Il bitto storico con
la stagione d'alpeggio in corso non esiste più (fino a quando non
sarà pienamente riconosciuto e legalizzato)
Comunicato stampa
Il
Consorzio per la salvaguardia del bitto storico ritiene inaccettabili gli attacchi da parte della Coldiretti e
annuncia che a breve saranno diramate le informazioni circa le
modalità del cambiamento di nome
Dopo
l'annuncio da parte di Paolo Ciapparelli - presidente dei "ribelli
del bitto" - dell'imminente cambio di nome del bitto storico,
cambio sollecitato dall'assessore regionale Fava onde evitare le
conseguenze (anche penali) della violazione delle norme europee, si è
assistito alla fiera dell'ipocrisia. Chi, per anni, ha combattuto e
denigrato il bitto storico (ma lo ha anche sfruttato abilmente per
assimilare ad esso il bitto massificato), oggi ha paura che la
Valtellina faccia una figuraccia al Salone del Gusto di Torino
(a settembre), quando sarà formalizzato che il bitto storico non
esiste più. Sarà difficile spiegare perché i prosecutori della
più autentica tradizione del bitto non possono poi utilizzare il
nome bitto. E perché in ventidue anni, tanto dura la vicenda della
“dop bitto”, la politica, invece di risolvere il problema, l'ha
aggravato.
Nel
coro degli amici dell'ultima ora del bitto storico, che invocano la
“pace del bitto” e invitano a “restare uniti” si distingue la
Coldiretti. Quest'ultima, attraverso le dichiarazioni del presidente
Marsetti paventa conseguenze catastrofiche a seguito del cambio di
nome del bitto storico. “Ci sono in ballo – ha dichiarato
Marsetti - 60 Imprese Agricole con oltre 120 lavoratori che producono
18.000 forme per un fatturato di oltre 2milioni che corrispondono a
oltre 4 milioni di valore al consumo”. Cosa significa? Che
il cambio di nome di 1500 forme di bitto di un tipo farebbe crollare
il prezzo delle altre 18 mila? Ovviamente non è possibile ma la
Coldiretti, come le altre organizzazioni del sistema agroalimentare
(o per meglio dire agroindustriale) valtellinese teme il venir meno
dell' “effetto scambio di identità”. Tutto il parlare
dell'eccellenza del bitto storico “teneva su” il bitto
massificato e “modernizzato”, prodotto con mangimi e fermenti
industriali, senza latte di capra. Non c'era quasi nessun giornalista o blogger
che in coda ad un pezzo di esaltazione dello “storico”, dei
“ribelli del bitto” non allegasse la foto con l'etichetta rossa
del consorzio Ctcb.
Fin
qui nulla di strano. Chi ha strumentalizzato il bitto storico, usando
la tattica di combatterlo alla luce del sole e di cercare di
confondersi con esso dietro le quinte, si preoccupa. Quello che è
inaccettabile è la diffamazione dei “ribelli del bitto” .
Marsetti ha accusato senza mezzi termini i “ribelli” di
"strumentalizzare la difesa delle tradizioni, della
tipicità, della storia, del territorio a fini di mero interesse e di
parte".
Marsetti
sa che gli oltre 100 soci della Società valli del bitto
(compresi i produttori agricoli) , per sostenere il metodo
storico, hanno realizzato – di tasca loro - una casera che è
anche una galleria d'arte, di cultura, di umanità, che è diventata
un elemento di interesse turistico, che promuove l'immagine della
Valtellina attraverso i media nazionali e internazionali. Una casera
per la quale la Società valli del bitto hanno douto
investire di tasca – in in periodo in cui il Comune di Gertola non
disponeva delle copiose entrate attuali – ben 300 mila euro ,
utilizzati per le spese di edificiazione di un immobile che è
totalmente di proprietà del comune. Questa spericolata generosità
(o comunque ingenuità) nel sostenere un comune che si pensava amioo
(e che poi ha voltato le spalle per unirsi al coro dei poteri forti
nemici del bitto storico) ha determinato l'accensione di linee di
credito che, nel corso di un decennio, hanno gravato di interessi
passivi il bilancio della Società valli del bitto. I “debiti”
sono solo questi . Nelle varie interlocuzioni succedutesi negli
scorsi anni la richiesta avanzata dai “ribelli” alle istituzioni
era di riconoscere – nelle forme legittime e idonee – un terzo di
quell'investimento iniziale. Un'inezia rispetto agli sprechi dei
rappresentanti delle istituzioni e delle varie organizzazioni
dell'establishment che cifre simili se le bruciano, nell'ambito di
“progetti di promozione” solo per spese di rappresentza e cene
tra loro.
