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mercoledì 24 ottobre 2012

Bitto storico News N. 6

(24.10.12) Bitto storico bandiera dei presidi italiani ma i burocrati di Regione Lombardia non perdono occasione per continuare la loro guerra contro lo storico formaggio colpevole di rifiutare di piegarsi alle logiche industriali

Bitto storico News N. 6

Sommario
  • Editoriale
  • Bitto storico bandiera dei presidi italiani
  • Bitto storico: i burocrati/bravi manzoniani non rinunciano nelle loro angherie
  • Bitto storico protagonista al Salone del Gusto
  • Bitto storico protagonista di Formaggi in Piazza
  • Robi Ronza al Centro del Bitto storico
  • Mostra del Bitto: tentano di copiare il Bitto storico ma non ci riescono


Editoriale
Il rischio è di doversi ripetere. La burocrazia regionale (DG Agricoltura Regione Lombardia) continua la sua guerra al Bitto storico incurante del fatto che questo ostinato comportamento getta discredito sull'istituzione. È vero che i produttori e i sostenitori del Bitto storico sono come dei Davide contro Golia (prima di essere abbattuto dalla fionda) ma la loro fama è ormai internazionale. Confermata dal ruolo di rappresentanza che al Bitto storico viene sempre più riconosciuto da Slow Food quale Presidio-bandiera, incarnazione al meglio dei principi del cibo buono, pulito e giusto. Lo si è visto la sera del 23 ottobre alla trasmissione "Che tempo che fa". Il giorno dopo dalla DG agricoltura fanno sapere ai responsabili del Salone del Gusto che il Bitto storico sovversivo e ribelle non può stare davanti allo Stand istituzionale della Regione, deve traslocare dallo stand dei Presidi lombardi posto di fronte a quello istituzionale perché "non gradito". Di fronte alla minaccia di ritirare la persenza al Salone della rappresentanza istituzionale lombarda i produttori storici accettano di spostarsi di 50 m. Un vero e proprio sopruso, un ricatto bello e buono. Un fatto surreale perché il Bitto storico è si ribelle ma non è un criminale (è anche in regola con la Dop). Nello stesso giorno di questo penoso e avvilente avvenimento un autorevole personaggio della Regione Lombardia, Robi Ronza, che già in diverse occasioni si è espresso a favore del Bitto storico ha visitato il Centro del Bitto di Gerola Alta. E nei prossimi giuorni il "criminale" Bitto storico sarà protagonista a Sondrio di Formaggi in piazza, manifestazione promossa dal Comune di Sondrio. Chissà fino a quando la burocrazia - su pressione delle lobby agroindustriali valtellinesi - continuerà a combattere quella che lo stessoquotidiano di Sondrio (La Provincia) definiva oggi "agricoltura eroica" in un articolo in cui si parlava della presenza in RAI del Bitto storico insieme a Petrini e ai rappresentanti dei presidi internazionali. Fino a quando gli "eroi" devono essere trattati da malfattori e "gli altri" continuare a ricevere contibuti lussuosi per una Mostra del Bitto "ufficiale" che si è ridotta a copiare dal Bitto storico, senza riuscirci, formule accattivanti per catturare visibibilità ?

Bitto storico bandiera dei presidi italiani
A Che Tempo Che Fa in onda lunedì 22 Ottobre alle 21.05 c'era Carlin Petrini a presentare il Salone del Gusto con cinque delegazioni di presidi da tutto il mondo. Tra di esse vi era quella di Bait al Karama associazione di cuoche palestinesi che hanno simpatizzato con Paolo Ciapparelli presidente del Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico e la giovanissima casara Cristina Gusmeroli (18 anni). Paolo e Cristina purtroppo non hanno potuto parlare perché la trasmissione era in forte ritardo. Però li hanno visti in molti e molti hanno capito che Ciapparelli e i casari del Bitto storico rappresentano l'emblema della resistenza casearia, dell'agricoltura eroica che deve combattere contro i dragoni della globalizzazione, di un sistema agroalimentare che vuole allungare i suoi tentacoli anche sulle valli alpine e non lasciare fuori dal suo dominio neppure gli alpeggi. In questa ultima ridotta di resistenza del cibo buono, pulito e giusto il Consorzio del Bitto (quello istituzionale) ha voluto introdurre i mangimi e i fermenti caseari standardizzati. Ma la trincea degli alpeggi storici non ha ceduto. E questo da un fastidio enorme alle grandi latterie, agli industriali dell'alimentare valtellinese (e non solo). Avranno avuto un bello schiaffo oggi a leggere La Provincia di Sondrio che ha dedicato il 23 ottobre un articolo all'"Agricoltura eroica" rappresntata dal Bitto storico mostrando una foto di Ciapparelli con una cuoca palestinese.

