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mercoledì 12 novembre 2014

Torma la Bruna alpina. Merito anche del Bitto storico

Torna la Bruna ma i tecnocrati anticontadini responsabili della sua 'estinzione forzata' la chiamano "Linea carne" per difendere le loro scelte sciagurate 



Vacca OB di Alfio Sassella, un 'ribelle del bitto' che carica l'Alpe Cavisciöla a Mezzoldo in alta val Brembana

La buona notizia è che è stato attivato il Registro anagrafico della Bruna originale Original Braunvieh. Il merito è anche degli allevatori che caricano gli alpeggi del Bitto storico, i primi a reintrodurre la Bruna originale dileggiati sino a pochi anni come trogloditi ("volete disperdere decenni di selezione") dai tecnici dell'Apa (Associazione provinciale allevatori) di Sondrio. Da tempo inoltre il Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico sta penando di vincolare alla razza OB Bruna alpina originale, la produzione del formaggio. La stessa Apa  ora si inventa con finanziamenti della Regione una fantomatica "Bruna valtellinese" (destinata a fare la vacca nutrice, ovvero a non essere munta). E' sempre la Bruna "Linea carne" inventata dall'Aia (Associazione italiana allevatori) e dall'Anarb (Associazione razza Bruna), chiamata così per nascondere che la Bruna originale è una ottima razza a duplice attitudine 'madre' di tanti formaggi lombardi e svizzeri.

Una denominazione inaccettabile quella dei tecnocrati dell'Aia e dell'Anarb e insultante per gli allevatori.  Ferdy Quarteroni (grande amico del Bitto storico e 'inventore' dei Principi delle Orobie con Paolo Ciapparelli  e Francesco Maroni) nel suo agriturismo di Lenna e all'Alpe Inferno di Ornica sta da tempo anch'egli 'collaudando' le Brune originali e non ci sta a vederle insultate come "Linea carne". Lo ha detto chiaro e tondo all'assessore regionale Fava che è andato a trovarlo nel suo agriturismo.

I tecnoburocrati delle Associazioni di razza  sono  i responsabili (insieme alle Associazioni provinciali allevatori e alla Regione) dell'estinzione della Bruna alpina di cui hanno disperso il patrimonio frutto di secoli di selezione in Valtellina, Valsassina e valli bergamasche. L'hanno sostituita al 100%. Hanno imposto la Brown Swiss (l'Anarb è una specie di monarchia ereditaria dove le decisioni partono dall'alto) anche in aziende dove non vi erano le condizioni per allevare una vacca 'spinta': la Brown Swiss made in Usa. Una sostituzione che in montagna è stata anticamera dell'abbandono degli alpeggi, della chiusura dei piccoli allevamenti che si basavano sulla produzione di foraggi aziendali e sul pascolo e traevano un reddito non trascurabile dalla carne (il vitello Brown non vale nulla). 

Ovviamente ha guadagnato il 'giro' (quello che vede l'intreccio tra associazioni tecniche, sindacati agricoli, politica, cooperative).  Ci ha guadagnato chi traffica in fiale di seme di toro, mangimi, farmaci, integratori (e intrugli più o meno leciti), chi voleva la pulizia etnica delle piccole aziende per imporre anche in montagna il modello agroindustrialista (poche aziende, molto produttive, tutte dedite a mungere a manetta, a vendere il latte per  quattro centesimi e a comprare quantità industriali di mangimi). Per attirare gli allevatori nella trappola li facevano sentire 'moderni' e 'imprenditori'. In realtà gli consentivano di tenersi in piedi appena allargando sempre la stalla. I profitti li facevano solo gli allevatori più grossi e altri soggetti.

Alla fine quando gli allevatori hanno capito che la Brown Swiss non era più adatta all'economia delle loro aziende l'hanno mollata. Ma dovendosi arrangiare (dove sono state le istituzioni?) hanno dovuto 'sperimentare' tra razze varie e incroci (portando in Lombardia la Pezzata Rossa ma anche la Grigia alpina, la Pinzgauer e altre razze minori variamente mescolate tra loro, con la P.R., con la Brown swiss, con la Frisona. Un... casino di cui vanno ringrazieti gli enti suddetti. La scomparsa della Bruna alpina ha danneggiato l'agricoltura di montagna, la montagna, la qualità del latte (le vacche 'spinte' si ammalano più facilmente anche di mastiti), la tanto invocata a sproposito (da coloro che la calpestano) sostenibilità. La Brown swiss importata dagli Usa è un incrocio attuato negli States a fine Ottocento tra Bruna alpina di origine svizzera e varie razze da latte. E' un 'derivato' dalla Bruna alpina, cioè un'altra razza. Di fatto oggi, dopo l'accanita selezione (in Italia si è seguito l'indirizzo 'spinto' Usa a differenza di Bolzano, Austria, Germania) la Bruna italiana è una Frisona con un colore solo pallidamente bruno.

