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sabato 21 gennaio 2012

Una improbabile battaglia in nome della cultura e della storia (la tragicomica vicenda della "guerra del pizzocchero")

(21.01.12) Il pizzocchero "Valtellinese" IGP è prodotto principamente fuori della Valtellina, a Chiavenna (dove il pizzocchero è da sempre di farina di frumento) con farina macinata in Brianza di origine cinese


Gli stessi personaggi che nel caso del Bitto storico hanno messo sotto i piedi la storia in nome dei numeri e della "massa critica di mercato" ora, quando gli fa comofo, si appellano alla cultura e a documentazioni storiche secolari. La farsa serve a  rivendicare l'esclusiva provinciale per un un pizzocchero industriale IGP che di "valtellinese" ha quasi nulla. Mentre paradossalmente i rivali bergamaschi possono vantare di produrre pizzoccheri più "valtellinesi" 

La Valtellina degli industriali alimentari e dei politicanti ha da tempo capito che l'agricoltura non serve, che il business funziona benissimo - anzi meglio - se si usa l'ingrediente purificato dell'immagine, della rappresentazione della montanità, della valtellinesità. Per poi smerciare funghi, marmellate, pizzoccheri, bresaole, violini (e anche formaggi) prodotti con materia prima rigorosamente global. È stato il cav. Emilio Rigamonti ad aprire la strada sin dagli anni '70 con la bresaola di carne congelata di zebù brasiliano. Gli altri hanno seguito. Questi personaggi che hanno capito che le più grandi risorse "imprenditoriali" sono l'appoggio politico garantito da canali sicure, le mammelle di mamma Regione e la dabbenaggine del consumatore, hanno però trovato sulla loro strada un ostacolo che hanno a lungo sottovalutato ma che si sta rivelando formidabile: i ribelli del bitto storico. Ora sono incappati in un altro agguerrito avversario: un pastificio bergamasco che non ne vuole sapere di rinunciare a produrre "Pizzoccheri valtellinesi" (con qualche buona ragione dalla sua).
La Provincia di Sondrio e la Valtellina non sono la stessa cosa
Per poter portare in porto le sue operazioni la cupola dell'agroindustria sondriese - strettamente intrecciata a banche, politica e GDO -conduce da quindici anni la guerra del Bitto. E non è riuscita ad avere la meglio di un pugno di produttori tradizionali, nonostante tutta la potenza di fuoco del fronte istituzionale (da Bruxelles ai sindaci). Ora da qualche anno conduce la "guerra del pizzocchero". Questa volta di fronte non ci sono degli "straccioni" ma un industriale bergamasco che vanta di produrre "Pizzoccheri valtellinesi" daglia nni '60.
Come nel caso del Bitto molta della querelle si gioca sull'equivoca identità tra "Provincia di Sondrio" e "Valtellina". Quando fa comodo si fa finta, violentando la geografia e la storia che la Valchiavenna sia una valle laterale della Valtellina, alias Provincia di Sondrio. Ma la Valchiavenna, detta anche valle della Mera ha avuto destini diversi dalla Valtellina (Valle superiore dell'Adda). La Mera e l'Adda sono imissari del Lago di Como "di pari grado". A confermare la non identità di Valtellina e Provincia di Sondrio ci pensa ancora la geografia. Il Livignasco è la valle dello Spöl, un affluente dell'Inn, subaffluente del Danubio. Più che la geografia conta la storia. Prima del regno Lombardo Veneto (1816) la Provincia di Sondrio non è mai stata una entità unica. L'autonomia del Contado di Chiavenna e della Contea di Bormio non è mai stata messa in discussione nè sotto i Duchi di Milano nè sotto la dominazione delle Leghe Grigie (sotto uno stemma storico che rispecchia la realtà dei tre territori storic: in alto a sinistra Chiavenna, a destra Bormio, sotto la Valtellina).

