Due
settimane fa Paolo Ciapparelli, presidente del consorzio bitto
storico si è recato in Canton Ticino ad un evento organizzato dal
movimento politico "Montagna Viva" , impegnato nella
campagna per le cantonali parlare dell'esperienza del bitto. "Una
bella esperienza" aveva commentato Paolo "E' bello vedere
come in Svizzera nelle campagne elettorali si parli di problemi
concreti, ed è stato bello parlare in dialetto in un evento
politico". In questi giorni sul sito agriticino è apparso un
post che commenta la serata. Oltre a confermare l'interesse degli
amici ticinesi per l'esperienza del bitto storico (anche loro hanno
un formaggio d'alpe dop) il resoconto è interessante perché
riferendo della vendita di bitto storico a Hong Kong l'articolista
precisa che i dollari locali valgono un sesto e che quindi i 380
dollari citati da Ciapparelli erano in realtà 63.
Ma i dollari di
Hong Kong in questione erano 2.500. Si fa fatica a credere che un
formaggio riesca a essere venduto a certi prezzi. Ma il bitto storico
è l'unico formaggio al mondo (escluso il rarissimo formaggio d'alce
svedese) a raggiungere certe quotazioni. Segnando una tappa miliare
nella valorizzazione di un prodotto che, esattamente come il vino, si
divide in prodotto industriale e capolavoro artigianale.
Un esempio dalla Valtellina: la valorizzazione del Bitto “storico”
Pubblicata il 06-04-2015
La Valtellina, come noto, è la patria del “Bitto”, un formaggio del tutto speciale, la cui particolarità principale sta nella lunghissima conservazione, che arriva anche a 12-13 anni. Naturalmente ciò richiede una molto cura, tipo quella del vino. Le forme infatti, dopo alcuni mesi di stagionatura “in orizzontale”, vengono sistemate verticalmente e girate di un quarto alla volta, un po’ come le bottiglie di una “grande cuvée”.
Se n’è parlato recentemente al Caseificio di Airolo, in occasione di un incontro promosso dall’associazione politica MontagnaViva. Il relatore Paolo Ciapparelli – ha messo l’accento sul fatto che questo formaggio, prodotto con latte misto di vacca e di capra, appena munto – rigorosamente a mano – è lavorato anche a più di 50 gradi C. La sua disponibilità è limitata. La dozzina di alpi che lo producono, ne “sfornano” in tutto meno di 2'000 forme all’anno. Pur considerando le grandi dimensioni - 12-14 kg l’una – non si può certo parlare di produzione di massa.
Eppure - grazie al sostegno dell’associazione “Slow food”, che mira alla promozione di prodotti genuini - il reddito dei produttori è lievitato. Un certo numero di forme viene esportato all’estero, perfino oltre-oceano, dove viene venduto a cifre elevatissime. Ad Hong Kong, ad es., un chilo di questo formaggio sarebbe pagato addirittura… 380 dollari! Pur considerando che il “dollaro” di Hong Kong vale solo 1/6 di quello americano, è pur sempre… un bel pagare.
La genuinità del prodotto è assicurata anche dal fatto che vacche e capre sono nutrite esclusivamente di erba. Mangimi e farinacei sono banditi, ed è ciò che fa la differenza rispetto ad altri formaggi che portano lo stesso nome ma che sono di altro genere e non entusiasmano i consumatori. Per difendere il prodotto tipico, è pure stato trovato un “modus vivendi” con le autorità, in modo che ad es. le norme igieniche vengano applicate… “cum grano salis” (significativo il fatto che dai caseifici l’acciaio, elemento-cardine dell’asetticità, sia escluso).
L’evoluzione citata consente dunque ai responsabili della produzione in parola di trovare senza problemi il personale che ancora si adatta a svolgere il lavoro necessario in condizioni di vita non sempre ottimali, scongiurando così il pericolo di chiusura di questa attività. Attorno ad essa si è pure sviluppata una marcata attività turistica. Il declino delle valli Albareda e Gerola, che fino a qualche anno fa sembrava inevitabile, forse, è dunque scongiurato.
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