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sabato 10 marzo 2012

Del Nero salva la testa, la Valtellina perde la faccia

(10.03.12) La giunta della Camera di Commercio con il consenso delle categorie voleva dare il benservito al manager-politico del Distretto agroalimentare. Ma poi chi ha tirato il sasso ha ritirato la mano

Giovedì sera doveva essere una specie di 25 luglio 1943 per Patrizio Del Nero. Invece questa volta la congiura è fallita. Forse perché il Re (della bresaola) comm. Rigamonti, a differenza del Savoia non ha tolto la fiducia al suo Duce, ops, Direttore. Una storia da cui i rappresentanti delle categorie economiche della provincia di Sondrio non escono certo bene

La cronaca ha dell'incredibile. Le stesse organizzazioni di categoria che in Giunta di Camera di Commercio si pronunciano per la rimozione di Patrizio Del nero da direttore del distretto agroalimentare poi in Consiglio di amministrazione gli votano a favore. Ma allora chi rappresenta cosa? Vediamo di capirci qualcosa di una vicenda dove di certo Del Nero conserva la testa ma la Valtellina, quantomeno le associazioni di categoria , ci perde la faccia.

Il Consiglio di amministrazione 

Il dsitretto agroalimentare di Qualità della Valtellina è costituito da quattro Consorzi di prodotti Dop o Igp: quello della bresaola valtellina Igp rappresentato dal comm. Emilio Rigamonti, il re della bresaola industriale, titolare dell'omonima azienda leader, quello dei vini (Dop e Docg) con rappresentante Mamete Prevostini (dell'omonima cantina), quello dei formaggi Dop Bitto e Casera (è un consorzio unico) rappresentato dal presidente Vincenzo Cornaggia, quello delle mele IGP rappresentato dal presidente Gian Luigi Quagelli, dirigente scolastico e presidente  della COAV, una delle tre tre coop di melicoltori. Oltre ai quattro rappresentanti dei consorzi siedono con diritto di voto nel Cda i rappresentanti di tre soci partner; l'Unione industriali rappresentata da Fabio Moro, il re dei pizzoccheri della Valtellina industriali. Un prodotto che con il vero pizzocchero valtellinese di Teglio non c'entra nulla ma che è comunaque in attesa di Igp (sempre che al Ministero diano torto al pastificio Annoni di Bergamo che è il vero re del pizzocchero industriale...valtellinese). In ogni caso i pizzoccheri industriali della Valtellina  hanno anch'essi il loro bravo consorzio rappresentato dallo stesso Moro. Vi è poi Gionni Gritti in rappresentanza dell'Unione artigiani (è presidente di VolaValtellina), infine Stefano Martinalli in rappresentanza del Consorzio Vivi le valli di cui il principale socio è la catena di iper e supermercati "autoctona" Iperal. Martinalli è anche direttore commerciale della Fiuriuda, il maxi agriturismo di Plinio Vanini, titolare della AutoTorino, la più grossa azienda commerciale del settore e presidente dell'Associazione Provinciale Allevatori.  Nel consorzio Vivi le Valli tra i soci ci sono, oltre a Iperal e Credito Valtellinese (che insieme alla Banca Popolare è praticamente dietro a tutto quello che si muove sulla scena economica valligiana), Moro Pasta (quello di primna), Rigamonti Bresaola (sempre lui), AutoTorino di Plinio Vanini. Vivi le Valli è socio di VolaValtellina. E si potrebbe proseguire all'infinito.

Intrecci di interessi 

In Valtellina è difficile dire cosa rappresenti un personaggio perché c'è un forte intreccio tra imprese, consorzi, enti economici. Quasi tutti gli attori dello psicodramma della mancata decapitazione di Del Nero rivestono più ruoli, hanno più casacche. Non è difficile capire che i rappresentanti delle organizzazioni di categoria nel Cda del distretto agroalimentare rispondono anche agli interessi di cordate imprenditoriali e di aggregazioni subacque di interessi (oltre, ovviamente, che a quelli della propria impresa, a volte leader). Si aggiunga che la presa delle categorie sul Cda avrebbe dovuto essere rafforzata dalla influenza della Coldiretti sulle componenti agricole. Eppure quella che era una indicazione unanime del mondo economico valligiano non si è concretizzata in una svolta all'interno di un distretto agroalimentare dove pure le categorie dovrebbero avere voce in capitolo.
Rigamonti esalta l'autonomia del Distretto dalla Cciaa e dai "soci" ma dietro questa "autonomia" si potrebbe vedere altro: gli interessi particolari di chi siede nel Cda. In apparenza l'argomento usato da Rigamonti per ottenere la fedeltà del Cda al presidente e al direttore è consisito nel far presente ai consiglieri che gli atti contestati dalla Cciaa, in particolare la gestione falimentare della Mostra del Bitto (ricca di consulenze per alcuni personaggi ma povera di risultati), erano stati da loro sottoscritti.  Un argomento che avrebbe potuto costringere ad uscire allo scoperto qualcuno dichiarando i motivi della sfiducia delle categorie verso Del Nero. Resta il fatto che un Cda è sovrano e che avrebbe comunque potuto sfiduciare il direttore.