Bitto storico: i burocrati, da bravi manzoniani, non rinunciano nelle loro angherie
Mentre a Torino fervevano i lavori per la preparazione degli stand del Salone del Gusto, Paolo Ciapparelli, presidente del Consorzio del Bitto storico, riceveva la mattina del 24 ottobre mentre si preparava a partire per Torino una telefonata incredibile. Un esponente di Slow Food gli comunicava che funzionari della DG agricoltura della Regione Lombardia minacciavano di ritirare la presenza al Salone se non fosse stato "spostato" il presidio del Bitto storico dallo stand dei Presidi lombardi di fronte a quello istituzionale. Qualcuno dalle parti del Consorzio del Bitto Dop e delle latterie aderenti deve aver fatto pressione sulla Regione. Ciapparelli chiama quelli del Consorzio "i brocchi", gente che ha bisogno dei contributi di mamma Regione, che non si da da fare più di tanto, che è capace di sbandierare la tradizione mentre fa di tutto per affossarla. Per loro il Bitto storico, che fa tutto da sé senza aiuti e che aumenta sempre più il proprio prestigio mondiale (per la qualità senza compromessi del formaggio ma anche per la propria moralità), che non ha ceduto un millimetro dai suoi principi è una spina nel fianco. Per senso di responsabilità Ciapparelli ha accettato di spostarsi di 50 m. Ma qualcuno per queste angherie dovrà rendere conto. Cosa dice la politica di una burocrazia che combatte da anni con accanimento un piccolo gruppo di produttori di montagna? Sarà un piccolo scandalo rispetto ad altri ma certo non migliora l'immagine dell'istituzione. Di certo non è un fatto isolato. Al convegno: La zootecnia da latte di montagna, prospettive e opportunità organizzato dalla Direzione Generale Agricoltura della Regione Lombardia durante la Mostra del Bitto ("di regime") il 12 ottobre a Morbegno c'era stato un poco simpatico precedente. L'assessore provinciale De Stefani, noto "amico" del Bitto storico (passerà alla storia come quello che voleva combattere il Bitto storico a colpi di ispezioni della "repressione frodi") aveva posto il veto alla partecipazione al convegno, come relatore, di Fausto Gusmeroli, noto ed apprezzato ricercatore all'Ist. Fojanini di Sondrio proprio nel campo delle produzioni foraggere e zootecniche. Al suo posto era stato chiamato Antonio Tirelli, presidente a amministratore delegato della catena Iperal di ipermercati. Una scelta che la dice lunga su una Regione che subisce veti inaccettabili nell'ambito di un evento da lei organizzato nell'ambito di una Mostra sponsorizzata con centinaia di migliaia di euro.

Bitto storico protagonista al Salone del Gusto
"Allontanato" dalla posizione prevista (dirimpetto allo stand istituzionale della Regione Lombardia) per non consentire il confronto diretto con il Bitto "ufficiale" (di regime verrebbe voglia di dire), il Bitto storico si prenderà al Salone del Gusto una serie di rivincite. Sarà il Bitto storico il protagonista, insieme ad altri 9 prodotti di eccellenza mondiale" di Alti connubi ovvero abbinamenti prestigiosi tra cibi e vini. Quello del Bitto storico sarà con i rossi di Valtellina (cantina Arpepe emblema della tradizione enologica valtellinese). Domenica 28 Ottobre h. 13:00 sala Incontri con l’Autore.  

Bitto storico protagonista a "Formaggi in piazza" (Sondrio 1-3 novembre)
Il Bitto storico già lo scorso anno è stato protagonista dell'evento "Formaggi in piazza" che con una spesa di poche migliaia di euro da parte del Comune di Sondrio aveva attirato più visitatori della Mostra del Bitto (quella ufficiale, "di regime") sponsorizzata con centinaia di migliaia di euro dalla Regione. Quest'anno si conferma la presenza dei "ribelli del Bitto" alla manifestazione e ci sarà (3 mattina presso il Centro le Volte ex Enologica) un Convegno sull'agricoltura bio e le sue prospettive in Valtellina. Il Bitto storico che è "bio di fatto" non può che essere partecipe e protagonista anche di questo nascente movimento per l'agricoltura bio.


