RIPARTE LA CAMPAGNA SI SOSTEGNO ALLO STORICO RIBELLE (EX-BITTO STORICO)

BLOG UFFICIALE DEI RIBELLI DEL BITTO (SOCIETA' VALLI DEL BITTO BENEFIT)
La Società valli del bitto benefit è la forma organizzata, in grado anche di svolgere attività economica a sostegno dei produttori. Sono soci della "Valli del bitto benefit" i sostenitori (con ruoli di finanziatori/collaboratori volontari/consumatori), i produttori, i dipendenti Per associarsi basta acquistare una sola azione dal valore di 150 € per info: 334 332 53 66 info@formaggiobitto.com. Aiutaci anche anche acquistando una forma in dedica o anche solo un pezzo di storico ribelle vai allo shop online
Visualizzazione post con etichetta Paolo Ciapparelli. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Paolo Ciapparelli. Mostra tutti i post

domenica 23 agosto 2015

Siccità sugli alpeggi e ipocrisia "ambientalista"

 La grave siccità che ha colpito gli alpeggi a luglio, perdurando sino alla prima settimana di agosto, non è rimasta senza conseguenze. Ma chi soffre di più per il calo di produzione di latte è chi non usa i mangimi, ovvero chi rispetta il pascolo e l'ambiente. Così solo i "puristi dei pascoli" si sono fatti sentire


Quest'anno la siccità ha picchiato duro sui pascoli alpini. L'erba è maturata precocemente, troppo in fretta e altrettanto rapidamente è maturata divenendo "paglia in piedi". Ma sono poche le voci che si sono levate per attirare l'attenzione sulle sue conseguenze e per chiedere delle misure compensative. Tra queste quelle di Paolo Ciapparelli, il "guerriero del bitto", che ha accusato apertamente le istituzioni di disinteressarsi del problema, e quella di Giovanni Dalmasso, presidente dell'Adialpi (margari di Cuneo)

Gli alpeggi rappresentano un settore di "nicchia" e la politica e le organizzazioni agricole hanno ben altri interessi. Quando se ne interessano intervengono con la leva dei contributi. Da sola, però, essa produce  corse speculative che danneggiano i veri alpeggiatori. Così anche nella realtà lombarda, che meglio di altre "teneva", il numero delle vacche da latte monticate in dieci anni si è dimezzato.
Paga di più le conseguenze dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici chi meno ne è responsabile

Il microcosmo dell'alpeggio e della zootecnia montana ci consegna amare riflessioni sull'ipocrisia "ambientalista" che domina nel discorso pubblico. Chi custodisce biodiversità e  saperi ambientali, usa in modo saggio e prudente le risorse naturali è penalizzato da un sistema che continua a incentivare le produzioni insostenibili.
Prodotti alimentari a basso costo ottenuti con abbondante energia fossile, disseminazione di veleni chimici, ogm, distruzione di fertilità naturale dei suoli, distruzione della troppo evocata biodiversità, creano catene di valore fondamentali per il sistema economico. E la politica continua a premiare l'agricoltura industriale, che si fa ascoltare attraverso gli interessi organizzati.  
Chi quest'anno in alpeggio ha fatto uso di mangimi è sfuggito in larga misura alle conseguenze della siccità. Chi non li usa (garantendo una qualità - anche salutistica - superiore del formaggio) è stato pesantemente penalizzato. Inutile ricordare che la produzione e l'uso dei mangimi contribuiscono all'effetto serra (nel caso dell'alpeggio si aggiunge il trasporto in elicottero ad aggravare il contributo alle emissioni di CO2)

Solo voci isolate si sono levate a denunciare la gravità della situazione

Paolo Ciapparelli, il presidente del Consorzio per la salvaguardia del bitto storico, non ha mai avuto peli sulla lingua (è infatti considerato un gran rompicoglioni dall'establishment politico-imprenditoriale-istituzionale valtellinese).
Paolo Ciapparelli, il guerriero del bitto storico. Ma anche il "druido dell'erba"

Poteva tacere Ciapparelli  in un simile frangente? No di certo, avendo da vent'anni in qua impostato la sua battaglia sulla difesa della qualità del formaggio d'alpeggio, che nasce dall'alimentazione a base di erba di pascolo in via esclusiva, avendo fatto del rispetto del perfezionatissimo sistema di pascolo razionato praticato negli alpeggi storici del bitto una specie di religione. E così interpellato dal quotidiano La Provincia è andato giù piatto (22 agosto 2015). Riferendosi alla siccità sugli alpeggi ha dichiarato:

Un grave danno in termini di produzione e di gestione del pascolo: 40 giorni di temperature molto al di sopra della norma, nessuna pioggia e il fieno a 2.000 metri sono condizioni che a nostra memoria non si sono mai verificate. Parliamo di una perdita del 25-30% in termini quantitativi. Di fronte a tutto questo però le istituzioni hanno taciuto: non una parola e tanto meno un intervento in emergenza sulla situazione. Tutto il gran parlare intorno al valore del mondo contadino di montagna si dimostra vano di fronte alla totale incapacità di prestare attenzione a problemi enormi come quello di questa annata d’alpeggio.

