RIPARTE LA CAMPAGNA SI SOSTEGNO ALLO STORICO RIBELLE (EX-BITTO STORICO)

BLOG UFFICIALE DEI RIBELLI DEL BITTO (SOCIETA' VALLI DEL BITTO BENEFIT)
La Società valli del bitto benefit è la forma organizzata, in grado anche di svolgere attività economica a sostegno dei produttori. Sono soci della "Valli del bitto benefit" i sostenitori (con ruoli di finanziatori/collaboratori volontari/consumatori), i produttori, i dipendenti Per associarsi basta acquistare una sola azione dal valore di 150 € per info: 334 332 53 66 info@formaggiobitto.com. Aiutaci anche anche acquistando una forma in dedica o anche solo un pezzo di storico ribelle vai allo shop online

venerdì 21 agosto 2015

Rivelazioni dei "ribelli": Eataly nuove gaffes sul bitto



Eataly non ne esce dalla questione Bitto. Ad ogni giro di "correzioni", "spiegazioni", "giustificazioni" si conferma che c'è qualcosa che non quadra. Non quadra con quel ruolo di "ambasciatrice del gusto" di cui Eataly si arroga  fingendo persino di sostenere la filosofia di Carlin Petrini del "buono, pulito e giusto".

Ma i "ribelli del Bitto" possono smentire carte alla mano che Eataly sia coerente con tale filosofia.  Distinguiamo però quello che riguarda il Bitto in generale e il Bitto dop in particolare da quello che riguarda il Bitto storico. Vediamo prima ciò che riguarda il primo. 

Non ci siamo. Non si presenta il bitto così

Il Giorno (vai a vedere) ha svelato l'origine del Bitto venduto nel negozio Eataly di NY. E' valtellinese ed è dell'azienda di Berbenno che carica l'alpe Prato Maslino, l'unico bitto bio, come avevamo noi stessi indicato nel post del 16 agosto (vai a vedere). 




Peccato che, come dimostra la foto sotto riportata da il Giorno, la forma in questione, sia per l'assenza di elementi di identificazione che per la tipologia della crosta, non trasmetta al consumatore una corretta idea di come deve essere e presentarsi il Bitto.

Eataly ha giustificato il cartellino con la dicitura "Beeto" dicendo che si tratta di "educazione fonetica" del consumatore (non rendendosi conto di quanto sdrucciolevole e insidiosa è la strada della storpiatura delle denominazioni di origine Dop proprio dove la legge europea non può proteggere da abusi).Il fatto che le leggi americane non impongano il rispetto delle norme con cui in Europa deve essere presentato un prodotto Dop non significa che esse non debbano essere rispettate. Un qualsiasi negozio Usa farà quello che gli pare, Eataly - invece - che si presenta come un'istituzione (e che ottiene evidenti appoggi politici in Italia) non può permettersi di essere meno rigorosa. Anzi, proprio per "educare" il consumatore americano dovrebbe essere ancora più attenta.

Il disciplinare di produzione del Bitto dop (vai a vedere) prescrive: "Aspetto esterno: crosta compatta di colore giallo paglierino che diventa più intenso con la stagionatura, di spessore compreso fra 2 e 4 millimetri"

Che il Bitto della foto, sia pure valtellinese, corrisponda al Bitto dop nel suo aspetto esteriore (che è ciò che il consumatore coglie con la vista) lasciamo decidere a lettori.

Saranno la ditta fornitrice, Eataly e il Consorzio ufficiale di tutela del bitto (Ctcb) di Sondrio che dovranno chiarire le cose tra loro.

Noi del Bitto storico non siamo direttamente implicati nella questione anche se non ci fa certo piacere che l'immagine del Bitto in generale, in questa storia di Bitto piemontese, Beeto, Bitto con aspetto non da Bitto (e senza elementi di identificazione della Dop), non ne esce certo bene.

I veri amareggiati sono i produttori storici del Bitto, presidio simbolo di Slow Food

Ma le cose non finiscono qui. E' Eataly che maldestramente chiama in causa direttamente il Bitto storico presidio Slow Food commettendo un grave errore perché in questo modo offre il destro ai produttori del Presidio Slow Food che rivelano il loro rapporto con Eataly. 

Dice Dino Borri, head buyer Eataly Usa interpellato da Il Giorno: "Le parole che ho letto in questi giorni mi hanno personalmente amareggiato. Sono quasi 20 anni che cerco in tutti i modi di portare avanti la filosofia del "buono, pulito e giusto".   