Quando i politici recitano il ruolo dei manager 

Il fatto è che Rigamonti e Del Nero rappresentano un duo che può utilizzare argomenti molto convincenti, capaci di far presa sui variegati interessi incarnati dai consiglieri. Il cumenda è forte dei suoi soldi, Del Nero di quelli pubbici che, nei suoi ruoli istituzionali e grazie alla sua influenza politica e capacità manovriera, è riuscito a redistribuire in gran copia. E si vede che continua a farlo.
Non è però molto edificante il quadro di un distretto diretto da un "manager" che è in realtà è un politico di professione che "viene da lontano" (dalle scuole quadri del Pci), forte di una sua influenza politica e capace di condizionare i consiglieri. Tanto da ottenere un voto di fiducia di un Cda in contrasto con gli orientamenti degli organismi di categoria che li hanno indicati come loro rappresentanti nel consiglio stesso.
Ne esce un panorama valtellinese piuttosto torbido. Che non contribuisce a migliorare l'immagine della valli (c'è anche la Valchiavenna); un panorama che racconta di giochi di potere poco trasparenti. Sullo sfondo c'è un distretto della (autoproclamata) Qualità che continua a puntare sull'immagine oleografica e sempre più "da bere"  delle montagne innevate, delle mucche Bruno alpine che non esistono più (sostitute dalle mucche-macchine da latte), delle donne e pastorelle in costume. Il tutto per smerciare  pizzoccheri fatti con sfarinati di grano duro canadese e un po' di pula di grano saraceno cinese (di cui si rivendica ora l'Igp) e la bresaola di carne congelata di zebù sudamericano.


domenica 4 marzo 2012

Firmate la petizione a sostegno dei ribelli del Bitto


Continua la petizione a favore del Bitto storico Presidio Slow Food

La petizione sulla piattaforma Firmiamo.it non si arresta. Siamo quasi a 4.000 firme ma l'obiettivo è 5.000. Inviatiamo chi non ha ancora firmato a farlo e a segnalare agli amici la petizione







 Il testo della petizione

Desidero esprimere la mia solidarietà ai produttori dell'area storica di produzione del formaggio Bitto (Associazione Produttori Valli del Bitto-Presidio Slow Food ‘Bitto Valli del Bitto’) che continuano a produrre come un tempo un formaggio con secoli di storia senza utilizzare mangimi per l'alimentazione delle mucche, lavorando il latte immediatamente dopo la mungitura ed astenendosi dall'impiego di fermenti selezionati. Ritengo che rappresenti un'assurdità dannosa per l'immagine delle produzioni tipiche regionali e nazionali, impedire loro, eredi delle innumerevoli generazioni di casari che hanno creato la reputazione di questo formaggio straordinario - in grado di invecchiare oltre 10 anni - di utilizzare la denominazione Bitto. Essi, infatti, sono stati costretti ad uscire dal Consorzio di tutela (CTCB) per motivi molto seri. Non è mai stato infatti concesso loro (come era previsto da accordi anche a livello istituzionale) di distinguere il Bitto prodotto negli alpeggi dell'area storica da quello prodotto in tutta la Provincia di Sondrio dopo che, con una decisione presa a tavolino, è stato concesso di produrre Bitto Dop anche dove esso non era mai stato prodotto in precedenza. La mancata distinzione delle due produzioni è risultata ancora più grave e non accettabile dai produttori storici dopo che, nonostante il loro totale dissenso, sono state approvate dalla Commissione Europea le modifiche del disciplinare di produzione che prevedono l'uso dell'aggiunta al latte di fermenti selezionati per ‘pilotare’ le fermentazioni casearie e degli alimenti concentrati (cereali, melasso e persino la soia, che è in larga misura geneticamente modificata) nell'alimentazione delle mucche. Chiedo pertanto che la Regione Lombardia si adoperi perché le ragioni della burocrazia non prevalgano su quelle del buon senso e della tutela di produzioni realmente tradizionali e rispettose dell'ambiente e che venga pertanto superata una situazione paradossale nella quale chi produce un prodotto a denominazione di origine nell'area di origine effettiva, e secondo i metodi tradizionali e costanti nel tempo, viene considerato fuorilegge e passibile di sanzioni.

sabato 3 marzo 2012

Con Del Nero è messa in discussione la politica della montagna di plastica

(03.02.12) Un clamoroso articolo di ieri su La Provincia, il quotidiano di Sondrio, annuncia che - salvo il presidente Rigamonti (bresaola) - tutto il Cda del distretto agroalimentare vuole la testa del politico di Albaredo
 

L'articolo in prima pagina di ieri su La Provincia strillato dalle locandine in tutta la valle significa una sola cosa: l'establishment valtellinese (che ruota intorno alle due potenti banche) da il buon servito a Patrizio Del Nero.

