(21.01.12) Il pizzocchero "Valtellinese" IGP è prodotto principamente fuori della Valtellina, a Chiavenna (dove il pizzocchero è da sempre di farina di frumento) con farina macinata in Brianza di origine cinese
Gli
stessi personaggi che nel caso del Bitto storico hanno messo sotto i
piedi la storia in nome dei numeri e della "massa critica di mercato"
ora, quando gli fa comofo, si appellano alla cultura e a documentazioni
storiche secolari. La farsa serve a rivendicare l'esclusiva provinciale
per un un pizzocchero industriale IGP che di "valtellinese" ha quasi
nulla. Mentre paradossalmente
i rivali bergamaschi possono vantare di produrre pizzoccheri più
"valtellinesi"
La
Valtellina degli industriali alimentari e dei politicanti ha da tempo
capito che l'agricoltura non serve, che il business funziona benissimo -
anzi meglio - se si usa l'ingrediente purificato dell'immagine, della
rappresentazione della montanità, della valtellinesità. Per poi
smerciare funghi, marmellate, pizzoccheri, bresaole, violini (e anche
formaggi) prodotti
con materia prima rigorosamente global. È stato il cav. Emilio Rigamonti
ad aprire la strada sin dagli anni '70 con la bresaola di carne
congelata di zebù brasiliano. Gli altri hanno seguito. Questi personaggi
che hanno capito che le più grandi risorse "imprenditoriali" sono
l'appoggio politico garantito da canali sicure, le mammelle di mamma
Regione e la dabbenaggine del consumatore, hanno però trovato sulla loro
strada un ostacolo che hanno a lungo sottovalutato ma che
si sta rivelando formidabile: i ribelli del bitto storico. Ora sono
incappati in un altro agguerrito avversario: un pastificio bergamasco
che non ne vuole sapere di rinunciare a produrre "Pizzoccheri
valtellinesi" (con qualche buona ragione dalla sua).
La Provincia di Sondrio e la Valtellina non sono la stessa cosa
Per
poter portare in porto le sue operazioni la cupola dell'agroindustria
sondriese - strettamente intrecciata a banche, politica e GDO -conduce
da quindici anni la guerra del Bitto. E non è riuscita ad avere la
meglio di un pugno di produttori tradizionali, nonostante tutta la
potenza di fuoco del fronte istituzionale
(da Bruxelles ai sindaci). Ora da qualche anno conduce la "guerra del
pizzocchero". Questa volta di fronte non ci sono degli "straccioni" ma
un industriale bergamasco che vanta di produrre "Pizzoccheri
valtellinesi" daglia nni '60.
Come
nel caso del Bitto molta della querelle si gioca sull'equivoca identità
tra "Provincia di Sondrio" e "Valtellina". Quando fa comodo si fa
finta, violentando la geografia e la storia che la Valchiavenna sia una
valle laterale della Valtellina, alias Provincia di Sondrio. Ma la
Valchiavenna,
detta anche valle della Mera ha avuto destini diversi dalla Valtellina
(Valle superiore dell'Adda). La Mera e l'Adda sono imissari del Lago di
Como "di pari grado". A confermare la non identità di Valtellina e
Provincia di Sondrio ci pensa ancora la geografia. Il Livignasco è la
valle dello Spöl, un affluente dell'Inn, subaffluente del Danubio. Più
che la geografia conta la storia. Prima del regno Lombardo Veneto (1816)
la Provincia di Sondrio non è mai stata una entità
unica. L'autonomia del Contado di Chiavenna e della Contea di Bormio non
è mai stata messa in discussione nè sotto i Duchi di Milano nè sotto la
dominazione delle Leghe Grigie (sotto uno stemma storico che rispecchia
la realtà dei tre territori storic: in alto a sinistra Chiavenna, a
destra Bormio, sotto la Valtellina).
La ridicola pretesa di far coincidere i confini culturali e delle tradizioni agroalimentari con i limiti provinciali
La
provincia è realtà eminentemente burocratico-amministrativa. Ma i
burocrati e certi politici vorrebbero, in una sorta di parodia in chiave
gastronomica del giacobinismo, "naturalizzare" i confini provinciali e
pretendere - per decreto - che siano anche un ambito culturale e di
tradizioni omogene agroalimentari. Operazione chiaramente finalizzata a
porre
in capo alle istituzioni politiche e parapolitiche (come il Distretto
agroalimentare) la governance della "tipicità del cibo" e a gestire
flussi di spedsa pubblica e di potere (o meglio sottopotere). Così,
quando è stato redatto il disciplinare del Bitto Dop si è affermato che
esso era produzione "tradizionale" diffusa in tutta la provincia
mentendo clamorosamente. Nella Valchiavenna la produzione del Bitto Dop
era talmente "tipica" e "tradizionale"
che è stata avviata DOPO l'istutuzione della Dop.