Dal momento che in Valtellina si guarda molto alla Svizzera Ciapparelli non ha potuto fare a meno di ricordare la mobilitazione dell'esercito svizzero a favore dei pascoli per portare acqua necessaria ad abbeverare le mandrie. Un intervento durato settimane (terminato solo il 19 agosto). Non è tanto l'entità dell'intervento in sé che ha indotto Ciapparelli a confrontare la reazione svizzera con quella italiana quanto il rilievo che, oltreconfine,  ha avuto la notizia, finita sui TG nazionali. Una diversa attenzione che si esprime in tanti modi. Nel 2003, annus horribilis, per caldo e siccità, la Confederazione stabilì un'indennità speciale per compensare lo scarico anticipato del bestiame da carne alpeggiato che doveva essere macellato anzitempo. Se poi pensiamo che in Svizzera è la Confederazione a tutelare con una norma federale la dicitura "Formaggio d'alpeggio", che c'è una mappa dei pascoli dove può essere prodotto il "Formaggio d'alpeggio", che con il latte prodotto in alpeggio non si può produrre "Formaggio d'alpeggio" nei caseifici di fondovalle, che non è ammesso di alimentare con più di 1 kg di integrazione extrapascolo (mangime + fieno) le vacche da latte perdita la perdita del marchio "Formaggio d'alpeggio", allora ci si rende conto che ... la Svizzera è un altro pianeta. Ma gli alpeggi non sono importanti in Italia? Tutt'altro, in ttte le regioni alpine rappresentano una quota sostanziale del territorio montano e contribuiscono in modo rilevante alla qualità del paesaggio e alla sua fruibilità, al mantenimento del patrimonio zootecnico, alla capacità di infiltrazione dell'acqua nel terreno e alla prevenzione dei rischi idrogeologici, alla biodiversità (catene troifiche e microhabitat per uccelli, insetti anfibi ecc.).  
Elicottero Puma dell'esercito svizzero impegnato nel rifornimento di acqua agli alpeggi in luglio 
Prima di Ciapparelli era intervenuto un'altro "difensore degli alpeggi". Giovanni Dalmasso è egli stesso un marghée (margaro). I margari delle provincie di Cuneo e di Torino a differenza di quelli lombardi (malghées) praticano ancora la transumanza e svernano di solito in pianura. In forza del carattere poco "stanziale" sono molto legati all'allevamento e al pascolamento ma negli ultimi lustri hanno dovuto combattere contro nuovi nemici. Non più solo il "mercato" che svaluta anche la preziosa carne di Piemontese e i formaggi d'alpeggio, non solo la burocrazia (nostrana e di Bruxelles) ma anche contro i lupi e gli speculatori. I canoni degli alpeggi sono andati alle stelle e si praticano maneggi di ogni tipo (quest'anno sono arrivate pecore da Roma in Val Grana ed erano attese delle bufale, sempre dal Lazio a Ormea). Se ci si mette anche la siccità...
Giovanni Dalmasso, presidente dell'Adialpi
Dalmasso e alcuni suoi colleghi ed amici hanno deciso di reagire. Hanno costituito l'ADIALPI (Associazione per la difesa degli alpeggi piemontesi) (vai al comunicato)

Quello che chiediamo – commenta Giovanni Dalmasso – è un’attenzione particolare da parte degli enti di controllo alle diverse situazioni che si possono riscontrare sulle superfici degli alpeggi: occorre avere il giusto riguardo di differenziare le zone rocciose, ovviamente non ammissibili a premio, con quelle aree di pascolo “povere” in cui la carenza di cotica è dovuta ovviamente al carattere eccezionale della siccità.
Si tratta di pascoli magri di alta quota in cui la vegetazione a volte fiorisce a luglio e in caso di clima avverso, come quello a cui stiamo assistendo, nell’arco di poche settimane tende a seccare e a scomparire. Questo non significa però che non siano zone abitualmente utilizzate a pascolo anzi, è proprio da questi pascoli che ricaviamo dai nostri animali il miglior latte per produrre quel formaggio tanto apprezzato dai turisti che salgono sulle nostre montagne.
Annata compromessa in alcuni alpeggi

Parlando direttamente con Ciapparelli si coglie meglio la dimensione della calamità. Non una calamità generalizzata (anche se il danno c'è ovunque) ma manifestatasi in modo diverso e con diversa entità nelle diverse situazioni. Hanno sofferto molto gli alpeggi prealpini con substrato geologico calcareo dove ci si deve affidare anche nelle annate migliori alla raccolta dell'acqua piovana per abbeverare le mandrie. Hanno sofferto meno gli alpeggi con una buona escursione altimetrica tra il piede e la cima perché hanno potuto compensare in parte il danno salendo anticipatamente alle quote superiori.  In generale hanno sofferto di più gli alpeggi "tradizionali" che non si affidano ai mangimi portati a sette quintali per volta con gli elicotteri.  Qui lo sfogo di Ciapparelli si fa amaro:

Chi usa di regola i mangimi, diversi chili al giorno per vacca, non ha risentito quasi nulla ques'anno, abbiamo sofferto noi che valorizziamo il pascolo, che cerchiamo ancora oggi di pascolare tutta la superficie con l'antico sistema turnato dei calecc' e delle baite [i primi sono piccoli caseifici di muro a secco senza copertura, protetti solo da una tenda impermeabile]. Noi produciamo in media tra l'inizio e la fine dell'alpeggio circa 7 kg di latte per vacca al giorno, ma con la siccità, con quell'erba indurita precocemente, la vaccamangia meno e male e il latte in alcuni dei nostri pascoli è sceso a soli 4 kg al giorno rendendo difficile produrre una forma di bitto storico per munta [li bitto storico deve essere tassativamente prodotto con latte ancora caldo di munta]

Aggiungiamo che chi usa chili e chili di mangimi fa più latte ma un latte ben diverso, con meno grassi "buoni" (acidi grassi insaturi a lunga catena). Le vacche riducono il consumo di erba (l'amido del mangime deprime la microflora cellulosolitica che consnete la digestione della cellulosa del foraggio), restano più vicine ai siti di mungitura e di distribuzione del mangime, il minor appetito le spinge ad esplorare meno superficie di pascolo. In compenso nelle aree più comode e pianeggianti, dove si concentra il pascolo e si pratica la mungitira (con mungitrici meccaniche mobili spesso solo sulla carta), si riversa una quantità di deiezioni extra (quanto sfugge alla digestione ella metabolizzazione dei principi nutrienti del mangime). Molte più deiezioni su aree ristrette. Risultato: pascolo rovinato per troppo "ingrasso" da una parte, pascolo rovinato per mancata fertilizzazione e consumo dell'erba dall'altra (dove non si pascola crescono in pochi anni essenze infestanti e poi piante legnose, arbusti e alberelli). Il sistema "tradizionale" conserva una risorsa sostenibile, il pascolo seminaturale che consente di produrre alimenti di origine animale senza pesticidi e quasi senza energia fossile. Perdere i pascoli non è "sostenibile" anche perché come da studi effettuati dal CNR i pascoli, nonostante la produzione di metano da parte dei ruminanti, hanno un bilancio di gas serra positivo.  Usare i pascoli con animali alimentati a mangimi non è sostenibile non solo perché è l'anticamera dell'abbandono dei pascoli ma anche come ricodavamo all'inizio perché la coltivazione delle materie prime di cui è composto il mangime, i trasporti, la produzione del mangime finito, richiedono molta energia fossile.
L'Alpe Culino (proprietà della Regione Lombardia) in una foto del 2007. Oggi le felci (Pteridium aquilinum, pianta rifiutata dal bestiame e velenosa che si instaura sui pascoli non utilizzati) presenta una copertura del 100% su diversi ettari, risultato della precedente gestione. Un danno grave e difficilmente reversibile. Siamo nelle valli del Bitto ma, si usavano mangimi e il "carro di mungitura"