Paolo Ciapparelli, il guerriero del Bitto

In questo modo Borri chiama in causa Slow Food, Petrini, i presidi. Forse non sa che i produttori del bitto storico sono non solo amareggiati, ma amareggiatissimi (per non dire altro) nel confronti di Eataly. Il Bitto storico da 15 anni è un presidio simbolo della chiocciola ma Eataly cosa fa?




Per anni nel negozio di Torino a Eataly si sono proiettati video con il Bitto storico e con il "guerriero del bitto" (Paolo Ciapparelli) senza che il Bitto storico venisse acquistato. Poi con l'inaugurazione del negozio allo Smeraldo a Milano sembrava si aprisse la possibilità di un rilancio di rapporti. All'ingresso del grande negozio c'è una maxi mappa della Lombardia con i "prodotti di eccellenza". In Valtellina sono collocati Sfurzat (il vino della Negri) e il Bitto storico. Peccato che il Bitto storico non sia in vendita. E come mai? Perché l'azienda del Farinetti tanto segue la filosofia millantata da Borri che voleva imporre ai produttori del Presidio Slow Food un prezzo sottocosto. Insomma il filantropo Farinetti voleva aiutare i produttori del Presidio Slow Food a ... morire (per chi fosse interessato ci sono le "carte" a cantare" su questa vicenda). Il filantropo Farinetti, vate dell'agroalimentare di eccellenza, acquista Bitto dop, ovvero quello che - con una modifica del disciplinare di produzione, formalizzata nel 2006 dopo 10 anni di dop - utilizza i mangimi e i fermenti industriali e può anche non usare una goccia di latte di capra. Il tutto in spregio alla tradizione (motivo per cui i "ribelli" si sono resi autonomi e hanno costituito il Presidio Slow Food).  


Forse sarebbe stato meglio tacere.




mercoledì 19 agosto 2015

Eataly NY versus Bitto. Perseverare è diabolico

Dopo le roventi polemiche e gli sfottò su Eataly (e il guru Farinetti) nel negozio Eataly di New York è stata praticata una "correzione" alle gaffes che massacravano l'immagine del Bitto (segnalata da il Giorno). Però nel tentativo di mettere una pezza ai allarga la falla dimostrando che il difetto... è nel manico.

Da un presunto Bitto indicato come piemontese, ma dall'aspetto "giusto" (vedi post precedente di ribellidelbitto), si è passati - stando alle foto riportate da il Giorno - ad un non Bitto indicato ora come lombardo ma dall'aspetto... piemontese. La telenovela di Eataly New York, la più grande vetrina del Made in Italy continua. 

Saremo "incazzosi" e ribelli ma chi se ne intende di formaggi non potrà non convenire sui nostri rilievi, di natura squisitamente tecnica. 

Nel Bitto la crosta si presenta sottile e gialla, si ispessisce e assume una colorazione scura (ma uniforme) con l'invecchiamento (parliamo di anni). E' il risultato di una costante raschiatura a secco che fa parte integrante del ciclo di produzione del Bitto. La crosta pulita (anche per evitare i danni degli acari) è un vanto e un emblema del Bitto. E costa fatica mantenerla. 



Nella foto del Beeto di Eataly New York (a sinistra) la crosta (e la pasta) hanno le caratteristiche del vero Bitto. Nella foto a destra, con il cartellino corretto) la crosta denuncia in modo lampante che non si tratta di Bitto. Cosa ci racconta questa crosta? 

1) Che le efflorescenze fungine di colore grigio chiaro su una morchia di colore bruno-rossiccio non sono state eliminate come avviene nella stagionatura del Bitto; 





2) Che il formaggio in questione è stato mantenuto in ambiente molto umido e/o trattato con spugnature, tutto il contrario di quanto avviene nella cura del Bitto.

Paradossalmente il primo "Bitto" (ma senza le etichette e i marchi ufficiali del Consorzio Ctcb e del Consorzio bitto storico non è possibile qualificarlo tale in ogni caso) era credibile e lombardo, sia pure indicato come Piemontese, il secondo indicato come "Lombardo" presenta una crosta tipica di alcune tome (come quella di Gressoney o alcune piemontesi).