Siano forse assistendo alla parabola di un politico di vecchia scuola (formatosi alle scuole quadri del PCI), abilissimo a restare a galla, ma anche troppo disnvolto e arrogante. Un politico che controllando significativi flussi di denaro pubblico si è fatto parecchi "amici" ma anche molti nemici. Oggi i poteri forti di Sondrio hanno fiutato che il vento sta cambiando, che l'immagine della Valtellina veicolata dalle iniziative di De Nero e del Distretto agroalimentare (ex-multiconsorzio) rischia di diventare un boomerang. E prima che sia troppo tardi lo scaricano.

Il fallimento della Mostra del Bitto

Il casus belli che avrebbe indotto tutte le componenti del cda del Distretto agrolaimentare a chiedere la testa del direttore sembra da ricondurre alla gestione da parte del Distretto stesso (ex-Multiconsorzio) delle ultimi edizioni della Mostra del Bitto. Come avevamo ampiamente riferito lo scorso ottobre (vedi articolo su Ruralpini) Del Nero, con la sua consueta spregiudicatezza, aveva dichiarato per primo fallita la formula della Mostra del Bitto nella sua veste "pesante" allestita dalla fine degli manni '90 presso il polo fieristico. Lo aveva fatto mentre nei padiglioni gli addetti non avevano ancora finito di smontare gli allestimenti, prima che le critiche potessero azzopparlo. Ma tanto tempismo non lo ha salvato. Era operazione troppo spudorata.
Oltre al calo di presenze molti avevano lamentato l'assenza di "anima" di una mostra dove i formaggi erano sotto vetro, dove si trovavano le mercanzie più disparate e gli stand istituzionali erano poco o nulla presidiati (a parte le brochure patinate). Inutile ricordare che la Mostra del Bitto a causa delle politica del Consorzio del Bitto (CTCB) e delle istituzioni vede l'assenza del Bitto storico dalla edizione del centenario (2007).

Un convitato di pietra che fa paura

Un'assenza che pesa come un macigno anche se gli strateghi dell'agroalimentare valtellinese e i politici ad essi vicini (Severino De Stefani, assessore provinciale all'agricoltura, in primis) continuano a fare gli struzzi. Fingono di non vedere che il Bitto storico, quello autentico, che loro avversano come un luterano ai tempi del Sacro Macello, miete riconoscimenti su riconoscimenti al massimo livello internazionale. I media provinciali, a differenza di quelli bergamaschi e nazionali specializzati che dedicano al Bitto storico grande spazio, hanno sinora largamente censurato i successi del Bitto che sta indigesto all'ufficialità del gusto (valligiana e regionale). Il Bitto storico non si è però a svolgere il ruolo del convitato di pietar del Don Giovanni. Media valligiani e cittadini si sono accorti benissimo del grande successo dell'evento alternativo alla Mostra del Bitto ("Formaggi in piazza") che ha avuto per protagoniste le piazze di Sondrio e il Bitto storico, gli invisi ribelli del Bitto (vedi articolo su ruralpini). L'evento, qualificato dalla partecipazione di Slow Food, con poche migliaia di euro di budget ed ha richiamato una folla di visitatori con grande soddisfazione nei produttori presenti alla mostra-mercato. Ha in qualche modo rappresentato anche una  "riconciliazione" tra la Valtellina e i ribelli del Bitto sempre più orientati verso le Orobie e Bergamo. Il confronto tra l'insuccesso della costosa Mostra del Bitto e "Formaggi in piazza" è stato bruciante.
Gli espomenti del Distretto alimentare alla vigilia dell'evento hanno telefonato al sindaco Molteni per indurlo a lasciar perdere, a non dare la Piazza Garibaldi ai ribelli del gusto ma l'amministrazione ha tirato dritto. E i fatti hanno premiato il suo coraggio.