"Ormai per i pascoli è tardi"
La situazione è migliorata dopo la prima settimana di agosto, le piogge hanno consentito la ricrescita dell'erba (il ricaccio) sotto la "paglia". Ma ormai era troppo tardi. Certo, qualcosa si è salvato ma alla metà di agosto le vacche non possono certo recuperare la produzione. Questa storia dovrebbe essere recepita come una parabola, come un esempio di come le cose non vadano. Nel mondo di casi come quello degli alpeggi e della siccità 2015. I sistemi agricoli industriali provocano l'effetto serra ma sfuggono ai suoi effetti. I sistemi contadini entro certi limiti mettono in essere tutte le loro capacità di adattamento ma spesso soccombono. È come chi ha l'aria condizionata e pretende di avere 20°C in ufficio (ma a volte anche meno) in estate (e 24°C in inverno!). Facendo così si  contribuisce ai consumi energetici, alle emissioni di CO2 e alla dissipazione di caldo nelle "bolle metropolitane". Si scarica su i meno fortunati e sulle generazioni a venire il suo egoistico benessere.  Lo stesso avviene con i sistemi agricoli. L'efficienza dell'agricoltura industriale è solo un'illusione dell'economia, "scienza" che sta distruggendo l'uomo e la natura. L'agricoltura contadina in termini di utilizzo di risorse, di bioeconomia, è più efficiente. Quanto al risultato complessivo il cibo a basso costo (economico, di mercato) è uno strumento per consentire al sistema di comprimere i redditi delle "classi popolari" (nelle quali sta sprofondando l'ex ceto medio impoverito e ampliare la disoccupazione strutturale.  E allora che fare? Quello che è nelle nostre possibilità. Innanzitutto sostenere le produzioni agricole non industriali. Come il bitto storico. Un simbolo. Ma i simboli contano.

sabato 8 novembre 2014

Svolta storica



fonte: http://www.laprovinciadisondrio.it/stories/Economia/bitto-storico-pace-fatta-dopo-20-anni_1088392_11/




Bitto storico, pace fatta dopo 20 anni

Cambio di rotta e accordo raggiunto con il Consorzio per la tutela dei formaggi Valtellina Casera e Bitto. Ciapparelli: «Le istituzioni ci riconoscono una peculiarità ed un valore già decretati dal mercato».
«Un cambio di rotta per il futuro della Valtellina e una soddisfazione enorme che ci riconosce la lungimiranza nella scelta di resistere con il metodo storico». È un grande risultato, secondo il presidente del Consorzio di salvaguardia del Bitto storico, Paolo Ciapparelli, quello che sarà annunciato ufficialmente lunedì prossimo quando a Gerola sarà sancito l’accordo di collaborazione con il Consorzio per la tutela del formaggi Valtellina Casera e Bitto. «Si chiude con questo atto uno scontro – afferma Ciapparelli – che dura da vent’anni. Le istituzioni ci riconoscono attraverso questo atto una peculiarità ed un valore, già decretati dal mercato mondiale e dal prestigio del nostro prodotto, compiendo un passo fondamentale nell’interesse di tutta la Valtellina». Secondo Ciapparelli, che non anticipa i contenuti del protocollo d’intesa siglato tra le parti – che risponde alle richieste che da anni i produttori di Bitto storico reclamano per il riconoscimento del metodo tradizionale e della peculiarità del loro prodotto – l’indirizzo preso con questo accordo è quello di «seguire il metodo francese – afferma – che riconosce i grand cru, cioè il gradino più alto delle produzioni di eccellenza, quale traino per tutte le altre. Un passo avanti significativo che certo, nel nostro territorio, rappresenterà anche una rivoluzione per piccoli paesi che custodiscono le produzioni di nicchia».
La vittoria, secondo il presidente del consorzio di salvaguardia del Bitto storico, sta anche nel riunire tutti gli attori dell’accordo a Gerola, negli spazi di quel Centro del Bitto che custodisce nella sua casera le produzioni di formaggio delle valli del Bitto.
«Questo passo rende ufficiale ciò che il mercato aveva già sancito – prosegue Paolo Ciapparelli – cioè il valore del nostro prodotto e la sua peculiarità. A noi riconosce il coraggio di una scelta compiuta più di vent’anni fa quando abbiamo iniziato quella che è stata definita resistenza contadina, puntando su storia e metodo tradizionale e arrivando a risultati di cui oggi anche le istituzioni ci danno atto». La prospettiva è quella di una collaborazione che dovrà svilupparsi nel tempo, a partire dall’appuntamento a breve termine con Expo 2015, evento al quale il Bitto storico ha già un posto d’onore insieme ai formaggi Principi delle Orobie: «Da tempo si parlava di questo accordo – spiega Ciapparelli – e la vicinanza dell’Expo sicuramente ha intensificato i contatti per giungere a un protocollo d’intesa che dia modo di presentare l’immagine della Valtellina anche attraverso il veicolo del Bitto storico e della sua fama. In tutto questo un ruolo importante è stato giocato dalla Camera di Commercio che ha saputo mettere insieme le parti coinvolte per trovare un accordo in grado di soddisfare le esigenze di tutti nell’interesse comune dell’intero territorio e delle sue produzioni».

martedì 20 settembre 2011

Dopo tre giorni di trionfo un'asta decreta l'apoteosi per il Bitto storico orobico Presidio Slow Food

(20.09.11) Presente tutto lo stato maggiore di Slow Food e i rappersentanti dei Locali del Buon formaggio di tutta Italia, al teatro Politeama di Bra ieri si è tenuta un'asta eccezionale. Mai nella storia un formaggio era stato battuto a questi prezzi. Tre forme incassano 6.000€
  

Quello che è successo ieri a Bra passerà alla storia, non solo del formaggio. È successo infatti qualcosa di irripetibile: si è aperto un nuovo capitolo in cui finalmente un formaggio straordinariamente affinato arriva a quotazioni di migliaia di euro.

Il formaggio di alta qualità, grazie al Bitto storico orobico Presidio Slow Food,  entra in una dimensione nuova in cui sinora era il vino a fare da mattatore incontrastato. L'effetto di trascinamento può essere determinante per rilanciare il mondo del formaggio artigianale, degli artisti del latte, dei pastori, dei malgari. Si apre una speranza per tanti giovani disposti a sottoporsi a duri sacrifici ma che sappiamo non potranno resistere senza un ritorno in termini di riconoscimento sociale e di gratificazione economica. Per dare queste speranze è necessario che il formaggio industriale e quello degli artisti del latte, dei pastori, dei piccoli produttori, dei malghesi abbiano statuti differenti. Il prezzo, per quanto importante, è solo un aspetto di questa differenziazione.