Robi Ronza al Centro del Bitto storico
Tra i vari eventi della vigila del Salone del Gusto si registra anche la visita (24 ottobre) di Robi Ronza (foto sopra con Paolo Ciapparelli), direttore della rivista Confronti della Regione Lombardia. Proprio durante la visita Ciapparelli ha reso noto il "fattaccio" delle pressioni della DG Agricoltura per allontanare lo stand del Bitto storico da quello istituzionale (vedi sopra). Ronza in varie occasioni ha manifestato la sua simpatia per la causa del Bitto storico ospitando a più riprese interventi sul tema. Ha anche osservato che se,  nella struttura burocratica c'è chi osteggia il Bitto storico, c'è comunque anche un forte interesse per il Bitto storico come conferma la ricerca, recentemente eseguita da Eupolis (ente di ricerca della regione) su commissione del Consiglio regionale, su sei realtà di "luoghi identitari del cibo". Compreso il Bitto storico. Con Ronza, esperto di problemi internazionali, si è parlato anche delle prospettive di commercializzazione del Bitto storico nell'estremo oriente.

Mostra del Bitto: tentano di copiare il Bitto storico ma non ci riescono
Alla Mostra del Bitto ufficiale i responsabili del Consorzio sono ancora caduti nella smimmiottatura del Bitto storico. Credono che basti copiare. Ma il Bitto storico ha un'anima, non è un prodotto fatto con mangimi e fermenti standardizzati. È un'altra cosa. Così hanno cercato di replicare i successi delle Aste del Biitto storico a Cheese (lo scorso anno a Bra). Nonostante l'ingaggio di un grande amico del Bitto storico come Bigazzi (Beppe perché lo hai fatto?) l'asta ha avuto miseri risultati. Invidiosi della visibilità dei giovani casari del Bitto storico (Cristina Gusmeroli, 18 anni e ha cominciato a 15; Dino Papini 17 ma ha cominciato a 15) quelli del Consorzio hanno sbandierato la persenza nelle loro file di un casaro di 15 anni. A loro manca la fantasia.

lunedì 24 settembre 2012

Bitto e arte: video dell'evento del 23 settembre

Gli artisti con il Bitto storico

 Il 23 settembre presso il centro del Bitto storico a Gerola alta un gruppo di artisti dell'Associazione milanese "Arte da mangiare" hanno dato vita ad una originale performance artistica. Gli artisti, utilizzando tecniche diverse, si sono cimentati nella nuova "HeritageBittoArt" ovvero l'arte che usa come supporto materiale alla creatività artistica forme di Bitto storico di diversi anni di invecchiamento. Consorzio salvaguardia Bitto storico e Arte da mangiare avevano già collaudato a primavera a Milano presso i Chiostri dell'Umanitaria dove ha sede "Arte da mangiare" la possibilità di "operare" in modo artistico sulle forme con incisioni, pirografia, pittura con colori alimentari. Lo spunto per sviluppare questa forma d'arte è stato offerto dalla fantasia e dall'estro calligrafico e decorativo con i quali vengono usualmente personalizzate le forme di Bitto storico con dedica, ovvero adottate da singoli, associazioni, ristoratori. Il Bitto storico, prodotto al vertice della qualità casearia, lontano da ogni forma di omologazione e serializzazione ha da sempre rifiutato etichette stampate. Insieme agli artisti si intende proseguire in queste esperienze che rappresentano anche una sperimentazione volta ad individuare nuove forme per "vestire" e "comunicare" un prodotto unico, frutto anch'esso di un'arte: l'arte casearia che i casari del Bitto storico continuano a coltivare orgogliosamente. 

