioni di latte e formaggi di alpeggio (vedi le proprietà antiossidanti grazie all'alimentazione con erbe di pascolo in quota). La Camera di commercio valuterà per conseguenza forme e modalità di sostegno alla struttura;
  5. La Mostra del Bitto, Salone del Gusto e Terra Madre di Torino : l’evento più rappresentativo del comparto agroalimentare provinciale e gli eventi internazionali di Torino sono l’occasione per divulgare e dare attuazione ai contenuti dell’accordo;
  6. Expo Milano 2015: l’Esposizione Universale rappresenta un’opportunità unica per presentare ad un pubblico più vasto il modello di integrazione promosso dalle parti tra realtà produttive diverse ma complementari e accomunate da un forte legame con il territorio di origine, la sua storia e le sue tradizioni;
  7. Commercializzazione del prodotto: in linea generale, gli associati al Consorzio per la Tutela dei formaggi Valtellina Casera e Bitto finalizzeranno la loro attività alla commercializzazione del Bitto DOP entro l’anno di stagionatura; l’attività degli aderenti al Consorzio Salvaguardia Bitto storico sarà prioritariamente rivolta, invece, alla commercializzazione del prodotto con stagionatura oltre l’anno.
Gerola Alta, 10 novembre 2014.


Consorzio di Tutela formaggi
Valtellina Casera e Bitto

Il Presidente
Vincenzo Cornaggia

__________________

Camera di commercio I.A.A. Sondrio

Il Presidente
Emanuele Bertolini

__________________
Consorzio Salvaguardia Bitto storico

Il Presidente
Paolo Ciapparelli

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sabato 8 novembre 2014

Svolta storica



fonte: http://www.laprovinciadisondrio.it/stories/Economia/bitto-storico-pace-fatta-dopo-20-anni_1088392_11/




Bitto storico, pace fatta dopo 20 anni

Cambio di rotta e accordo raggiunto con il Consorzio per la tutela dei formaggi Valtellina Casera e Bitto. Ciapparelli: «Le istituzioni ci riconoscono una peculiarità ed un valore già decretati dal mercato».
«Un cambio di rotta per il futuro della Valtellina e una soddisfazione enorme che ci riconosce la lungimiranza nella scelta di resistere con il metodo storico». È un grande risultato, secondo il presidente del Consorzio di salvaguardia del Bitto storico, Paolo Ciapparelli, quello che sarà annunciato ufficialmente lunedì prossimo quando a Gerola sarà sancito l’accordo di collaborazione con il Consorzio per la tutela del formaggi Valtellina Casera e Bitto. «Si chiude con questo atto uno scontro – afferma Ciapparelli – che dura da vent’anni. Le istituzioni ci riconoscono attraverso questo atto una peculiarità ed un valore, già decretati dal mercato mondiale e dal prestigio del nostro prodotto, compiendo un passo fondamentale nell’interesse di tutta la Valtellina». Secondo Ciapparelli, che non anticipa i contenuti del protocollo d’intesa siglato tra le parti – che risponde alle richieste che da anni i produttori di Bitto storico reclamano per il riconoscimento del metodo tradizionale e della peculiarità del loro prodotto – l’indirizzo preso con questo accordo è quello di «seguire il metodo francese – afferma – che riconosce i grand cru, cioè il gradino più alto delle produzioni di eccellenza, quale traino per tutte le altre. Un passo avanti significativo che certo, nel nostro territorio, rappresenterà anche una rivoluzione per piccoli paesi che custodiscono le produzioni di nicchia».
La vittoria, secondo il presidente del consorzio di salvaguardia del Bitto storico, sta anche nel riunire tutti gli attori dell’accordo a Gerola, negli spazi di quel Centro del Bitto che custodisce nella sua casera le produzioni di formaggio delle valli del Bitto.
«Questo passo rende ufficiale ciò che il mercato aveva già sancito – prosegue Paolo Ciapparelli – cioè il valore del nostro prodotto e la sua peculiarità. A noi riconosce il coraggio di una scelta compiuta più di vent’anni fa quando abbiamo iniziato quella che è stata definita resistenza contadina, puntando su storia e metodo tradizionale e arrivando a risultati di cui oggi anche le istituzioni ci danno atto». La prospettiva è quella di una collaborazione che dovrà svilupparsi nel tempo, a partire dall’appuntamento a breve termine con Expo 2015, evento al quale il Bitto storico ha già un posto d’onore insieme ai formaggi Principi delle Orobie: «Da tempo si parlava di questo accordo – spiega Ciapparelli – e la vicinanza dell’Expo sicuramente ha intensificato i contatti per giungere a un protocollo d’intesa che dia modo di presentare l’immagine della Valtellina anche attraverso il veicolo del Bitto storico e della sua fama. In tutto questo un ruolo importante è stato giocato dalla Camera di Commercio che ha saputo mettere insieme le parti coinvolte per trovare un accordo in grado di soddisfare le esigenze di tutti nell’interesse comune dell’intero territorio e delle sue produzioni».