Bitto dop del Consorzio Ctcb

Aggiungasi che il mantenimento del formaggio in un ambiente molto umido e l'attività fungina stessa agiscono nel senso di accelerare la maturazione e l'intensità organolettica. Fattori di cui il Bitto non ha assolutamente la necessità perché punta sulla lunga stagionatura. Un formaggio con la crosta di quello venduto da Eataly NY come "Bitto" non dovrebbe avere il diritto di chiamarsi tale. 



Bitto dop "Valli del Bitto" (menzione precedente a "Bitto storico") con il colore scuro della crosta che viene assunto dopo non pochi anni di stagionatura

n.b. Il Bitto per essere tale e non tarocco deve o avere il marchio bitto e la pelure rossa (Consorzio Ctcb) o, vergata a mano con inchiostro di mirtillo, la dicitura "Bitto storico" e provenire da uno dei 12 alpeggi ufficiali il cui nome (Bomino soliva, Ancogno soliva, Parissolo, Cavizzola, Trona vaga, Trona soliva, Valvedrano, Pescegallo , Foppe, Varrone, Orta vaga, Orta soliva) è impresso sullo scalzo insieme al bollo Ce e alla data. In assenza di questi elementi trattasi di taroccatura. Siamo sempre in attesa di giustificazioni a questi rilievi da parte di Eataly.

domenica 16 agosto 2015

Eataly New York: una serie di gaffes sul Bitto


Nel negozio Eataly di New York il Bitto vittima di una serie incredibile di gaffes che la dicono lunga sul mito di Oscar Natale Farinetti "salvatore della patria" del Made in Italy e delle eccellenze alimentari artigianali. Per di più le gaffes riguardano un prodotto che è uno dei più prestigiosi presidi di Slow Food.   In questi giorni un morbegnese in visita a New York è passato dal celebrato negozio Eataly, una delle meraviglie della mela, sic. Ha scattato un paio di foto prontamente inviate al Centro del bitto di Gerola alta chiedendo lumi sul "bitto piemontese". Le foto sono state postate e ne è derivata una grandinata di commenti indignati.

vai alla pagina fb del bitto storico

Va bene che gli Usa sono la madre di ogni taroccatura e storpiatura dei prodotti alimentari italiani ma che a incentivare il malcostume sia Eataly di Farinetti... 
Analizziamo le foto. Qui c'è una forma di quello che  a giudicare dal colore, dallo scalzo, dall'occhiatura parrebbe senz'altro Bitto. Se non che, per facilitare la pronuncia il nome viene storpiato in Beeto. Invenzioni estemporanee di cui non si sente proprio il bisogno visto che molti in mala fede in Usa se ne approfittano.
In più si legge anche "Piemonte" come regione di origine del prodotto.  Piemonte? Di annessionismi sabaudi ne abbiamo avuto abbastanza nel 1859. Cos'è questa nuova "annessione" del Bitto, orobico e lombardissimo? 
Ma a ben guardare c'è dell'altro che non va. Si vede che il piatto è privo dell'etichetta rossa.


Non possiamo vedere se c'è o non c'è il marchio della dop ma la pelure non c'è. Quindi non è Bitto dop.


Le anime candide potrebbero pensare che sia Bitto storico l'unica altra denominazione legittimata ad utilizzare il nome Bitto in quanto Presidio Slow Food. Data la vicinanza tra la chiocciola e l'imprenditore parrebbe logico. Non è così. A parte che non c'è l'ombra di indicazioni circa la natura "storica" del Bitto in vendita (che viene peraltro denominato Heritage Bitto sul mercato internazionale), c'è un piccolissimo dettaglio: Farinetti non compra Bitto storico del presidio Slow Food perché... costa troppo. 
Sarebbe disposto ad acquistarlo sottocosto ma i produttori di essere "aiutati" a... morire da tale filantropo non ci pensano proprio. Quindi non è Bitto storico quello in vendita a Eataly a New York. E allora cos'è? Quello della foto sopra può essere Bitto ma non può essere venduto come Bitto a meno che... si voglia incentivare la fiera americana del gioco al massacro delle denominazioni d'origine.