Qui la storia della "BRUNA NON PIU' ALPINA' (scarica)


fonte: http://news.valbrembanaweb.com/index.php/dalla-val-brembana-parte-la-rivincita-della-bruna-alpina/

Dalla Valbrembana parte la rivincita della Bruna alpina



(12.11.14) Valle Brembana – La vacca Bruna alpina tornerà regina delle nostre montagne? Per ora è soprattutto un auspicio ma si sono messe le basi: con i primi capi che stanno per essere riconosciuti ufficialmente dall’Associazione provinciale allevatori in un registro anagrafico. Premessa: fino ancora a venti anni fa circa, nella nostra provincia, in montagna e in pianura, gli allevamenti bovini erano di Bruna alpina, ovvero la razza originaria, nata in Svizzera, con il latte della quale per decenni e oltre, si sono prodotti i formaggi orobici diventati poi famosi nel mondo, dal Taleggio al Formai de mut, dal Bitto al Branzi. Ma già dal 1940, in Italia, e quindi anche da noi, venne introdotta la Brown Swiss, un incrocio americano della Bruna alpina, con un’attitudine più lattifera rispetto all’originale. In sostanza produceva più latte e, perciò, in nome del commercio e del profitto, la Bruna alpina originale, più rustica e adattabile all’alpeggio, ma meno lattifera, venne «insanguata» con la razza oltreoceano.
«Più rustica e adatta all’alpeggio»
«Prima degli inserimenti americani – spiega Giulio Campana, funzionario zootecnico della Provincia di Bergamo – anche da noi esisteva il ceppo originale di Bruna alpina, rimasto ora, (con un numero di capi limitati, ndr) solo in Svizzera, Austria e Alto Adige. Se l’Alpina aveva una duplice attitudine, per latte e carne, quella oggi diffusa ovunque, ovvero la Bruna derivata dall’incrocio americano, è prevalentemente per latte, ma è anche meno resistente, meno adatta alla montagna e, sugli alpeggi, non è sufficiente che si alimenti di erba, ha bisogno di un’integrazione alimentare di cereali». La razza antica star su Canale 5 Così, negli ultimi vent’anni, anche nelle nostre valli, la tradizionale vacca alpina è stata sostituita, oltre che dall’incrocio con la Brown Swiss (col semplice nome di Bruna), anche da Pezzate rosse friulane e Frisone, un mosaico di razze ormai lontano dalla tradizione orobica. Ma a volte ritornano. Da qualche anno la Bruna alpina ha fatto la sua ricomparsa sulle Orobie valtellinesi, grazie ad alcuni produttori di Bitto storico, visto che il consorzio a cui fanno capo vieta proprio in alpeggio l’integrazione alimentare delle bovine, ormai diventata necessaria per tenere in piedi le Brune di origine americana.
Ora è la volta della Bergamasca.
Per il ritorno della razza originaria si parte dalla Valle Brembana, culla di formaggi: i primi due allevamenti tornati (o rimasti fedeli) alla Bruna alpina sono quelli dell’agriturismo Ferdy di Lenna (con cinque capi già certificati e arrivati da Austria e Svizzera, con alpeggio in Valle Inferno, Ornica) e alcuni capi, ancora da certificare, dell’allevamento di Ignazio Carrara (con alpe ai Laghi Gemelli). Proprio domenica scorsa il programma di Canale 5 Melaverde ha messo in onda una puntata dall’agriturismo Ferdy, incentrata anche sul recupero dell’antica razza bovina, da tempo messa da parte sulle nostre Alpi. «I primi capi – spiega ancora Campana – saranno visionati dagli esperti dell’Associazione nazionale razza Bruna, per verificarne la riconducibilità alla razza originaria. Momentaneamente prenderanno il nome di “linea carne” all’interno della razza Bruna, anche se tale denominazione è poco corretta e andrebbe modificata: le Brune alpine, infatti, hanno sempre avuto la doppia attitudine, alla carne ma anche al latte, con cui per secoli sono stati prodotti i nostri formaggi d’alpeggio. Una volta identificati i capi, l’Associazione provinciale allevatori aprirà il registro anagrafico e, con controlli semestrali, verificherà il mantenimento dei requisiti di razza».
«Valore per ambiente e turismo»
«Si tratta sicuramente di un ritorno positivo – aggiunge il funzionario della Provincia – soprattutto per quelle piccole realtà zootecniche, magari di montagna, che hanno tra gli obiettivi la salvaguardia ambientale, visto che una razza di questo tipo, più rustica e muscolosa, è anche più resistente e adattabile alla montagna». Un ritorno che potrebbe avere, per gli allevatori, anche una valenza economica – legata eventualmente a sovvenzioni europee per le razze in via di estinzione – ma soprattutto un ritorno che ha il valore della tradizione e dell’identità territoriale, con tutte le implicazioni positive in ambitoturistico.
Giovanni Ghisalberti – L’Eco di Bergamo

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