La ridicola pretesa di far coincidere i confini culturali e delle tradizioni agroalimentari con i limiti provinciali
La provincia è realtà eminentemente burocratico-amministrativa. Ma i burocrati e certi politici vorrebbero, in una sorta di parodia in chiave gastronomica del giacobinismo, "naturalizzare" i confini provinciali e pretendere - per decreto - che siano anche un ambito culturale e di tradizioni omogene agroalimentari. Operazione chiaramente finalizzata a porre in capo alle istituzioni politiche e parapolitiche (come il Distretto agroalimentare) la governance della "tipicità del cibo" e a gestire flussi di spedsa pubblica e di potere (o meglio sottopotere). Così, quando è stato redatto il disciplinare del Bitto Dop si è affermato che esso era produzione "tradizionale" diffusa in tutta la provincia mentendo clamorosamente. Nella Valchiavenna la produzione del Bitto Dop era talmente "tipica" e "tradizionale" che è stata avviata DOPO l'istutuzione della Dop.

Dopo questa (indispensabile) premessa torniamo all'attualità

Il giorno 19, l'altro ieri, presso la Camera di Commercio di Sondrio si è svolta la seduta per la presentazione del Disciplinare dei Pizzoccheri della Valtellina IGP (già approvato dalla Regione Lombardia). C'erano Emanuele Bartolini, presidente della Camera, Patrizio Del Nero, direttore del Distretto agroalimentare, Severino de Stefani, assessore provinciale, tutti personaggi che chi segue la saga del bitto storico conosce bene (inquadrati tra i "cattivi"). A rompere le uova nel paniere i rappresentanti della ditta Pastificio Annoni di Fara Gera d'Adda in provincia di Bergamo che hanno ribadito i motivi di opposizione (i rappresentanti dell'Accademia del Pizzocchero di teglio, invece, hanno preferito marcare con la loro assenza il loro pensiero di "talebani del Pizzocchero"). La ditta Pastificio Annoni non è da oggi che contesta il monopolio sondriese della produzione del "Pizzocchero valtellinese".
A parte il punto nodale della localizzazione della produzione che i sondriesi vogliono far coincidere con "tutta la provincia di Sondrio e nient'altro che la provincia di Sondrio" qualcuno nel corso della seduta ha rilevato un errore macroscopico nella stesura del disciplinare laddove si precisa che la pasta è "derivata dall'impasto di grano saraceno e sfarinati" . Una dizione a dir poco imprecisa dal momento che si impasta il "grano", ovvero gli acheni (granelli) ma la farina (detta "fraina" o "farina nera"). E pensare che diverse istituzioni hanno "controllato".

Uno show esilarante

Nulla, però in confronto allo show un po' imbarazzante nella sua sfacciataggine dei rappresentanti della "cupola" agroalimentera industrial-istituzionale sondriese. È stato addirittura commovente Fabio Moro, presidente del Comitato per la valorizzazione dei Pizzoccheri della Valtellina (nonché maggior produttore di Pizzoccheri industriali dopo Annoni). L'industriale ha citato il presidio Slow Food del grano saraceno di Teglio (encomiabile iniziativa ma che interessa per ora pochissimi ettari di coltivazione) per il suo significato culturale.
"Ed è per la stessa ragione, innanzitutto culturale. che abbiamo costituito un Comitato provinciale" ha tenuto a precisare Moro. Certo che no, chi ne dubita? Giammai si pensi che ci sia sotto un interesse comemerciale.
Non contento il pastaio si è appellato anche al carattere identitario della "guerra del pizzocchero" che ha generato una vera e propria mobilitazione popolare.
Ha infatti sottolineato le 12 mila persone che hanno firmato la richiesta ora al vaglio del ministero e persino i "2567 amici di Facebook che da tutto il mondo ci sostengono". A suo fianco sedeva l'assessore Severino de Stefani, chiavennasco come Moro, che passerà alla storia per aver invocato l'invio degli ispettori antifrode del Ministero contro i produttori storici del bitto. In quel caso le petizioni pro bitto storico e contro i "gendarni del gusto" e i gruppi di sostenitori su facebook dei produttori storici non sono mai state citate. Spontaneamente, senza la grancassa di cui hanno goduto le iniziative "pro pizzocchero nostro" il Bitto storico ha raccolto 3600 firme in calce a una petizione rivolta alla Regione e ha 1600 sostenitori della "causa" su Facebook.