Ma veniamo ai fatti. Ieri matttina, a Bra, nell'ultimo giorno di Cheese in un teatro Politeama gremito era riunito lo stato maggiore di Slow Food in occasione della consegna del riconoscimento di Locale del buon formaggio ad osterie, ristoranti, rivendite specializzate. L'asta dei bitti ultravecchi si è svolta in questo contesto, alla presenza di Carlin Petrini, Silvio Barbero, Piero Sardo e Roberto Burdese. Un emozionato Ciapparelli (il guerriero del Bitto) ha avuto l'onore (e l'onere) di tagliare forme del 1997 e 1998. Nonostante la precedente tassellatura l'ansia per il risultato era forte. "Avevo paura che il coltello non trovasse resistenza, che ci fossero dei vuoti, ero tesissimo".  Nonostante la tensione Paolo ha ricordato a beneficio del pubblico le tappe fondamentali della vicenda dei ribelli del Bitto sottolineando come, in alcuni frangenti, l'appoggio di Slow Food sia stato cruciale. Esso è stato in tutti questi anni il sostegno principale alla causa del Bitto storico.
Roberto Burdese

I produttori del Bitto storico orobico hanno inteso esprimere il loro ringraziamento per la sponda loro offerta da Slow Food e la incondizionata fiducia riposta in loro dal movimento della chiocciola (e daPiero Sardo in particolare) dedicando a Slow Food una straordinaria asta. Mettendo all'incantoforme del 1998, 1997 e 1996. Il Bitto storico è formaggio che stagiona sino a dieci anni e lo si è voluto dimostrare.


L'incasso dell'asta verrò a sua volta devoluto da Slow Food alla campagna mille orti per l'Africa che punta ad indicare un modello di sostenibilità alimentare costruito dal basso. Un grande formaggio per una grande causa.

Piero Sardo

Qualche parola sulle forme. La prima venne prodotta nell'estate del 1996 dal casaro Acquistapace Faustino all'alpe Trona Vaga. Un casaro eccezionale ora ritiratosi e con gravi problemi di salute. Quando ha saputo che la sua forma di dieci anni fa era la star di un grande evento di risonanza più che nazionale Faustino si è commosso alle lacrime. Il 1996 è anche un anno simbolo per il Bitto. È l'anno del riconoscimento nazionale del Bitto Dop, quello esteso inopinamente a tutta la Valtellina e persino alla Valchiavenna secondo la logica un po' becera che una produzione tipica deve corrispondere a confini amministrativi e politici ed espandersi su un'area vasta, in modo da 'avere i numeri'. In quella occasione vennero anche 'dimenticate' delle alpi storiche da Bitto in territorio brembano (Bg) e valsassinese (Lc).
Le prime due forme (1997 e 1998) sono state prodotte dal casaro Duca  Carlo, un govane (allora giovanissimo) che rappresebnta tutt'oggi una grande promessa per il Bitto storico. Carlo, soprannominato Tex Willer per la passione per i capelli western e il fazzoletto al collo,  ha una particolare 'mano' per le lunghe stagionature. I suoi bitti nei primi anni di età potrebbero anche non reggere il confronto con quelli di altri casari, ma dai tre anni in su conoscono una crescita qualitativa impressionante. Le forme di Carlo sono state  messe all'incanto in quarti di circa 2,5 chili ciascuno e sono state battute fra i 310 e i 430 euro al pezzo. Ovazioni. 
Silvio Barbero, il battitore

Quando è arrivato il turno di quella del 2006, prodotta da Faustino c'è stato il colpo di scena. la forma è stata messa all'incanto per intero (circa 12 chili) ed è stata battuta a 2.200 euro. Se l'è aggiudicata Virginio Cattaneo, titolare del ristorante La Brace di Forcola (So) e socio dalla fondazione della società Bitto trading spa, la società etica che rappresenta il braccio commerciale dei ribelli del Bitto e che conta tra i soci il Consorzio stesso dei produttori ribelli e i singoli produttori oltre a piccoli imprenditori, professionisti e sostenitori (coproduttori).


Cattaneo, che era a Cheese venerdì e sabato è apparso a sorpresa e non nascondendo la sua emozione, ha spiegato le ragioni dell'acquisto: "riportare a casa" la forma, restituendola al Santuario del Bitto  dove potrà continuare a stagionare ancora sino al giorno in cui “sarà maggiorenne”, ovvero fra tre anni. Questo coup de theatre ha molto colpito i presenti. La storia di Gino che 'paga due volte' la forma, prima contribuendo alla società del Bitto storico (una società etica senza utili) e poi ricomprando la forma ha fornito la misura delle passioni e delle convinzioni che animano la gente del Bitto storico, gente delle orobie ma anche delle città. Gente che ha identificato in questa vicenda concreta, ma altamente simbolica al tempo stesso, la scommessa sul futuro del cibo e dell'uomo. Alla presentazione del mio libro "I ribelli del Bitto" che si era tenuta sabato Piero Sardo con il pessimismo della ragione aveva affermato che la battaglia per il cibo buono pulito e giusto merita di essere combattuta anche se è molto probabile che sarà persa. Forse, però, dall'asta del Bitto storico noi tutti possiamo ricavare qualche elemento di speranza in più. Carlin Petrini (sotto con Gino che regge la forma da 2.200 €) di fronte a quanto successo si rivolto a Ciapparelli e gli ha detto "pensavo di essere matto, ma qui vedo gente più matta di me". Se ci sono questi "matti" la speranza c'è.

sabato 10 settembre 2011

A Cheese2001 Bitto storico protagonista (e sono orgoglioso di dare un contributo)

(10.09.11) Aspetto tutti gli amici di Ruralpini e del formaggio buono pulito e giusto a Bra dal 16 al 19. Al calécc che apre l'esposizione del formaggi dei presidi e alla presentazione del libro "I ribelli del bitto"

di Michele Corti

Mancano pochi giorni a Cheese 2001. Oltre ai produttori, guidati dal formidabile 'guerriero del Bitto' (Paolo Ciapparelli) si stanno preparando al grande evento anche i paladini del Bitto come me. Ma tutti potete diventare paladini di questo straordinario  formaggio che sta diventando un punto di riferimento per le esperienze di resistenza casearia in Italia e nel mondo.