Quelle consulenze in rosso

Il Cda nell'ambito delle dolenti note che caratterizzano il bilancio della Mostra del Bitto (non tanto in termini ragionieristici quanto politici) pare essersi concentrato sulle discutibili spese per le "consulenze" a favore di Roberto Pinna, del Consorzio Valmalenco (20mila euro), Pierluigi Negri, ex consorzio turistico ed ex progetto sullo sviluppo della destinazione turistica "Valtellina Destination Management Organization" (8mila euro); Federico Scaramellini, del Consorzio turistico della Valchiavenna (32mila euro) e Carlo Fognini, ex assessore provinciale al turismo (24mila euro). A fronte di queste spese ufficialmente motivate dalla finalità di raggranellare disperatamente espositori sono rientrati 74mila euro.
A difendere Patrizio Del Nero pare essere restato solo il comm. Rigamonti, colui che sin dagli anni '70 ha tracciato il solco dell'agroalimentare valtellinese: utilizzare materie prime globalizzate a basso costo (nel caso della bresaola la coscia congelata di zebù sudamericano) per produrre un food Valtellina sound con abbondante uso di immagini di montagne innevate, limpidi torrenti alpestri, mucche felici, pastorelle in costume ecc.


In tempi recenti l'operazione viene continuata con i Pizzoccheri valtellinesi IGP, un prodotto nato con la farina di grano saraceno che oggi per l'80% è prodotto con "sfarinati" di grano duro canadese e un po' di farina e pula di grano saraceno cinese (tanto per dare colore e aspetto "rustico").

L'altra Valtellina del cibo, quella eroica, emerge ora alla ribalta e mette in crisi il sistema

Mentre l'immagine del prodotto alimentare valtellinese rischia di essere assimilata presso il grande pubblico a quella di tarocchi globalizzati  i produttori "eroici", quelli degli alpeggi storici del Bitto, ma anche le nuove leve di viticultori. hanno inaspettatamente resistito e anzi stanno ottenendo successi.
Non è difficile a questo punto pensare che qualcuno un po' più lungimirante stia arrivando alla conclusione che si debba operare una correzione di linea, con l'apertura ai piccoli produttori intransigenti puri e duri e un rifacimento d'immagine complessiva dell'agroalimentare valtellinese. Con una convivenza che si basi su una onesta distinzione tra ciò che è autenticamente tradizionale e ciò che è dignitosamente industriale. Nel rispetto reciproco. È una operazione che richiede la rimozione di Del Nero - nemico acerrimo dei "ribelli del Bitto" - dalla cabina di regia dell'agroalimentare provinciale. Un nemico, oltretutto, che è della categoria peggiore, quella dei ribaltonisti. Vale la pena ricordare che Patrizio Del Nero è passato dal ruolo di sostenitore entusiasta dei ribelli (e del Presidio Slow Food che li ha tutelati) a loro detrattore (sotto una foto "storica" che ritrae Del Nero - a destra - con Paolo Ciapparelli, il leader dei produttori ribelli).


Pesano gli smacchi già subiti da Del Nero

Se l'operazione di siluramento di Del Nero andrà in porto è anche perché il nostro è stato indebolito da alcuni altri smacchi che si sommano a quello della Mostra del Bitto allo sfacelo. Una delle decantate realizzazioni promosse da Del Nero nella sua Albaredo (dove mantiene le cariche di assessore comunale al bilancio e di presidente della Albaredo promotion) è la Fly emotion. Un "emozionificio" che sfrutta mode turistiche effimere: la montagna parco-giochi, la montagna da bere.


La Fly emotion è una società, partecipata dagli enti pubblici, che ha realizzato e gestisce un impianto a fune che consente il "volo" - andata e ritorno - da Albaredo al vicino comune di Bema (quello dell'ex-presidente della Comunità montana, Passamonti, finito in galera per la tangentopoli morbegnese). Nelle ultime settimane è emerso che la società specializzata trentina (Wind) che ha realizzato materialmente l'impianto luna-park non ha ancora ricevuto un soldo. Sono volate accuse reciproche tra la Fly emotion e la Wind e la cosa finirà in tribunale. Dal momento che ci sono di mezzo delle amministrazioni pubbliche la faccenda rischia di avere conseguenze politiche.
Non era stato senza conseguenze per Del Nero neppure l'affaire del Parco eolico. Il Parco, bocciato sonoramete dai bergamaschi, ma anche dalla provincia di Sondrio quando Del Nero era presidente del consiglio provinciale. L'opera era caldeggiata ardentemente dai comuni di Albaredo e di Bema (sempre gli stessi) tanto che Del Nero si è recato a perorare la causa sino al consiglio dei ministri a Roma (dove finiscono i contenziosi tra ammistrazioni pubbliche).