Non è finita. Il formaggio "Piemontese" venduto come Bitto è qualificato anche come "biologico". Fatto molto strano e dubbio perché c'è una sola azienda che produce Bitto dop a Berbenno (alpe Prato Maslino) ed è aderente al Consorzio, quindi il prodotto dovrebbe avere l'etichetta rossa.
Dulcis in fundus guardate un po' voi se questo Bitto, piemontese e bio venduto porzionato vi sembra uguale alla forma di prima. Molto chiaro, senza occhiature, crosta sottilissima e pare anche di leggere una lettera sulla crosta (che non è quella del marchio dop).
A fianco di questo "bitto" un Vezzena di Lavarone, nota località trentina, anch'esso qualificato piemontese. Non è una svista quindi ma un errore ripetuto (ed errare è umano mentre perseverare....).
In due foto una collezione di cose che non vanno. Invece di promuovere una corretta conoscenza del Made in Italy caseario d'eccellenza si contribuisce alla confusione. 





venerdì 14 agosto 2015

Heritage bitto cheese alpine pastures

Just 127 km from the Expo site a chance to discover a reality that has become an international case of good clean and fair food




During the summering season you can visit the alpine huts where Heritage bitto cheese is produced. For any information contact the Bitto center (Centro del Bitto) in Gerola alta (english spoken), where a stop is a must. It is impossible to understand what heritage bitto cheese means if you do not visit the ripeninig cellars where heritage bitto is mantained. It is something unique, a living museum notwithstanding the premises are only few years old. These cellars are known as the Bitto cheese Sanctuary.
Here the pieces produced on the alpine pastures are kept for years. The knowledge of individual cheesemakers and pastures begins from tasting cheese from different alpine pastures. Their flavors are always distinguishable
The visit of the "center" is also an opportunity to taste the Mascherpa (whey cheese obtained by adding goat milk) coming daily from the pastures. Do not forget the specialties of chef Albino as well as the artisan cured meats (of the highest quality). 
For accommodation and full meal there are some hotels, bed & breakfast and mountain huts. Valli del Bitto Hotel is just in font of the "center" and the Tre Signori within walking distance. Other accomodations in Gerola alta and in the area are shown in the maps
along with contacts and info (click on the icons). Enjoy your visit. 

Alpeggi del Bitto storico

A soli 127 km dall'Expo la possibilità di visitare una realtà che è diventata un caso internazionale di cibo buono pulito e giusto




Durante la stagione d'alpeggio si possono visitare i siti di produzione del bitto storico. Per avere informazioni rivolgetevi al Centro del Bitto a Gerola alta, dove una tappa è d'obbligo. Non si comprende la realtà del Bitto storico se non si visita la casera di stagionatura: un vero unicum, un museo vivente per quanto di recente realizzazione (chiamato Santuario del Bitto). 
Qui le forme prodotte sugli alpeggi sono conservate per anni e qui inizia la conoscenza dei casari e degli alpeggi: attraverso i sapori (sempre distinguibili) delle forme provenienti dal singolo alpeggio. Ma la tappa al "Centro" è anche occasione per degustare oltre al Bitto storico la mascherpa (ricotta ottenuta con aggiunta di latte di capra) freschissima degli alpeggi e le specialità dello chef Albino oltre a salumi artigianali di primissima qualità. Per pernottare e per pranzi completi (da ristorante) vi sono l'Albergo Valli del Bitto, proprio di fronte al "Centro" e il Tre Signori (a pochi passi), i rifugi Salmurano, Trona Soliva, San Marco 2000  

Tutto è indicato nella mamma con i contatti e le info (cliccare sulle icone). Buona visita

In agosto il Centro è aperto tutti i giorni. Mattina e pomeriggio


mercoledì 6 maggio 2015

Bitto storico: un gioiello in asta

(06.05.15) C'è chi continua a sostenere che il formaggio è solo un alimento e che solo le strategie di quantità possono pagare (con un po' di cosmesi di marketing e meglio con tanto sostegno pubblico) non si rassegna ad essere smentito dal caso del bitto storico. E chi ha combattuto (e continua a combattere) l'utopia ribelle dello "storico" sta perdendo la faccia



di Michele Corti

Il bitto storico sta scrivendo un nuovo capitolo nella storia dell'alimentazione. A dirlo sono eventi come l'asta Bolaffi di settimana prossima in un tempio della moda milanese (a fianco del ben più importante tempio internazionale della musica: la Scala), un'asta che vedrà battute diciassette forme di bitto storico, alcune risalenti al 2000, una - la decana - al 1996

La sede della casa di mode Miroglio a fianco della Scala a Milano dove "sfileranno" le forme di bitto storico