La grande visibilità del Bitto storico a Cheese2011: in nome della resistenza casearia

Durante la manifestazione i produttori del Bitto storico Presidio Slow Food gestiranno insieme ai "Formaggi principi delle Orobie" lo spazio della  Piazza della resistenza casearia (piazza Valfrè di Bonzo – ex Mercato dei polli)(punto 7 della mappa - in alto). Nello spirito di una solidarietà concreta in questo stesso spazio sranno ospitati - in nome della resistenza casearia - piccoli produttori di diverse parti d'Italia. Nello spazio i ribelli del Bitto accoglieranno i visitatori con degustazioni di Bitto, polenta e pizzoccheri, oltre ai formaggi delle Orobie che comprendono il (vero) Branzi, lo Strachitunt (dop in itinere), il Formai del Mut Dop, lo Stracchino all'antica delle OrobiePresidio Slow Food, l'  Agrì di Valtorta Presideio Slow Food. Accanto alla Piazza della Resistenza allestiranno un calècc, una delle mitiche 'capanne casearie', ancora utilizzate per produrre il Bitto storico direttamente sul pascolo. Un sistema che è al vertice assoluto della qualità: non è la mucca che si sposta, è il caseificio! La madria (detta localmente malga) viene munta davanti al calécc e il latte raccolto ne secchio viene svuotato direttamente nella caldaia. Il calècc, di Bra sarà collocato in modo da collegare la Piazza della Resistenza casearia con lo stand ufficiale del Bitto storico.
E qui entro in scena io, perché  nel calécc  troverete me. Ovviamente fatti salvi alcuni giri per gli stand amici e alcuni momenti imperdibili quali la presentazione del mio libro "I ribelli del Bitto" (sabato 17 ore 17 presso Slow Food editore in Via della Mendicità istruita 45), l'assegnazione del premio Resistenza casearia (venerdì 16 ore 16 in Piazza Martiri), il dibattito sui giovani pastori e alpeggiatori (domenica 18 alle 12). Cosa sarò a fare nel calécc?

Azionariato popolare

Oltre a presentare a tu per tu quella che è stata la mia 'fatica letteraria' (una volta si diceva così ma c'era del vero....) di cui sotto potete conoscere i dettagli e leggere la Prefazione di Piero Sardo, il compito che mi sono assegnato da Paladino del Bitto storico (ovviamente d'accordo con i produttori ribelli e la Bitto trading) è quello di promuovere l'azionariato popolare. Una idea che ho accolto entusiasticamente quando Ciapparelli l'ha lanciata perché traduce in realtà quanto si dice e si pratica da anni (all'estero però) sulle nuove forme di supporto dal basso ai produttori agricoli. Che rientrano nella formula di Carlin Petrini del 'coproduttore'. Lascio alle parole del comunicato ufficiale di Slow Food spiegare cosa succederà a Cheese.
Proprio per supportare finanziariamente i casari coinvolti nella produzione tradizionale di questo prodotto dalle straordinarie capacità di invecchiamento, è nata la Valli del Bitto trading spa. Si tratta di una società per azioni capeggiata dal presidente dei produttori e costituita dagli stessi casari e da piccoli imprenditori e professionisti. La società, spinta dal successo dell’iniziativa, ha deciso di incentivare la partecipazione al progetto di tutela del bitto storico attraverso un azionariato popolare con il quale chiunque può mettere a disposizione una quota. Una vera e propria community supported agriculture del formaggio in cui il consumatore, sostenendo finanziariamente l’impresa, si trasforma in coproduttore. A Cheese gli stessi casari, primi “azionisti” dell’iniziativa, presentano al pubblico i progetti per la crescita della produzione e dell’invecchiamento del bitto e per lo sviluppo del territorio e del turismo nelle vallate.
A me l'onore di spiegare ai potenziali coproduttori del Bitto storico come si fa a partecipare all'azionariato popolare. Per gli interessati vi sarà la possibilità di compilare i moduli di prenotazione delle quote azionarie della società etica che rappresenta il braccio operativo del Consorzio salvaguardia del Bitto storico (da non confondere con il Consorzio ufficiale CTCB contro cui si è sviluppata la ribellione). Notizie più dettagliate le trovate già nell'articoloDecolla l'azionariato popolare per il Bitto storico . Anticipo che è sufficiente un versamento di 150€ (la taglia delle quote) per diventare azionisti etici del Bitto storico. L'aumento di capitale sarà deciso tra qualche settimana e tutti coloro che hanno prenotato le azioni diventeranno a tutt gli effetti soci. Naturalmente sarò anche a disposizione di tutti coloro che vogliono saperne di più sul Bitto storico, sulla sua storia antica e recente. È un grande onore per me essere il consulente culturale (a titolo volontario) dei ribelli e spero che molti di voi si uniranno a me nel ruolo di Paladini del Bitto storico (stiamo formalizzando anche una associazione culturale con questo nome).


I ribelli sono ora un libro

L'idea covava nella testa da parecchio (non anticipo quanto scritto nell'introduzione). C'era il titolo e la condivisione da parte di Slow Food. Vuole essere una cronistoria e un racconto di parte ma senza rinunciare al rigore dell'opera documentata. Forse qualche passaggio è un po' da saggio accademico ma nel complesso credo che pulsi la passione e mi auguro che questa passione sia contagiosa. Per ora mi limito a presentarlo con le parle di Piero Sardo (sotto la Prefazione). Dopo Bra pubblicherò l'Introduzione.

Testi: Michele Corti
Titolo: I ribelli del bitto. Quando una tradizione casearia diventa eversiva
Collana: asSaggi
Prezzo: 14,50 euro - prezzo soci Slow Food 11,50 euro
Pagine: 192
Formato: 13x21
La presentazione avverrà in anteprima il giorno 17 settembre alle ore 17 presso il Caffè letterario e musicale nel cortile di Slow Food editore, durante la manifestazione Cheese. L'indirizzo è via della Mendicità Istruita 45, BRA (Cn) (vedi punto 12 in mappa)
La ribellione anima un’intera comunità che si riconosce attorno a una specificità negata in nome della standardizzazione
Ne parlano:
Michele Corti, docente universitario, blogger, ruralista e autore del libro
Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità
Con la partecipazione dei produttori del Bitto storico
L’assaggio: il bitto storico degli alpeggi ribelli delle Orobie occidentali: valle del Bitto (So), dalta val Brembana (Bg) e alta val Varrone (Lc) - Presidio Slow Food


Non usa fare autorecensioni. Con piacere però riporto a presentazione del libro  la prefazione dell'amico Piero Sardo. Il ruolo di Piero nella vicenda è stato cruciale. Spero che emerga comunque dalla esposizione delle vicende del Bitto anche se Piero ha voluto che fosse ridimensionato il paragrafo che lo riguardava con considerazioni tratte da esperienze di prima mano, dalla mia testimonianza dall'interno della 'vicenda Bitto'. Non è frequente trovare che si comporta come Piero e in questa sede, e nelle occasioni in cui avrò la possibilità di farlo, ci tengo a farlo sapere.