Alla maggior parte dei consiglieri provinciali, compresi quelli del Pdl che è in maggioranza con la Lega, non è andato giù che un rappresentante della provincia abbia sostenuto con foga - in rappresentanza del suo comune - una causa in contrapposizione alla provincia stessa. Così il nostro è stato sfiduciato e ha perso la prima cadrega. Con la doppia cadrega in consiglio e da "manager" Del Nero era in una botte di ferro. Ora gli rimane solo la cadrega di "manager" (per quanto può essere manager un politico di professione tanto navigato da aver fatto in tempo ad essere segretario provinciale del vecchio PCI). Ma traballa anche quella. E se cade in disgrazia corre il rischio che qualcuno si metta ad analizzare la lunga sequela di opere pubbliche realizzate ad Albaredo con larga dovizia di mezzi e a cercare di capire come i finanziamenti ricevuti per la tutela e valorizzazione della Via Priùla (la storica via del XVI secolo tra Bergamo e Morbegno) siano coerenti non solo con il Parco eolico che avrebbe deturpato il Passo di San Marco da dove transita il tracciato, ma anche con le condizioni spesso pietose del tracciato stesso in comune di Albaredo (come documentato da un nostro precedente servizio su Ruralpini).

venerdì 2 marzo 2012

Guarda il video della televisione svizzera

I recenti successi del bitto storico sono alla base del servizio della Televisione della Svizzera italiana che si può vedere in streaming al link qui sotto



lunedì 6 febbraio 2012

Paolo Massobrio in visita al Centro del Bitto storico

Sabato 4 febbraio Paolo Massobrio, noto giornalista e critico enogastronomico, ha fatto visita al Centro del Bitto storico a Gerola alta accompagnato dalla moglie e da Francesca Traversi di Cosio giovane delegata del Club papillon valtellinese. Massobrio non è solo il collaboratore di quotidiani e riviste, l'autore della guida Golosario e di molte pubblicazioni di vini ma ha anche dato vita al movimento dei club di Papillon che intendono valorizzare le originalità delle risorse gastronomiche territoriali e dei valori della cultura popolare ad esse legate. La rivista Papillon, diretta da Massobrio si definisce "di sopravvivenza gastronomica" e i club organizzano momenti di aggregazione che si qualificano quali iniziative di "resistenza umana". Con queste premesse era naturale l'incontro tra Massobrio e i ribelli del Bitto, protagonisti della più emblematica esperienza di "resistenza casearia" che con la loro strenua opposizione al "Bitto omologato" (sostenuta in maniera determinante di Slow Food) hanno consentito la sopravvivenza di uno dei più preziosi tesori gastronomici dell'Italia, delle Alpi, dell'Europa.
Svoltosi nella massima cordialità l'incotro ha consentito di confermare una grande sintonia di vedute. Paolo Ciapparelli ha illustrato a Massobrio le tappe della vicenda Bitto ma la maggior parte della visita è stata dedicata al "percorso guidato" nel Santuario del Bitto e alla degustazione di tre Bitti storici: Trona soliva 2010 (casaro Antonella Manni), Cavizzola 2007 (casaro Sonia Marioli), Ancogno solivo 2005 (casaro Carlo Duca). Nella loro diversità i tre diversi "cru" esprimevano tutti l'identità del Bitto storico (sotto Paolo impegnato nel taglio).
Al Bitto storico sono stati accompagnati i salumi casalinghi (salame di capra, slinzega e bresaola di bovino) di Enrico Ruffoni, casaro del Centro del Bitto storico e onnipresente braccio destro di Ciapparelli insieme in tante occasioni (foto sotto). Peccato non sia potuto essere presente "il Gino", Gino Cattaneo patron de La Brace di Forcola e grande sostenitore del Bitto storico. Una giornata che segna l'allargamento dlela cerchia degli amici e sostenitori del Bitto storico che si conferma come elemento in grado di catalizzare l'attenzione di tante realtà anche diverse tra loro ma che hanno in comune la convinzione che la questione cibo (buono) è la più importante.

Si vende in Cina il formaggio più caro e invecchiato al mondo. È il Bitto storico