Nessuna esagerazione in ciò. Contro ogni ragionevole previsione, contro la "ragionevolezza" dei succubi, dei ricattabili con una minaccia da nulla, non solo è sempre in campo, ma sta umiliando coloro che da tanti anni cercano di farlo sparire. Non lo sopportano perché presenza scandalosa per dei modelli di agroalimentari basati sul "mulino bianco", sul sostegno pubblico, sulle connessioni politico-finanziarie, sull'erosione parassitaria dei capitali di rinomanza e credibilità costruiti nei secoli dagli artigiani del cibo. Il bitto storico, però, non molla perché forte del sostegno, a volte palesemente espresso, a volte silenzioso, di chi vede nella sua esperienza un argine allo scivolamento progressivo verso la logica del cibo di plastica globale, né buono né pulito né giusto. Cui ci conducono gli opportunisti, gli speculatori, i pavidi.
Carlo Duca, giovane casaro che fa inorridire gli igienisti con il suo abbigliamento poco "ortodosso" è l'autore della maggior parte delle forme che andranno all'asta a Milano in Piazza della Scala il 13 maggio. Maestro indiscusso della lunga stagionatura. Questa immagine apre la sessione "gastronomica" del catalogo dell'asta

Protagonista delle aste del vino e della gastronomia
Mercoledì 10 maggio il bitto storico si prepara a vivere una delle sue grandi giornate. Un'asta come mai prima d'ora si era vista. Oggi sono ben diciassette le forme di "storico" all'asta. La maggior parte intere, qualcuna a metà, qualcuna a quarti.  Le forme più antiche sono due del 2000 dell'Alpe Ancogno soliva (Mezzoldo, Bg) opera del mastro casaro Carlo Duca di Talamona (So). Pesano 17 kg l'una e la base d'asta è di 2.000 € l'una (118 € il kg). Vero è che lo "storico" non è nuovo alle aste. Ma i precedenti erano ben diversi.  Il 19 dicembre 2011 (in vista del natale) a Parigi  presso l'Hôtel Marcel Dassault negli Champes-Elysées era andata all'asta (casa d'aste Artcurial) una forma di bitto del 2004 per 1000 euro. I prodotti gastromici provenienti da diversi paesi erano stati selezionati dal giornalista enogastronomico Bruno Varjus.  

Il secondo precedente è quello di Bra (nel contesto di Cheese) del 19 settembre 2011 (vai a vedere l'articolo di allora di ruralpini). Vennero battute tre forme, una del 1996, una del 1997 e una del 1998. La prima venne prodotta nell'estate del 1996 dal casaro Acquistapace Faustino all'alpe Trona Vaga. Un casaro eccezionale ora ritiratosi e con gravi problemi di salute. Quando ha saputo che la sua forma di dieci anni fa era la star di un grande evento di risonanza più che nazionale Faustino si commosse alle lacrime. 
Complessivamente le tre forme furono battute per 6 mila euro. La più vecchia, quella del 1996, fu protagonista di una storia particolare. Se la aggiudicò Virginio Cattaneo, patron del ristorante hotel La Brace di Forcola (So) e socio dalla fondazione della società Valli del Bitto, la strana spa etica (ma cosa è ordinario nella storia del bitto storico?) che rappresenta il braccio commerciale dei ribelli del Bitto e che conta tra i soci il Consorzio per la salvaguardia del bitto storicoe i singoli produttori oltre a piccoli imprenditori, professionisti e sostenitori (coproduttori) che sostengono con il loro capitale (senza ricevere null'altro che il 2% di dividendo simbolico di bitto storico in natura). Gino si riportò la forma in Valtellina ed è rimasta nel "Santuario del bitto" (la casera di Gerola alta) sino ad oggi. Oggi essa è pronta per la nuova asta. Per entrare nella leggenda. Anche nel 2011 l'incasso fu devoluto per la campagna di Slow Food 1000 orti per l'Africa (che nel frattempo sono divenuti 10 mila).
Ma vediamo cosa dice lo stesso Guido Bolaffi dell'asta:  

L’idea è stata quella di far “sfilare” grandi vini e prodotti gastronomici con le battaglie a colpi di rilanci “in vetrina” da Miroglio, a pochi metri dalla Scala, centro di cultura, in uno spazio tradizionalmente dedicato alla moda, altro grande orgoglio del made in Italy. Questa scelta è stata dettata dalla volontà di far vivere al pubblico che sarà con noi il giorno dell’asta un’esperienza nuova, divertente, un po’ mondana, ma soprattutto al cospetto delle grandi eccellenze che l’Italia e Milano hanno da offrire.