In Valchiavenna (sede Moro Pasta) si fanno i pizzoccheri eccome... ma con la farina bianca

Tutto da ridere verrebbe da dire. Sì perché Moro non solo produce pizzoccheri secchi industriali "moderni" da minor tempo di Annoni ma lo fa a Chiavenna dove il grano saraceno non è mai stato coltivato, tanto è vero che non esiste traccia nella gastronomia del territorio. Se andate Chiavenna nei locali più "andanti" se chiedete "pizzoccheri" di serviranno quelli "Veltellinesi" (ma sarebbe meglio dire industriali). Se andate in crotti e locali di cucina del territorio vi serviranno i "Pizzoccheri bianchi o chiavennaschi". Sono gnocchetti di farina bianca e si accomagnano alle sole patate. Una bella differenza! Il tutto si spiega facilmente. In epoca romana ma anche in epoche successive Chiavenna è stata interessata da notevoli flussi di commercio regionali e su lunga distanza grazie alla convenienza dell'itinerario transalpino che da Como attraverso la comoda via lacustre arrivava a Samolaco (porto di Chiavenna quando il Lago di Como si estendeva a Nord sino nell'attuale Piano di Chiavenna) per poi proseguire allo Spluga o al Septimer. Il frumento arrivava facilmente dal milanese. Ma procediamo. Non solo il maggior produttore di "Pizzoccheri Valtellinesi" (e presidente del Comitato) non è in Valtellina ma in un altra valle dove non esiste alcuna tradizione di utilizzo del grano saraceno e tanto meno dei "Pizzoccheri Valtellinesi" ma la farina che utilizza viene molita in Brianza (non tanto distante dal pastificio Annoni) ed è ottenuta da grano saraceno cinese. Annoni, invece, utilizza farina molita a Teglio, patria indiscussa del Pizzocchero Valtellinese e sede dellAccademia del Pizzocchero dal Molino Tudori, di grande tradizione nella lavorazione del "saraceno" che fa venire dalla Germania (è quindi di origine comunitaria quantomeno). Aggiungasi che la Bassa Valtellina (di Morbegno) che partecipava del vantaggi di rifornimenti commerciali via Lario ha adottato precocemente e con entusiasmo, come altre terre lombarde, il mais.

Pretese storiche fragili

È poi facilmente dimostrabile come il saraceno fosse ampiamente diffuso nell'Italia settentrionale (come in varie parti d'Europa) prima della rivoluzione alimentare colombiana. Tutti ricordano la "polentina bigia" di Tonio nei Promessi Sposi in zona confinante con la Bergamasca. Va poi rilevato che non è solo la media-alta valtellina l'unica regione dove la tradizione della coltivazione e dell'uso alimentare del saraceno si è conservata a lungo. Basti citare come zone corservative il Friuli, l'alto Varesotto, le alpi Marittime. Posso personalmente testimoniare che in Val Veddasca (alto Luoinese, Va) il saraceno sino al declino della "civiltà contadina" era la coltura più praticata. Con esso si preparava la polenta ma anche altre varie ricette gelosamente custodite dalla signora Saredi che sino a due anni fa gestiva orgogliosamente la storica Trattoria Saredi fondata dal bisnonno. Dal momento che il "Pizzocchero Valtellinese" è una preparazione moderna (nella sua forma attuale standardizzata proprio dal pastificio Annoni) credo che non sia difficile dimostrare che le preparazioni "storiche" a base di "fraina" dalle quali è disceso il Pizzocchero attuale potessero essere rinvenute anche in altre aree di forte penetrazione del "saraceno". Questo sulla base di una profondità storica che va al di là dell'orizzonte "storico" delle Dop e IGP che, è bene ricordarlo, richiedono "almeno venticinque anni" di "tradizione". Il pastificio Annoni può vantare multipli di venticinque anni di storia.
È veramente curioso che ci siano personaggi che, nel caso del Bitto, hanno attestato il falso per dimostrare che la produzione in Valchiavenna e in altre aree della Provincia (che aveva pochi anni di vita) poteva vantarne più di venticinque mentre oggi gli stesso contestano ad Annoni di non poter vantare secoli di storia.
Con questa gente che usa "tipicità", "storia", "cultura" come nel gioco delle tre carte si rischia di disperdere grandi valori. La Provincia di Sondrio di patrimoni agriculturali ne ha molti. Ma questa cupola industrial-istituzionale (in questo poco responsabilmente assecondata in modo miope per "automatismo burocratico-istutuzionale" dalla Regione) li stà distruggento. E la parabola della bresaola finita in mani brasiliane è lì a raccontare dove si va a finire.

 

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