Vi ricordate della notizia della fornitura di Bitto storico del 1997 ad una ditta di Hong Kong (vedi Bitto storico News n. 2)? Ora ne ha parlato il sito "globale" della CNN con un articolo di Andrea Fenn del 31 gennaio. Si tratta solo di 20 kg (la prima fornitura) ma di una forma di quindici anni. Un record per i formaggi. La Cina è ansiosa di raggiungere una serie di primati e il campo gastronomico non resta al di fuori di questa corsa. Il Bitto storico superinvecchiato è venduto a 247€ il kg (2.500 dollari di Hong Kong). La partita di Bitto del 1997 è stata acquistata da una ditta di import, la Profood Limited di Hong Kong che lodistribuirà il prodotto porzionato a rivenditori in varie parti della Cina. Il contatto con la Valli del Bitto trading spa (il braccio commerciale deol Consorzio produttori Bitto storico) è stato tenuto da Ivona Grgan una giovane manager di 28 anni di origine serba. Ivona alla CNN ha dichiarato che "Sappiamo che i cinesi amano il buon cibo. Desiderano provare nuovi gusti e sono particolarmente interessati a prodotti rari e unici". Certo è che il formaggio è poco diffuso in Cina e che quello che va per la maggiore è quello spalmabile. Però i prodotti occidentali si stanno diffondendo presso strati sempre più ampli della popolazione e con l'apprezzamento per i grandi vini francesi e italiani non può che arrivare per un prevedibile effetto di trascinamento e di abbinamenti anche l'interesse per i formaggi. Intano la forma più vecchia di Bitto storico (1996) rimane custodita nel Santuario del Bitto a Gerola alta e diverse altre forme si stanno "preparando" per raggiungere il traguardo dei "oltre 10 anni di invecchiamento". Come al solito alla fine una riflessione è inevitabile: "Cosa farebbero altre regioni italiane se avessero il formaggio più caro e invecchiato al mondo"?

 


sabato 21 gennaio 2012

Una improbabile battaglia in nome della cultura e della storia (la tragicomica vicenda della "guerra del pizzocchero")

(21.01.12) Il pizzocchero "Valtellinese" IGP è prodotto principamente fuori della Valtellina, a Chiavenna (dove il pizzocchero è da sempre di farina di frumento) con farina macinata in Brianza di origine cinese


Gli stessi personaggi che nel caso del Bitto storico hanno messo sotto i piedi la storia in nome dei numeri e della "massa critica di mercato" ora, quando gli fa comofo, si appellano alla cultura e a documentazioni storiche secolari. La farsa serve a  rivendicare l'esclusiva provinciale per un un pizzocchero industriale IGP che di "valtellinese" ha quasi nulla. Mentre paradossalmente i rivali bergamaschi possono vantare di produrre pizzoccheri più "valtellinesi" 

La Valtellina degli industriali alimentari e dei politicanti ha da tempo capito che l'agricoltura non serve, che il business funziona benissimo - anzi meglio - se si usa l'ingrediente purificato dell'immagine, della rappresentazione della montanità, della valtellinesità. Per poi smerciare funghi, marmellate, pizzoccheri, bresaole, violini (e anche formaggi) prodotti con materia prima rigorosamente global. È stato il cav. Emilio Rigamonti ad aprire la strada sin dagli anni '70 con la bresaola di carne congelata di zebù brasiliano. Gli altri hanno seguito. Questi personaggi che hanno capito che le più grandi risorse "imprenditoriali" sono l'appoggio politico garantito da canali sicure, le mammelle di mamma Regione e la dabbenaggine del consumatore, hanno però trovato sulla loro strada un ostacolo che hanno a lungo sottovalutato ma che si sta rivelando formidabile: i ribelli del bitto storico. Ora sono incappati in un altro agguerrito avversario: un pastificio bergamasco che non ne vuole sapere di rinunciare a produrre "Pizzoccheri valtellinesi" (con qualche buona ragione dalla sua).
La Provincia di Sondrio e la Valtellina non sono la stessa cosa
Per poter portare in porto le sue operazioni la cupola dell'agroindustria sondriese - strettamente intrecciata a banche, politica e GDO -conduce da quindici anni la guerra del Bitto. E non è riuscita ad avere la meglio di un pugno di produttori tradizionali, nonostante tutta la potenza di fuoco del fronte istituzionale (da Bruxelles ai sindaci). Ora da qualche anno conduce la "guerra del pizzocchero". Questa volta di fronte non ci sono degli "straccioni" ma un industriale bergamasco che vanta di produrre "Pizzoccheri valtellinesi" daglia nni '60.
Come nel caso del Bitto molta della querelle si gioca sull'equivoca identità tra "Provincia di Sondrio" e "Valtellina". Quando fa comodo si fa finta, violentando la geografia e la storia che la Valchiavenna sia una valle laterale della Valtellina, alias Provincia di Sondrio. Ma la Valchiavenna, detta anche valle della Mera ha avuto destini diversi dalla Valtellina (Valle superiore dell'Adda). La Mera e l'Adda sono imissari del Lago di Como "di pari grado". A confermare la non identità di Valtellina e Provincia di Sondrio ci pensa ancora la geografia. Il Livignasco è la valle dello Spöl, un affluente dell'Inn, subaffluente del Danubio. Più che la geografia conta la storia. Prima del regno Lombardo Veneto (1816) la Provincia di Sondrio non è mai stata una entità unica. L'autonomia del Contado di Chiavenna e della Contea di Bormio non è mai stata messa in discussione nè sotto i Duchi di Milano nè sotto la dominazione delle Leghe Grigie (sotto uno stemma storico che rispecchia la realtà dei tre territori storic: in alto a sinistra Chiavenna, a destra Bormio, sotto la Valtellina).