Dopo questa (indispensabile) premessa torniamo all'attualità
Il
giorno 19, l'altro ieri, presso la Camera di Commercio di Sondrio si è
svolta la seduta per la presentazione del Disciplinare dei Pizzoccheri
della Valtellina IGP (già approvato dalla Regione Lombardia). C'erano
Emanuele Bartolini, presidente della Camera, Patrizio Del Nero,
direttore del Distretto agroalimentare,
Severino de Stefani, assessore provinciale, tutti personaggi che chi
segue la saga del bitto storico conosce bene (inquadrati tra i
"cattivi"). A rompere le uova nel paniere i rappresentanti della ditta
Pastificio Annoni di Fara Gera d'Adda in provincia di Bergamo che hanno
ribadito i motivi di opposizione (i rappresentanti dell'Accademia del
Pizzocchero di teglio, invece, hanno preferito marcare con la loro
assenza il loro pensiero di "talebani del Pizzocchero"). La ditta
Pastificio Annoni
non è da oggi che contesta il monopolio sondriese della produzione del
"Pizzocchero valtellinese".
A parte il punto nodale della localizzazione della produzione che i sondriesi vogliono far coincidere con "tutta la provincia di Sondrio e nient'altro che la provincia di Sondrio"
qualcuno nel corso della seduta ha rilevato un errore macroscopico
nella stesura del disciplinare laddove si precisa che la pasta
è "derivata dall'impasto di grano saraceno e sfarinati" . Una dizione a
dir poco imprecisa dal momento che si impasta il "grano", ovvero gli
acheni (granelli) ma la farina (detta "fraina" o "farina nera"). E
pensare che diverse istituzioni hanno "controllato".
Uno show esilarante
Nulla,
però in confronto allo show un po' imbarazzante nella sua
sfacciataggine dei rappresentanti della "cupola" agroalimentera
industrial-istituzionale sondriese. È stato addirittura commovente Fabio Moro,
presidente del Comitato per la valorizzazione dei Pizzoccheri della
Valtellina (nonché
maggior produttore di Pizzoccheri industriali dopo Annoni).
L'industriale ha citato il presidio Slow Food del grano saraceno di
Teglio (encomiabile iniziativa ma che interessa per ora pochissimi
ettari di coltivazione) per il suo significato culturale.
"Ed
è per la stessa ragione, innanzitutto culturale. che abbiamo costituito
un Comitato provinciale" ha tenuto a precisare Moro. Certo che no, chi
ne dubita? Giammai si pensi che ci sia sotto un interesse comemerciale.
Non
contento il pastaio si è appellato anche al carattere identitario della
"guerra del pizzocchero" che ha generato una vera e propria
mobilitazione popolare.
Ha
infatti sottolineato le 12 mila persone che hanno firmato la richiesta
ora al vaglio del ministero e persino i "2567 amici di Facebook che da
tutto il mondo ci sostengono". A suo fianco sedeva l'assessore Severino
de Stefani, chiavennasco come Moro, che passerà alla storia per aver
invocato l'invio degli
ispettori antifrode del Ministero contro i produttori storici del bitto.
In quel caso le petizioni pro bitto storico e contro i "gendarni del
gusto" e i gruppi di sostenitori su facebook dei produttori storici non
sono mai state citate. Spontaneamente, senza la grancassa di cui hanno
goduto le iniziative "pro pizzocchero nostro" il Bitto storico ha
raccolto 3600 firme in calce a una petizione rivolta alla Regione e ha
1600 sostenitori della "causa" su Facebook.