Prefazione di Piero Sardo a "I ribelli del bitto"

Perché lo fanno? Perché questo gruppo di malgari valtellinesi da anni si rifiuta di assecondare le indicazioni delle istituzioni – consorzi, assessorati, sindaci, ministero – e rivendica orgogliosamente la sua diversità? Sarà questa la domanda che vi porrete quando avrete letto le pagine di questo libro, quando avrete seguito capitolo per capitolo gli eventi narrati da Michele Corti, le tappe di un decennale conflitto che è stato sintetizzato nel titolo I ribelli del bitto. Per lo meno è la domanda che io mi sono posto, non certo per dubitare della straordinaria valenza politica di questa battaglia, alla quale non posso che applaudire, ma per tentare di capire le opzioni psicologiche in gioco, le ragioni sociali di questa gente e di queste comunità.
Va detto che nella vicenda non sono neutrale: il rapporto che lega Slow Food ai ribelli del bitto è di antica data e di grande condivisione. Ma molti, moltissimi lettori meno coinvolti, invece, se la porranno la domanda, non tanto per capire, ma per dar sfogo, magari inconsciamente, alla solita italianissima dietrologia, all’immancabile «cosa c’è sotto?».
In questi anni abbiamo assistito a gesti di reazione assai più eclatanti di questa ribellione: operai su torri e ciminiere, digiuni devastanti, dissidenti che hanno sacrificato la vita per un’idea, giovani che sfidavano la repressione più violenta per manifestare il loro dissenso. Ma in questi casi i termini della questione erano chiari, era in gioco il lavoro, la libertà di espressione, la dignità sociale e politica: si poteva essere d’accordo o no con leproteste, ma non vi era dubbio sulle ragioni delle stesse.
Nella vicenda del bitto e dei suoi protagonisti le ragioni del conflitto sono chiare e il libro ben le sottolinea, ma la posta in gioco non pare così evidente. Loro continuerebbero comunque a fare i malgari, a produrre bitto come meglio credono, a venderlo alla sempre più folta schiera di appassionati e conoscitori, anche rientrando nei ranghi, anche accettando le regole che altri hanno dettato per questo antico formaggio. E infatti assessori e funzionari, ogni volta che si vedono respinte le proposte di mediazione, scuotono il capo un poco increduli: «cosa c’è sotto?».
Provo a spiegarla raccontandovi di mia nonna. Lo so, raccontare della famiglia è uno snodo usurato e retorico, ma l’esempio secondo me è calzante e aiuta a comprendere.
Mia nonna Nina era una cuoca straordinaria, cucinava un mix di piatti liguri e monferrini che non ho mai più ritrovato a tale livello di perfezione. Verdure ripiene, zuppe di legumi, torte verdi salate, agnolotti quadrati, gnocchi, coniglio al barbera, cima alla genovese, pollo alla cacciatora, subric, peperoni in salsa, batsoà e così via, per un ricettario magari non amplissimo, ma irresistibile. Tutti i giorni. Le materie prime erano direttamente sotto il suo controllo: viveva in campagna e allevava polli, faraone e conigli, coltivava l’orto, metteva via personalmente frutta, verdure, conserve di pomodoro. E decapitava oche, scuoiava conigli, tirava il collo a capponi con la pacata indifferenza tipica dei contadini e del loro duro, a volte crudele, rapporto con gli animali, anche se lei non era di famiglia contadina. Ma per cucinare bene le carni, diceva, gli animali bisogna ucciderli di persona, senza farli soffrire, senza trasportarli, senza spaventarli: così si capisce bene quanto vale quella carne e come bisogna cuocerla. Tant’è vero che a casa nostra si mangiava raramente carne bovina: perché arrivava da altre mani. E per far questo tutte le sante mattine era in piedi alle sei, estate e inverno, che dovesse cucinare per sé e suo marito o per venti, quanti eravamo nelle feste del paese fra figli e nipoti. Alle sei e mezza le pignatte erano sul fuoco e così per tutta la mattina era un andare e venire tra orto, pollaio e cucina. Lo ha fatto sino a ottant’anni, prescindendo da una ragione precisa: lo ha fatto perché era il suo modo di concepire la cura della casa, di preparare il cibo, la sua volontà di non cedere al supermercato, al pelato in scatola, ai filetti di pollo, all’insalata in sacchetto. Non era una ribellione, era un modo di essere, non aveva obiettivi da raggiungere. A volte eravamo noi, i parenti, a dirle: «rilassati, non è il caso, basta stare un poco assieme». Potreste addirittura giudicarla una forma di pacata follia, e forse lo era, ma per lei era nulla di più e nulla di meno di quel che andava fatto. E solo quando non abbiamo più potuto godere di quella cucina ci siamo resi conto di quanto avevamo perso. Mentre lei c’era e cucinava, a noi pareva la normalità avere quei piatti e a lei pareva normale fare come faceva.
Questa mia esperienza personale si lega alla vicenda del bitto storico perché l’unica spiegazione che può rendere conto dei comportamenti di Nina e dei ribelli si basa su motivazioni non economiche, ma direi – senza paura di esagerare – etiche. Il lavoro dei malgari, di questi malgari – tra i più duri per fatica fisica, impegno, tempo e competenze necessarie che oggi sia dato conoscere – sopravvive per ragioni essenzialmente culturali ed etiche. Certo, la remunerazione conta e ci mancherebbe: il bitto dei ribelli, grazie anche al lavoro di Paolo Ciapparelli e dell’Associazione, vale più del doppio del formaggio del Consorzio, e questo è importante per rinsaldare motivazioni e dettare strategie. Ma, come dicevo prima, potrebbero continuare a produrlo anche se fossero all’interno del Consorzio, anche se accettassero di sottostare a un disciplinare che non condividono. Anzi, potrebbero usufruire delle elargizioni che molti promettono, a patto che cessi il conflitto.
Non accettano di essere assimilati agli “accomodanti” – chiamiamoli così tanto per capirci – perché sanno benissimo che così facendo alla fine il loro destino sarebbe segnato. Ma gari non loro, ma chi verrà dopo di loro comincerà a chiedersi il perché di tanta fatica, le ragioni di tanta intransigenza, e comincerà a cedere, a usare fermenti e mangimi, ad abbassare la quota del latte caprino, ad abbandonare la caseificazione nei calécc: insomma a rinunciare piano piano alla monticazione tradizionale e al bitto storico.
Per evitare proprio questo probabilissimo cedimento, hanno deciso, da anni ormai, di fare di questa loro opzione una scelta di vita, un filo che lega un’intera comunità alla sua storia, al suo habitat, al suo futuro. Non è una pura e semplice questione di identità da preservare: troppe nefandezze vengono commesse nel mondo in nome dell’identità, del localismo cieco, del particolarismo. Basterà leggersi lo splendido libretto di Amin Maaluf, L’identità, per comprendere a fondo quanti pericoli si celino dietro questo concetto, che pure è sacrosanto rivendicare. Non vi diranno mai «noi siamo i puri, gli altri hanno venduto l’anima». Sanno benissimo che anche gli altri, gli accomodanti, vanno in alpeggio, faticano, credono nella tradizione, producono buoni formaggi: ma hanno fatto un passo indietro. Vi diranno: «noi facciamo così perché questo a noi pare il modo corretto di fare, perché questo è quanto facevano i nostri padri e i nostri nonni su queste montagne».
Ora, senza bitto storico si può certamente vivere, se ne può fare a meno. Come si può fare a meno di Mozart, delle chiese romaniche, di Thomas Mann: ma la deriva che innesca questo fare a meno può avere conseguenze catastrofiche, perdonatemi l’enfasi, per la nostra umanità, per la nostra civiltà. Se vi pare eccessivo, sicuramente avrà effetti deleteri per l’ambiente alpino e per l’eccellenza casearia. Vi pare poco? Mi auguro di no. Per Slow Food questa è una grande lezione, una fonte di ispirazione e di incoraggiamento, alla quale non siamo disposti a rinunciare senza lottare con i ribelli.