Qualcuno potrebbe storcere il naso: "Ma come, tanta retorica sulla dura vita dei pastori, sull'etica del prodotto alimentare e poi vi mescolate alla mondanità, esaltate un prodotto per pochi ricconi"? Sì, a prima vista può apparire stridente il contrasto tra il contesto dove il bitto nasce, sui pascoli alpini, tra forti sentori di erba, di latte, di sterco, del sudore di chi lavora onestamente alle atmosfere mondane delle signore profumate e ingioiellate.  Innanzitutto va chiarito che il bitto storico è formaggio al vertice dell'eccellenza "da sempre", non è un'invenzione di marketing per solleticare i palati e i portafogli dei "sciuri". Circa 1200 anni fa il bitto a Milano arrivava già, e finiva sulla tavola dei potenti abati di Sant'Ambrogio che erano entrati in possesso di alpeggi nella valle del Bitto per l'unico e preciso motivo consistente nel poter disporre con garanzia di continuità del prezioso formaggio che veniva corrisposto loro quale "canome in natura". Era la rendita delle loro possessioni. Per secoli solo i ricchi hanno potuto permettersi vini pregiati e formaggi come il bitto. Ma oggi non è più così.
Al di là della facile demagogia non è difficile capire che chiunque, rinunciando a un po' di quantità (in Italia si consumano 27 kg a testa di formaggio contro i 7 dei primi anni Sessanta) può, se ritiene che ne valga la pena, acquistare del bitto storico. Non è formaggio "facile" da colmare un languorino, da mangiare tutti i giorni. È formaggio da meditazione. Ma il valore del bitto storico non è legato solo all'esperienza sensoriale. Ha commentato nella presentazione contenuta nel catalogo dell'asta Piero Sardo, esponenste storico di Slow Food, e grande e sincero amico del bitto storico:

L’occasione di avere a disposizione queste annate di Bitto e di Parmigiano, queste selezioni di Aceto Balsamico e San Daniele è irripetibile: assaggiarle sarà come fare un viaggio a ritroso nel tempo. Quanto sareste disposti a pagare per un viaggio nel tempo? Ecco la vostra occasione.


Chi si aggiudicherà le forme di bitto storico in asta contribuirà non solo alla campagna per gli orti in Africa ma anche a rafforzare l'immagine del bitto storico. Di per sé questo è un atto etico perché rafforza un simbolo di un modo buono, pulito e giusto di allevare gli animali, trattare il latte, gestire il pascolo, curare la montagna, mantenere un patrimonio millenario di saperi e valori che è di tutta l'umanità.

lunedì 4 maggio 2015

Bitto storico alla TV tedesca simbolo dell'Expo "buona"

(04.05.15) Con un reportage dall'Italia che ha per protagonista il bitto storico il principale canale televisivo tedesco presenta ai suoi telespettatori il leggendario formaggio delle alpi lombarde quale simbolo di un sistema agricolo etico camdidandolo a rappresentare l'Expo "buono"