La ridicola pretesa di far coincidere i confini culturali e delle tradizioni agroalimentari con i limiti provinciali
La provincia è realtà eminentemente burocratico-amministrativa. Ma i burocrati e certi politici vorrebbero, in una sorta di parodia in chiave gastronomica del giacobinismo, "naturalizzare" i confini provinciali e pretendere - per decreto - che siano anche un ambito culturale e di tradizioni omogene agroalimentari. Operazione chiaramente finalizzata a porre in capo alle istituzioni politiche e parapolitiche (come il Distretto agroalimentare) la governance della "tipicità del cibo" e a gestire flussi di spedsa pubblica e di potere (o meglio sottopotere). Così, quando è stato redatto il disciplinare del Bitto Dop si è affermato che esso era produzione "tradizionale" diffusa in tutta la provincia mentendo clamorosamente. Nella Valchiavenna la produzione del Bitto Dop era talmente "tipica" e "tradizionale" che è stata avviata DOPO l'istutuzione della Dop.

Dopo questa (indispensabile) premessa torniamo all'attualità

Il giorno 19, l'altro ieri, presso la Camera di Commercio di Sondrio si è svolta la seduta per la presentazione del Disciplinare dei Pizzoccheri della Valtellina IGP (già approvato dalla Regione Lombardia). C'erano Emanuele Bartolini, presidente della Camera, Patrizio Del Nero, direttore del Distretto agroalimentare, Severino de Stefani, assessore provinciale, tutti personaggi che chi segue la saga del bitto storico conosce bene (inquadrati tra i "cattivi"). A rompere le uova nel paniere i rappresentanti della ditta Pastificio Annoni di Fara Gera d'Adda in provincia di Bergamo che hanno ribadito i motivi di opposizione (i rappresentanti dell'Accademia del Pizzocchero di teglio, invece, hanno preferito marcare con la loro assenza il loro pensiero di "talebani del Pizzocchero"). La ditta Pastificio Annoni non è da oggi che contesta il monopolio sondriese della produzione del "Pizzocchero valtellinese".
A parte il punto nodale della localizzazione della produzione che i sondriesi vogliono far coincidere con "tutta la provincia di Sondrio e nient'altro che la provincia di Sondrio" qualcuno nel corso della seduta ha rilevato un errore macroscopico nella stesura del disciplinare laddove si precisa che la pasta è "derivata dall'impasto di grano saraceno e sfarinati" . Una dizione a dir poco imprecisa dal momento che si impasta il "grano", ovvero gli acheni (granelli) ma la farina (detta "fraina" o "farina nera"). E pensare che diverse istituzioni hanno "controllato".

Uno show esilarante

Nulla, però in confronto allo show un po' imbarazzante nella sua sfacciataggine dei rappresentanti della "cupola" agroalimentera industrial-istituzionale sondriese. È stato addirittura commovente Fabio Moro, presidente del Comitato per la valorizzazione dei Pizzoccheri della Valtellina (nonché maggior produttore di Pizzoccheri industriali dopo Annoni). L'industriale ha citato il presidio Slow Food del grano saraceno di Teglio (encomiabile iniziativa ma che interessa per ora pochissimi ettari di coltivazione) per il suo significato culturale.
"Ed è per la stessa ragione, innanzitutto culturale. che abbiamo costituito un Comitato provinciale" ha tenuto a precisare Moro. Certo che no, chi ne dubita? Giammai si pensi che ci sia sotto un interesse comemerciale.
Non contento il pastaio si è appellato anche al carattere identitario della "guerra del pizzocchero" che ha generato una vera e propria mobilitazione popolare.
Ha infatti sottolineato le 12 mila persone che hanno firmato la richiesta ora al vaglio del ministero e persino i "2567 amici di Facebook che da tutto il mondo ci sostengono". A suo fianco sedeva l'assessore Severino de Stefani, chiavennasco come Moro, che passerà alla storia per aver invocato l'invio degli ispettori antifrode del Ministero contro i produttori storici del bitto. In quel caso le petizioni pro bitto storico e contro i "gendarni del gusto" e i gruppi di sostenitori su facebook dei produttori storici non sono mai state citate. Spontaneamente, senza la grancassa di cui hanno goduto le iniziative "pro pizzocchero nostro" il Bitto storico ha raccolto 3600 firme in calce a una petizione rivolta alla Regione e ha 1600 sostenitori della "causa" su Facebook.