lunedì 4 luglio 2011

Bitto: se non è un ribaltone questo...

Pubblichiamo gli estratti del verbale del consiglio straordinario della soc. Valli del Bitto trading, il braccio commerciale del Bitto storico, che documentano il tentativo del sindaco di Gerola, già schierato con i ribelli, di affossare la loro causa

Gli estretti dei documenti che pubblichiamo creano, finalmente, un po' di chiarezza nella guerra del Bitto. Il sindaco di Gerola altaFabio Acquistapace a settembre 2010 si era offeso per le accuse di voler svendere la causa del Bitto storico che gli erano state mosse dai produttori storici in occasione della Sagra del Bitto. Alla luce di quanto emerge dalla lettura dei documenti che proponiamo alla lettura si confermerebbe, invece, un vero e proprio 'ribaltone' da parte del sindaco Acquistapace.

Forme invecchiate di Bitto storico nel Sancta Sanctorum

I precedenti

Cosa era successo alla Sagra del Bitto? Il venerdì, due giorni prima della Sagra,  appariva sulla stampa locale un annuncio clamoroso. "Pace fatta per il Bitto, fine ad una guerra più che decennale". Chi  proclamava questa lieta novella era Patrizio Del Nero, ex sindaco  del comune di Albaredo, presidente del consiglio provinciale (sino a questa primavera quando è stato sfiduciato) tutt'oggi direttore del Distretto agroalimentare (cui fa capo il Consorzio 'ufficiale' del Bitto, il C.t.c.b.). I produttori del Bitto storico saltavano sulla sedia perché non ne sapevano nulla e, nonostante le smentite di Acquistapace, hanno subito pensato di essere stati 'venduti' (sulla base di accordi in Comunità Montana) dal sindaco di Gerola alta. La presenza alla Sagra di amministratori del comune di Albaredo (prima schierato con il Bitto storico, poi dal 2005 con il C.t.c.b.) e di alcuni casari-alpeggiatori che avevano 'disertato' dall'Associazione Produttori Valli del Bitto per restare nel Consorzio ufficiale, non poteva avvalorare i peggiori sospetti. Di conseguenza, al fine di fornire un segnale al sindaco e all'establishment, i produttori si rifiutarono di ritirare i tradizionali premi ad essi riservati in occasione della sagra. Uno 'sgarro' alle istituzioni e una pessima figura per il sindaco perché a consegnare i premi c'era il presidente della provincia, il leghista Sartori, estraneo alle manovre in atto.

Bitto storico a Milano ai Mercati della Terra di Slow Food

Il primo 'ribaltone del Bitto'

Va ricordato  che Patrizio Del Nero aveva deciso di staccarsi dall'Associazione Produttori Valli del Bitto, lanciando anche pesanti accuse contro Slow Food, sulla base di una precisa strategia. Il suo  'riposizionamento' a fianco dell'establishment imprenditorial-politico valligiano  è coinciso con l'apertura della Latteria Alpi del Bittoad Albaredo, una struttura nuova di proprietà della Comunità Montana data - dal comune -  in gestione alla Latteria sociale Valtellina di Delebio. Quest'ultima è  la principale latteria industriale sondriese, azionista di riferimento del C.t.c.b. e 'cervello' del settore caseario provinciale. Per aprire la nuova latteria è stata chiusa la vecchia latteria turnaria del paese (peraltro appena messa a norma con investimenti non indifferenti) dove conferivano il latte i contadini ed è stato anche licenziato il casaro. Oggi Patrizio del Nero, politico di carriera, tanto che ha fatto in tempo ad essere segretario della federazione provinciale del P.C.I., è direttore, come già osservato, del Distretto agroalimentare provinciale, un 'giocattolo' che gestisce, progetti per sedici milioni di euro. Sotto la 'cappella' del Distretto ci sono i vari Consorzi delle Dop e Igp e affini tra cui il C.t.c.b. . Quanto ai due 'disertori' basti essi utilizzano con contratto di affitto gli alpeggi di proprietà comunale (e non c'è bisogno di aggiungere altro).

Paolo Ciapparelli in azione nel Santuario del Bitto

C'eravamo tanto odiati

Dopo lo 'strappo' tra i produttori storici e il C.t.c.b. tra i due comuni di Albaredo (dalla parte del C.t.c.b. e delle 'istituzioni') e di Gerola (dalla parte del Bitto storico) sono volati gli stracci. Quelli di Albaredo sono arrivati a definire 'Luna Park' e 'cattedrale nel deserto' il Centro del Bitto storico, una struttura unica nel suo genere che sta divenedo meta di 'pellegrinaggi del gusto' (e del cibo buono, pulito e giusto) da ogni dove.  Quanto a Gerola, sino al settembre dello scorso anno, non si sono perse occasioni da parte del sindaco e dell'amministrazione comunale per ribattere colpo su colpo (vedi il box 'c'eravamo tanto odiati nella colonna a sinistra con i link ad alcuni documenti). Il sindaco e l'amministrazione tutta di gerona non hanno mancato di proclamare il sostegno alla causa del Bitto storico attraverso convegni, ordini del giorno ufficiali, comunicati e interventi sui media. Tanto che le sanzioni dell'Ufficio repressioni frodi del Mistero sono sate bollate in un Odg del consiglio comunale: ennesimo atto di indimidazione e prevaricazione avvenuto questa volta per mano pubblica".