In
ogni caso i “debiti” della “valli dl bitto” (peraltro onorati
) sono derivati dall'aver voluto sostituirsi alle istituzioni, tanto
era l'entusiasmo per la causa del sostegno dei produttori storici. In
dieci anni la Società valli del bitto, ha agito all'opposto
di una società con fini di lucro (formalmente è una spa), operando
come una Fondazione riconoscendo ai produttori un “prezzo etico”,
gestendo un vero e proprio museo, svolgendo attività culturali
autofinanziate (o sostenute dai privati) che incidono pesantemente
sui costi del personale , costi che, qualsiasi altro soggetto non
inviso ai poteri forti e alle istituzioni, avrebbe addebitato a
qualche “progetto”. Nel frattempo le organizzazioni che gestisono
la promozione alimentare in Valtellina hanno speso milioni di euro,
spesso solo per dare lavoro agli amici con iniziative di nulla o
scarsissima ricaduta.
Marsetti
(ma non solo lui) chiede al bitto storico di non cambiare nome e di
continuare a “fare da traino”. Sarebbe come chiedere a Varenne di
trainare un pesante carro insieme a dei ronzini che – generosamente
alimentati di biada – lasciano al campione l'onere di spingere. Al
campione, nel frattempo, invece della biada si promette del fieno
(ammuffito).
I “ribelli del bitto” sono
dei “trogloditi che rifiutano la modernità” (come venivano
definiti solo qualche anno fa). Ma sono abbastanza avveduti da capire
che, sino a quando la politica non sarà in grado di legalizzare il
bitto storico, a loro conviene cambiare – sia pure provvisoriamente
– nome. Se ne facciano una ragione Marsetti e tutti gli altri.
In
un prossimo comunicato verrà precisato, anche a beneficio dei
consumatori, con che modalità e tempi sarà attuato il cambio del
nome. In ogni caso nella stagione d'alpeggio 2016 non sarà prodotta
alcuna forma di bitto storico. Il bitto storico (almeno per ora) è
morto.
Gerola
alta, 20 luglio 2016
LEGGI ANCHE per approfondire : http://ribellidelbitto.blogspot.it/2016/07/bitto-fa-paura-alla-casta-lo-storicoche.html
LEGGI ANCHE per approfondire : http://ribellidelbitto.blogspot.it/2016/07/bitto-fa-paura-alla-casta-lo-storicoche.html
Resistete e rivolgetevi a un turismo gastronomico di alto livello, alzate i prezzi e fate un prodotto esclusivo e di nicchia, lasciate indietro gli altri e dedicatevi ai grandi chef, ai grandi ristoranti, agli acquirenti internazionali; tanti meravigliosi piccoli produttori hanno fatto così e adesso giustamente se la tirano e se ne fregano dell'Europa e delle sue schifezze da supermercato... il Bitto è come il caviale, il tartufo, il culatello... chi vuole quello vero paga...
RispondiEliminacome spesso succede se ne vanno sempre i migliori.
RispondiEliminasono stato a visitare la casera di Gerola una settimana fa , non conoscevo tutta la storia delle controversie sul Bitto e sono rimasto colpito in primis dalla pulizia della casera e dai riconoscimenti provenienti da tutto il mondo sulla qualità e su come viene ottenuta .La cosa che più mi è rimasta impressa è la capacità e l'entusiasmo di Ciapparelli di spiegare il Bitto e la resltà umana e ambientale che dietro le quinte produce questo straordinario prodotto .
RispondiEliminaun augurio di tutto cuore ai Ribelli del Bitto ... non mollate
Romano
Assurdo! Ho appreso casualmente del decesso del Bitto Storico facendo la spesa su Cortilia, dove vendono lo Storico Ribelle.
RispondiEliminaQuesto mi spiega perche' all'ultima gita a Mrobegno, lo scorso ottobre, in una blasonata e storica drogheria del centro abbiamo comprato del formaggio indegno, ammuffito in pochi giorni, credendo di acquistare altro...
Resistete. Incredibile la cecita' e pochezza del comune di Gerola Alta. Svegliatevi! Anche solo per mero interesse...