di Michele Corti

In occasione del secondo giorno di Expo, domenica 3 maggio, è andato in onda sul principale canale televisivo germanico (ZDF) un servizio su Expo, fame, biodiversità che ha per protagonista il bitto storico individuato come simbolo di una produzione sostenibile che tutela l'identità delle piccole produzioni artigianali legate alla storia e al territorio, che tutela la biodiversità ma che è anche capace di vera solidarietà partecipando attivamente alla campagna 10.000 orti per l'Africa
Per approfondire i temi che avrebbero dovuto essere quelli dell'Expo (quelli con i quali Milano aveva ottenuto l'aggiudicazione) il più importante canale televisivo tedesco, la rete pubblica ZDF Zweites Deutsches Fernsehen ("Seconda Televisione Tedesca") ha trasmesso il 3 maggio un lungo servizio nel quale il protagonista è il bitto storico (di cui si parla per 8 minuti su 28). Il bitto storico è presentato come un fiore all'occhiello di Slow Food. Introdotto da un'intervista a Carlin Petrini che esprime amarezza per come l'Expo sia diventata una fiera di padiglioni con la perdita di quelli che erano le più interessanti tematiche, inprimis quella di un sistema alimentare globale ingiusto.
Il collegamento tra il tema dell'accesso negato al cibo e un prodotto come il bitto storico lo stabiliscein modo apparentemente inaspettato (ma poi capiremo perché) un membro etiope di Slow Food impegnato nella campagna "10.000 orti per l'Africa". Sulla base del principio che il problema della fame non si affronta con l'assistenzialismo peloso occidentale (che introduce i sistemi agroindustriali, le monocolture, gli ogm) ma realizzando la sovranità alimentare, tutelando la biodiversità, l'agricoltura contadina, le forme comunitarie.
L'intervista a Paolo Ciapparelli, il "guerriero del bitto", inizia a Bra nella sede di Slow Food a sottolineare il legame profondo e speciale (e possiamo ormai dire... storico) tra la Chiocciola e il formaggio ribelle per antonomasia. All'Expo, un giorno prima che andasse in onda il reportage della tv tedesca, Piero Sardo (presidente della Fondazione Slow Food per la biodiversità), che presentava insieme a Paolo Ciapparelli la storia del bitto storico nello spazio Slow all'interno di Expo, ha affermato: "Tra 400 prodotti tutelati da Slow Food il bitto storico ha un posto particolare".
Da Bra il reportage è proseguito a Gerola alta, dove ha sede quel Centro del bittoche si è guadagnato la fama di "Santuario del bitto". Ma non senza passare prima dal... "Tempio del Bitto" ovvero dallo storico negozio del F.lli Ciapponi nel cuore antico della capitale "nordica" delle Orobie. Pur operando su piani diversi: commerciale i Ciapponi, "di battaglia" e di animazione territoriale Ciapparelli, vi è stima reciproca tra questi due personaggi che rappresentano colonne della "comunità di pratica" del bitto.  
Ciapparelli è il primo a riconoscere il debito verso Ciapponi che sin da prima della metà del secolo scorso, attraverso la sua accurata selezione e conoscenza del bitto (il padre era caricatore d'alpe), ha consacrato il bitto quale "formaggio perenne", ovvero di lunghissima stagionatura. La vetrina con le forme di dieci anni esposte in bella vista, quale orgoglio della ditta, era un'attrazione già negli anni Sessanta come può testimoniare di persona chi scrive che da ragazzino restava estasiato - se vede che c'era qualcosa scritto nel destino - davanti a quelle grandi forme con annate più vecchie di lui (o almeno coetanee).