Da sinistra: io, il sindaco di Gerola, Paolo Ciapparelli e Piero Sardo al convegno a sostegno del Bitto storico vittima della repressione (novembre 2009). Altri tempi

Antefatti ambigui

Il 'riposizionamento' del sindaco di Gerola, che segue di sei anni quello del collega di Albaredo è stato un fulmine a ciel sereno? Per nulla. Che l'atteggiamento non fosse dei più limpidi lo si era capito da tempo. A cavallo tra il 2009 e il 2010, dopo le famose sanzioni contro i produttori storici, il sindaco Acquistapace aveva fortemente caldeggiato una trattativa con Emanuele Bertolini, presidente della Camera di Commercio di Sondrio.   La trattativa era finita in nulla perché la proposta aveva assunto contorni ambigui: si discettava di una 'iniezione' di consistenti finanziamenti nel Centro del Bitto storico (si ventilavano svariate centinaia di migliaia di euro) in cambio di un controllo di fatto sulla gestione da parte della Camera.  La proposta è stata sdegnosamente rigettata dai soci della Valli del Bitto Trading (il braccio comemrciale dei ribelli del Bitto) che, fortunatamente, con un contratto d'affitto venticinquennale (che ha comportato l'esborso di 300.000 €)  hanno saldamente in mano la gestione del Centro del Bitto storico. Quello che non riescono a capire gli esponenti della casta imprenditorial-istituzionale locale è che possa esistere una società per azioni etica. Per quale motivo dovrebbero 'vendersi' azionisti che investono un piccolo capitale per sostenere una causa 'buona, pulita e giusta"?  

Paolo Ciapparelli e Francesco Maroni (Branzi) suggellano l'intesa 'orobica'

Il sindaco di Gerola va all'attacco

Ma la lezione non è stata sufficiente e così si è esposto anche il sindaco Acquistapace. Solo che lui, a differenza di Bertolini, di soldi non li ha e il suo goffo tentativo di affondare la causa del Bitto storico si è basato solo sul richiamo alle difficoltà economiche (peraltro in via di sduperamento) della Valli del Bitto trading, facendo leva sul timore di una perdita del capitale. Ma anche questa volta i soci hanno rispedito al mittente le offerte 'indecenti'.
E lui, il sindaco, è finito nel girone dei 'ribaltonisti del Bitto', all'ombra di Patrizio Del Nero

Di seguito un estratto dal verbale del consiglio di amministrazione della Valli del Bitto trading spa riuntosi a Forcola (loc. La brace) il 21 aprile 2011 convocato su richiesta di Fabio Acquistapace, sindaco di Gerola alta (azionista), Daniele Acquistapace (consigliere), Attilio Manni (consigliere) presenti oltre ai richiedenti la convocazione Paolo Ciapparelli (presidente), Virginio Cappaneo (consigliere), Claudio Cremaschi (consigliere), Gabriella Colli (consigliere), Salvatore Conti (consigliere), Adriano Redaelli (azionista), Gianni Mariani (collaboratore), Segretario Sig. Gianni Mariani)

"Prende la parola il presidente Ciapparelli che segnala che la riunione è stata convocata urgentemente in quanto richiesta per gravi motivi sul futuro della società da parte del sindaco di Gerola, l ’azionista Acquistapace Fabio.  L'azionista Acquistapace Fabio contesta l’operato del presidente, a suo avviso penalizzante per il futuro della società. Sostanzialmente contesta una gestione personale che non informa il consiglio di amministrazione. Il presidente viene accusato di inaffidabilità, e bilancio preventivo alla mano, di gestione economica sbagliata. Propone quindi la sfiducia del presidente con la nomina del consigliere Manni in sua sostituzione. Indica un cambiamento di rotta a 360 gradi nei rapporti società e  istituzioni così sintetizzato: rientro nel Ctcb da parte del Consorzio bitto storico e conseguente adesione al Multiconsorzio [oggi Distretto agroalimentare, sempre con direttore Patrizio Del Nero n.d.r.].
questa posizione,per sua dichiarazione,garantirebbe i fondi necessari promessi dalle istituzioni per pagare e promuovere il centro del bitto storico. il consigliere Acquistapace Daniele [fratello del sindaco n.d.r]. rincara le accuse contestando la gestione del presidente Ciapparelli. (omissis).
Il consigliere Colli Gabriella dichiara di essere scandalizzata dalla proposta presentata dall’azionista Acquistapace Fabio che definisce indecente e lesiva del principio che l'aveva convinta a difendere la causa del Bitto storico. Il consigliere Cattaneo Virginio si dichiara profondamente amareggiato per le accuse nei riguardi del presidente.  Ricorda che l'operato di Ciapparelli ha dato alla società una visibilità internazionale. Ricorda inoltre che l'accusa di inaffidabilita mossa dal sindaco di Gerola sia talmente infondata in quanto la società si regge proprio sulla garanzia che la figura di Ciapparelli rappresenta.  Il consigliere Caramaschi si dichiara amareggiato dell’astio verbale nei riguardi dell’operato della società che il presidente rappresenta. Ricorda che i dati economici di previsione sono sempre stati puntualmente anticipati dal presidente che mai ha nascosto le difficoltà economiche che questa operazione comporta. (omissis).
Prende la parola l’azionista Redaelli [utilizzando le] testuali parole: "Oggi è il giovedì santo, se avessimo avuto intenzione di venderci per trenta denari, non avremmo avuto bisogno dell’offerta fatta dal sindaco di Gerola. L'avremmo fatto da soli”. Si dice inoltre offeso dall’accusa di inaffidabilità dal punto di vista economico in quanto l’esperienza dei presenti tutti coinvolti e informati sulla gestione sia in sede preventiva che consuntiva, viene messa in discussione dal sindaco di Gerola che quasi quasi li fa passare per sprovveduti.
A fronte di una netta presa di posizione della maggioranza dei consiglieri presenti,il sindaco di Gerola ritira la proposta e dichiara che non si presenterà in assemblea della società prevista per il giorno otto maggio con una mozione di sfiducia".

Il Bitto storico  'oscurato' dalla repressione dei carabinieri del gusto

Epilogo

Gerola, che ha l'onore di ospitare il Centro del Bitto storico  dovrebbe essere grata ai 'ribelli del Bitto' per la fama che la loro vicenda e la straordinaria realtà del Santuario del Bitto (come è ormai conosciuto il Centro) catalizzano sul paese. Invece ...
Invece su una politica lungimirante a favore del territorio prevalgono anche a Gerola le logiche politiche di corto respiro, le alleanze in Comunità Montana, la fame di 'finanzamenti' per opere e iniziative di cui - più che la reale utilità - importa la pronta disponibilità in cassa.