In Valchiavenna (sede Moro Pasta) si fanno i pizzoccheri eccome... ma con la farina bianca

Tutto da ridere verrebbe da dire. Sì perché Moro non solo produce pizzoccheri secchi industriali "moderni" da minor tempo di Annoni ma lo fa a Chiavenna dove il grano saraceno non è mai stato coltivato, tanto è vero che non esiste traccia nella gastronomia del territorio. Se andate Chiavenna nei locali più "andanti" se chiedete "pizzoccheri" di serviranno quelli "Veltellinesi" (ma sarebbe meglio dire industriali). Se andate in crotti e locali di cucina del territorio vi serviranno i "Pizzoccheri bianchi o chiavennaschi". Sono gnocchetti di farina bianca e si accomagnano alle sole patate. Una bella differenza! Il tutto si spiega facilmente. In epoca romana ma anche in epoche successive Chiavenna è stata interessata da notevoli flussi di commercio regionali e su lunga distanza grazie alla convenienza dell'itinerario transalpino che da Como attraverso la comoda via lacustre arrivava a Samolaco (porto di Chiavenna quando il Lago di Como si estendeva a Nord sino nell'attuale Piano di Chiavenna) per poi proseguire allo Spluga o al Septimer. Il frumento arrivava facilmente dal milanese. Ma procediamo. Non solo il maggior produttore di "Pizzoccheri Valtellinesi" (e presidente del Comitato) non è in Valtellina ma in un altra valle dove non esiste alcuna tradizione di utilizzo del grano saraceno e tanto meno dei "Pizzoccheri Valtellinesi" ma la farina che utilizza viene molita in Brianza (non tanto distante dal pastificio Annoni) ed è ottenuta da grano saraceno cinese. Annoni, invece, utilizza farina molita a Teglio, patria indiscussa del Pizzocchero Valtellinese e sede dellAccademia del Pizzocchero dal Molino Tudori, di grande tradizione nella lavorazione del "saraceno" che fa venire dalla Germania (è quindi di origine comunitaria quantomeno). Aggiungasi che la Bassa Valtellina (di Morbegno) che partecipava del vantaggi di rifornimenti commerciali via Lario ha adottato precocemente e con entusiasmo, come altre terre lombarde, il mais.

Pretese storiche fragili

È poi facilmente dimostrabile come il saraceno fosse ampiamente diffuso nell'Italia settentrionale (come in varie parti d'Europa) prima della rivoluzione alimentare colombiana. Tutti ricordano la "polentina bigia" di Tonio nei Promessi Sposi in zona confinante con la Bergamasca. Va poi rilevato che non è solo la media-alta valtellina l'unica regione dove la tradizione della coltivazione e dell'uso alimentare del saraceno si è conservata a lungo. Basti citare come zone corservative il Friuli, l'alto Varesotto, le alpi Marittime. Posso personalmente testimoniare che in Val Veddasca (alto Luoinese, Va) il saraceno sino al declino della "civiltà contadina" era la coltura più praticata. Con esso si preparava la polenta ma anche altre varie ricette gelosamente custodite dalla signora Saredi che sino a due anni fa gestiva orgogliosamente la storica Trattoria Saredi fondata dal bisnonno. Dal momento che il "Pizzocchero Valtellinese" è una preparazione moderna (nella sua forma attuale standardizzata proprio dal pastificio Annoni) credo che non sia difficile dimostrare che le preparazioni "storiche" a base di "fraina" dalle quali è disceso il Pizzocchero attuale potessero essere rinvenute anche in altre aree di forte penetrazione del "saraceno". Questo sulla base di una profondità storica che va al di là dell'orizzonte "storico" delle Dop e IGP che, è bene ricordarlo, richiedono "almeno venticinque anni" di "tradizione". Il pastificio Annoni può vantare multipli di venticinque anni di storia.
È veramente curioso che ci siano personaggi che, nel caso del Bitto, hanno attestato il falso per dimostrare che la produzione in Valchiavenna e in altre aree della Provincia (che aveva pochi anni di vita) poteva vantarne più di venticinque mentre oggi gli stesso contestano ad Annoni di non poter vantare secoli di storia.
Con questa gente che usa "tipicità", "storia", "cultura" come nel gioco delle tre carte si rischia di disperdere grandi valori. La Provincia di Sondrio di patrimoni agriculturali ne ha molti. Ma questa cupola industrial-istituzionale (in questo poco responsabilmente assecondata in modo miope per "automatismo burocratico-istutuzionale" dalla Regione) li stà distruggento. E la parabola della bresaola finita in mani brasiliane è lì a raccontare dove si va a finire.