martedì 5 luglio 2016

BITTEXIT e lacrime dei coccodrilli

L'assessore regionale Gianni Fava interviene  sul tema della bittexit confermando tutto quello che aveva dichiarato Paolo Ciapparelli: "non è legale un bitto storico nel quadro attuale, la scelta del cambio di nome è obbligata" 


(06.07.2016) Operando con la linearità che lo ha sempre contraddistinto, Paolo Ciapparelli, presidente del bitto storico ha dichiarato nei giorni scorsi alla stampa ciò che stava ormai circolando da mesi, ovvero che i produttori fedeli alla tradizione sono costretti a rinunciare al nome "bitto".

A queste dichiarazioni è seguita la fiera dell'ipocrisia. Si sono messi a stracciarsi le vesti, e a dichiararsi paladini del bitto storico, anche coloro che hanno lavorato con grande impegno per distruggerlo. Ma di loro (presidenti di Camera di commercio, sindaci) ci occuperemo successivamente. Qui ci preme mettere in evidenza come la scelta del cambiamento del nome da parte dei produttori del "Bitto storico - presidio Slow Food"  (la BITTEXIT)  è conseguenza della mancata soluzione - dopo vent'anni - della "questione bitto" (ma chi produce falso "Bitto storico " con molti mangimi - come dalle parti degli alpeggi comunali di Albaredo - è fuori causa).

Tale soluzione poteva arrivare solo dal riconoscimento giuridico del "Bitto storico", con la sua area di produzione, il suo metodo tradizionale e rigoroso, la sua aggregazione di produttori. Non si è mai voluto affrontare il problema perché ciò equivaleva a riconoscere davanti alla burocrazia UE gli errori (e le falsità) clamorose commesso in sede di istituzione della Dop.

Le istituzioni in vent'anni hanno partorito tre diversi accordi-bidone, che non affrontando il problema legale a monte si sono tradotti in traccheggiamento, presa per i fondelli dei produttori dello "storico" (nella speranza che prima o poi cedessero in forza di pressioni - la parola sarebbe un'altra - o di difficoltà economiche).

Ma sino ad oggi "gli ultimi Mohicani" resistono e ottengono anche lusinghieri successi e riconoscimenti. Sono anzi diventati una leggenda e sono in molti a schierarsi con Davide contro Golia.  Preso atto che anche l'ultimo accordo del novembre 2014 rappresentavaun pezzo di carta senza valore quelli del "Bitto storico" - sempre sostenuti da Slow Food in quanto presidio - hanno deciso di trarre le conclusioni: a costo di abbandonare agli altri il nome bitto bisognava preservare il senso di un'esperienza esemplare di resistenza casearia, salvare la produzione storica. Come? Mettendosi del tutto al di fuori del sistema Dop che per il bitto storico è stata una maledizione.

Ponendosi sul piano del gruppo di produttori che commercializzano con un proprio marchio al riparo di ogni ricatto e minaccia. Scelta dolorosa ma lungamente meditata (almeno da un anno a questa parte).


Scelta che è stata però caldamente raccomandata sin dall'inizio di quest'anno dall'assessore regionale all'agricoltura Gianni Fava. Al presidente del bitto storico l'assessore disse che le pressioni che venivano dalla Valtellina erano troppo forti, che lui non riusciva più "a tenerli fermi" e che non vi era alternativa al cambio di nome. Minacce del tutto credibili considerando che le sanzioni (inizialmente per decine di migliaia di euro) arrivarono nel 2009 dopo pochi mesi da quando un assessore (De Stefani) della provincia di Sondrio aveva minacciato al tavolo dell'ennesima trattativa in Regione : "ci vuole la Repressione frodi per voi". Non più tardi di qualche mese fa quando l'assessore regionale Fava cercava di "ricucire" dopo la rottura dell'accordo bidone del novembre 2014 toni minacciosi, anche se non così espliciti, furono usati dal presidente della camera di commercio di Sondrio, Emanuele Bertolini. Bastone e carota alternati da anni. I ribelli del bitto si sono stufati di blandizie, trappole, minacce. Ed è BITTEXIT.

Smascherati gli ipocriti che in Valtellina fingono (ora) di difendere il bitto storico

In questi giorni molti in Valtellina fingono di difendere il bitto storico e ne lamentano la "privatizzazione" da parte di Ciapparelli e dei suoi, proclamando che trattasi di "patrimonio del territorio".  Dietro di loro forse anche gli stessi che Fava doveva "tenere fermi" (perché non partissero denunce contro il bitto storico). In ogni caso chi parla di "patrimonio da tutelare"  ha fatto di tutto per cancellarlo (ma ci torneremo in prossime puntate). Così Fava è dovuto intervenire e ieri sul Corriere sono apparse delle dichiarazioni inequivocabili da parte dell'assessore, che confermano in pieno quando asserito da Ciapparelli.

 Potrebbero essere denunciati per frode in commercio — osserva l’assessore Fava —. Se la scelta sarà quella di un nuovo marchio, la Regione Lombardia è pronta a sostenerli. Io sono dalla loro parte. 

Fava non si è limitato a dichiarazioni incalzato dalla giornalista. Ha anche postato sul suo profilo facebook quello che appare un proclama a favore del bitto storico (pur senza dimenticare l'esigenza di rispettare la dura lex, i regolamenti europei che, implacabili, non consentono che esista un "bitto storico" ) .

Siamo alla svolta. Il bitto storico cambierà nome con ogni probabilità. Ma non abbandonerò questo gruppo di tenaci tradizionalisti delle montagne lombarde al loro destino. Regione Lombardia si impegna a garantire il diritto di tutti a produrre la tradizione, nella consapevolezza che esistono leggi e che vanno rispettate. Noi siamo pronti a sostenere questi uomini e queste famiglie che hanno fatto una scelta non convenzionale e ai quali buona parte del mondo dei consumatori più attenti guarda con simpatia. Rispettando le prerogative di chi ha legittimamente fatto scelte diverse. Viva i grandi formaggi delle Alpi lombarde!

La Valtellina prenda atto. Il cambio di nome del bitto storico - scongiurabile solo in forza di un'estrema iniziativa politica, di un sussulto di responsabilità e di dignità delle istituzioni locali - non contribuirà a migliorare un'immagine del "sistema" agroalimentare valtellinese che agli interessi industriali ha sacrificato (con l'istituzione di Dop e Igp discutibili) le vere eccellenze puntando a sfruttare l'immagine della montagna come puro "fondale".



Solo un sussulto di dignità delle istituzioni territoriali (provincia e comunità montane) può innescare un'azione di salvataggio del bitto storico. ma in discontiuità con i messaggi sin qui recapitati a regione Lombardia

C'è ancora in atto l'iniziativa promossa da AmaMont (associazione che si batte per una montagna viva) e appoggiata da molte associazioni culturali. Ma essa può procedere solo se in Regione Lombardia "sbarcherà" una Valtellina istituzionale resasi consapevole dei termini di una questione annosa, un po' meno attenta alle lobby e tale da apparire agli occhi di Fava "altra" rispetto a quella che minacciava di denunciare il bitto storico.
Vi è tempo sino a settembre quando al Salone del gusto verrà ufficializzato il nuovo nome dello storico formaggio degli alpeggi orobici.






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