Il negozio Ciapponi è anche un vero e proprio museo oltre che essere un vero monumento con quelle cantine (quella dei formaggi e qualla dei vini) che scendono tre livelli sotto il piamo stradale.
Grazie al servizio della ZDF (ma sarebbe meglio dire grazie al bitto storico e grazie a Ciapparelli, senza la cui coriacea ostinazione nel perseguire la "buona battaglia" il bitto non ci sarebbe più) milioni di tedeschi hanno conosciuto un bellissimo "alpen dorf" di nome Gerola alta, duecento abitanti in inverno ma tanta notorietà grazie al mitico formaggio che si fa ancora come mille o duemila o anche più anni fa (forse era solo un po' più piccolo e con più latte di capre e pecore rispetto a quello vaccino). Ammantata con una fresca nevicata primaverile Gerola è apparsa al meglio sugli schermi germanici.
Ed ecco il Centro del bitto. All'esterno una palazzina dalle tinteggiature un po' troppo vivaci (non particolarmente brutta ma neppure bella) non lascia supporre come entrando e scendendo al livello interrato si spalanchi una vera e propria "sala del tesoro". Con l'oro degli alpeggi, l'oro delle Orobie.
Il merito della realizzazione della più bella casera di stagionatura delle Alpi (almeno tra quelle di recente realizzazione) non è delle istituzioni, che hanno sino a ieri osteggiato apertamente il bitto storico, ma della Società Valli del Bitto, 114 soci che - oltre a versare il capitale -  hanno dato piena fiducia e un mandato praticamente in bianco a Ciapparelli, il custode del bitto, per realizzare un centro che valorizzasse al meglio un prodotto da leggenda. I "muri" sono del comune di Gerola che riscuote un canone che, invece di essere di sostegno per l'azione che il Centro del bitto svolge per far conoscere il paese e per tenerlo vivo,  è palesemente al di sopra dei valori di mercato. Ma questo è parte della "strana" storia del bitto.
Contestati come "trogloditi" dai saccenti esperti di filiere agroalimentari e di marketing, Ciapparelli e i suoi hanno inventato il marketing delle forme in dedica. Questa forma di valorizzazione commerciale consente una vendita anticipata alleggerendo l'annoso problema di immobilizzo finanziario (con le dolenti note degli interessi passivi corrisposti agli istituti di credito)  che affligge chi fa qualità utilizzando i tempi lunghi quale fattore di produzione.  Una lezione di creatività commerciale a quelli che Paolo chiama affettuosamente i "brocchi" (è troppo buono per usare apprezzamenti offensivi).
La modalità delle vendite attraverso le forme in dedica trova svariate applicazioni. Ci sono forme delicate per i ristoranti, per le associazioni, per celebrare particolari eventi familiari o collettivi. Queste forme in dedica finiscono anche in Giappone, Stati Uniti, Germania (come quella mostrata sopra da Ciapparelli). Non vale la pena aggiungere parole per sottolineare il valore di veicolo promozionale di queste forme. Ma le forme dedica possono raggiungere anche altri scopi come quella che vediamo nel fotogramma sotto vergata sotto l'obiettivo della videocamera dalla mano della giovane "calligrafa" Gloria, l'ultima neo assunta dalla Società valli del bitto.  Destinata all'asta del 13 maggio (Bolaffi) in Piazza della Scala a Milano, insieme ai migliori vini italiani (ovviamente sull'onda di Expo).
Pur avendo non poco bisogno di autofinanziarsi il bitto storico devolverà l'incasso dell'asta alla campagna 10.000 morti per l'Africa (nella foto sopra tradotta in tedesco per i telespettatori germanici). Il bitto storico è già campione di sostenibilità e di "agricoltura etica" rifiutando i mangimi che contengano materie prime spesso OGM prodotte oltre mare sottraendo la terra alle comunità contadine. Persegue caparbiamente la tutela e la valorizzazione delle razze autoctone (la capra orobica e la mucca bruna alpina originale). Il pascolo utilizzato da questi animali rustici, che sanno sfruttare anche le colme più aperte sassose, senza sottrarre un m² alla produzione di cibo per gli esseri umani.
Da questo punto di vista il bitto storico potrebbe ritenersi più che in pace con la propria coscienza, con l'etica ambientale e sociale alle quali si ispira. Ma il bitto storico non si accontenta amari, vuole fare il massimo. Sempre.
Nel 2011, a Cheese, furono battute all'asta tre forme di bitto storico che incassarono complessivamente 6.000 mila euro per la campagna 1.000 orti per l'Africa (nel frattempo l'obiettivo si è decuplicato). Il ragazzo etiope che abbiamo visto sopra utilizzò quei 6 mila euro per un progetto sul campo gestito da lui stesso. Tutto trasparente (altro che ONG miliardarie). Così la ZDF ha voluto rendere omaggio all'bitto storico con un commovente fotomontaggio in cui la forma dedicata ai "gärten für Afrika" si trasforma in un orto comunitario.

Tra le forme di bitto storico che andranno all'asta in piazza della scala a Milano il 13 maggio vi è anche una gloria millesimata 2000 (fotogramma sotto).
Con l'incantevole paesaggio della Valgerola ammantata di bianco sullo sfondo la televisione tedesca ha inserito un filmato sulla produzione estiva in alpeggio mandando in onda vacche brune e capre orobiche.
Il servizio ha voluto far vedere ai telespettatori come vivono le regine delle proprie durante il periodo invernale. Per farlo Ciapparelli ha condotto la troupe alla stalla il legno di Alfio Sassella uno dei caricatori d'alpeggio del bitto storico nonché presidente della neonata Associazione lombarda degli allevatori della razza bruna originale e consigliere dell'altrettanto recente Associazione produttori formaggi di capra orobica.
All'epoca in cui fuori dalla stalla la neve è ancora alta dentro risuonano i belati dei vispi capretti orobici. Che con dei papà così affettuosi come Alfio e Paolo non possono non avere davanti a sé una vita di libertà in montagna. E anche questa forma di rispetto degli animali, delle loro attitudini e caratteristiche comportamentali e fisiologiche fa parte dell'etica del bitto storico.