In Valchiavenna (sede Moro Pasta) si fanno i pizzoccheri eccome... ma con la farina bianca
Tutto
da ridere verrebbe da dire. Sì perché Moro non solo produce pizzoccheri
secchi industriali "moderni" da minor tempo di Annoni ma lo fa a
Chiavenna dove il grano saraceno non è mai stato coltivato, tanto è vero
che non esiste traccia nella gastronomia del territorio. Se andate
Chiavenna nei locali più
"andanti" se chiedete "pizzoccheri" di serviranno quelli "Veltellinesi"
(ma sarebbe meglio dire industriali). Se andate in crotti e locali di
cucina del territorio vi serviranno i "Pizzoccheri bianchi o
chiavennaschi". Sono gnocchetti di farina bianca e si accomagnano alle
sole patate. Una bella differenza! Il tutto si spiega facilmente. In
epoca romana ma anche in epoche successive Chiavenna è stata interessata
da notevoli flussi di commercio regionali e su lunga
distanza grazie alla convenienza dell'itinerario transalpino che da Como
attraverso la comoda via lacustre arrivava a Samolaco (porto di
Chiavenna quando il Lago di Como si estendeva a Nord sino nell'attuale
Piano di Chiavenna) per poi proseguire allo Spluga o al Septimer. Il
frumento arrivava facilmente dal milanese. Ma procediamo. Non solo il
maggior produttore di "Pizzoccheri Valtellinesi" (e presidente del
Comitato) non è in Valtellina ma in un altra valle dove non esiste
alcuna tradizione
di utilizzo del grano saraceno e tanto meno dei "Pizzoccheri
Valtellinesi" ma la farina che utilizza viene molita in Brianza (non
tanto distante dal pastificio Annoni) ed è ottenuta da grano saraceno
cinese. Annoni, invece, utilizza farina molita a Teglio, patria
indiscussa del Pizzocchero Valtellinese e sede dellAccademia del
Pizzocchero dal Molino Tudori, di grande tradizione nella lavorazione
del "saraceno" che fa venire dalla Germania (è quindi di origine
comunitaria quantomeno).
Aggiungasi che la Bassa Valtellina (di Morbegno) che partecipava del
vantaggi di rifornimenti commerciali via Lario ha adottato precocemente e
con entusiasmo, come altre terre lombarde, il mais.
Pretese storiche fragili
È
poi facilmente dimostrabile come il saraceno fosse ampiamente diffuso
nell'Italia settentrionale (come in varie parti d'Europa) prima della
rivoluzione alimentare colombiana. Tutti ricordano la "polentina bigia"
di Tonio nei Promessi Sposi in zona confinante con la Bergamasca. Va poi
rilevato che non è solo la media-alta valtellina
l'unica regione dove la tradizione della coltivazione e dell'uso
alimentare del saraceno si è conservata a lungo. Basti citare come zone
corservative il Friuli, l'alto Varesotto, le alpi Marittime. Posso
personalmente testimoniare che in Val Veddasca (alto Luoinese, Va) il
saraceno sino al declino della "civiltà contadina" era la coltura più
praticata. Con esso si preparava la polenta ma anche altre varie ricette
gelosamente custodite dalla signora Saredi che sino a due anni fa
gestiva orgogliosamente la storica Trattoria Saredi fondata dal
bisnonno. Dal momento che il "Pizzocchero Valtellinese" è una
preparazione moderna (nella sua forma attuale standardizzata proprio dal
pastificio Annoni) credo che non sia difficile dimostrare che le
preparazioni "storiche" a base di "fraina" dalle quali è disceso il
Pizzocchero attuale potessero essere rinvenute anche in altre aree di
forte penetrazione del "saraceno". Questo sulla base di una
profondità storica che va al di là dell'orizzonte "storico" delle Dop e
IGP che, è bene ricordarlo, richiedono "almeno venticinque anni" di
"tradizione". Il pastificio Annoni può vantare multipli di venticinque
anni di storia.
È
veramente curioso che ci siano personaggi che, nel caso del Bitto,
hanno attestato il falso per dimostrare che la produzione in
Valchiavenna e in altre aree della Provincia (che aveva pochi anni di
vita) poteva vantarne più di venticinque mentre oggi gli stesso
contestano ad Annoni di non poter vantare secoli di storia.
Con
questa gente che usa "tipicità", "storia", "cultura" come nel gioco
delle tre carte si rischia di disperdere grandi valori. La Provincia di
Sondrio di patrimoni agriculturali ne ha molti. Ma questa cupola
industrial-istituzionale (in questo poco responsabilmente assecondata in
modo miope per "automatismo burocratico-istutuzionale"
dalla Regione) li stà distruggento. E la parabola della bresaola finita
in mani brasiliane è lì a raccontare dove si va a finire.
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