Bitto storico news (5)

(23.09.12) L'autunno per il Bitto storico parte con tante iniziative e notizie

Bitto storico news (5)

Sommario
  • Editoriale
  • In preparzione un libro fotografico sui casari del Bitto storico di due artiste giapponesi
  • Il Caseificio di Poschiavo si schiera con i produttori del Bitto storico
  • Il Bitto storico guarda sempre di più a Bergamo
  • Un Decreto Ministeriale, sulla spinta della vicenda Bitto, cerca di correggere la "prigione" delle Dop
  • Al Santuario del Bitto storico l'associazione "Arte da mangiare" da vita ad una nuova espressione artistica: la HertitageBittoCheeseArt
  • Brevi


Editoriale

Il Bitto storico resta il "nemico pubblico n.1" della burocrazia agroalimentare di ogni ordine e grado, combattuto sempre con accanimento, dall'establishment politico-burocratico-economico della Valtellina. Però, proprio in forza della sua battaglia che non è solo in nome del gusto e della tradizione ma anche di una diversa moralità nell'amministrazione, nella politica, nella filiera agroalimentare, che i ribelli del Bitto, catalizzano grandi simpatie presso ambienti non condizionati dalle cerchie di potere che in Valtellina (con agganci in Regione Lombardia) cercano inutilmente da anni di piegare. Il Bitto "di stato" ha dalla sua i finanziamenti pubblici (sempre generosi), finanziamenti , come quelli per la Mostra del Bitto di Morbegno che, di questi tempi di crisi, lasciano a dir poco perplessi. Ma con il denaro si comprano solo i mercenari.
Il Bitto storico ribelle mobilità la passione, la creatività. Dopo il libro "I ribelli del Bitto" edito da Slow Food è in cantiere un nuovo libro (fotografico questa volta) che esalta il Bitto storico o, meglio, i casari del Bitto storico, autrici due artiste giapponesi molto apprezate non solo in patria ma anche a livello internazionale. E per il Bitto storico si sono mobilittati anche gli artisti dell'associazione milanese "Arte da mangiare" che il 22 settembre presso il centro del Bitto storico di Gerola alta hanno dato vita ad una inedita performance artistica sul tema del Bitto storico.
Intanto il quotidiano di Sondrio "La Provincia", in un servizio sul Caseificio di Poschiavo, - valle svizzera confinante - ha dovuto registrare una dichiarazione molto significativa da parte del presidente del caseificio stesso a favore del Bitto storico e del "modello di qualità e intransigenza" da esso incarnato. Ma non è solo in Svizzera - dove ovviamente ci sono meno condizionamenti politici - che troviamo estimatori e alleati del Bitto storico. Basta valicare il Passo di San Marco e scendere nella bergamasca Val Brembana per trovare un clima di grande amicizia, rispetto, simpatia, ammirazione per il Bitto storico che da tempo ha ribadito la sua identità Orobica (a cavallo di tre provincie). La Valtellina (almeno quella ufficiale) ha sfruttato l'immagine del Bitto ma non essendo un patrimonio profondamente sentito, compreso e rispettato (tranne nelle valli orobiche a Nord di Morbegno) lo ha fatto nel modo peggiore, trattando alla stregua di eretici e sovversivi proprio i custodi della tradizione autentica. Di fronte a ciò è ovvio che il Bitto storico guardi più a Bergamo. Lo ha fatto alla Fiera di San Matteo di Branzi il wueek-end trascorso e lo farà anche partecipando agli eventi enogastronomici bergamaschi. dei prossimi mesi
Nel mentre il Ministero dell'agricoltura ha predisposto una bozza (che dovrebbe essere definitiva) di un Decreto che interpreta in modo meno poliziesco di quanto è stato fatto sino ad oggi le norme sull'uso di "menzioni aggiuntive" nelle etichette dei prodotti a denominazione di origine controllata (e Igp). Un risultato che è merito anche del Bitto storico e del Presidio Slow Food del Bitto storico. Che sarà protagonista come non mai all'imminente Salone del Gusto di Torino.


In preparzione un libro fotografico sui casari del Bitto storico di due artiste giapponesi

Di questa interessante nuova iniziativa che conferma l'interesse del mondo della cultura e dell'arte per il Bitto storico abbiamo giù diffusamente parlato con un articolo ferragostano (vai a vedere). Le autrici sono due artiste giapponesi  Mai Hanano (Maika) e Keiko Kato che attualmente sono ritornate in Georgia. Qui hanno già realizzato  un volume pubblicato in Giappone dedicato alla viticoltura e ai vignaioli artigianali. Anche nel caso del Bitto storico l'approccio è alle persone, agli artigiani. Ci auguriamo che il libro possa essere presto pubblicato in Italia preferibilmente in una edizione con testi anche in altre lingue (francese, inglese, giapponese). In anteprima pubblichiamo la foto del giovane Stefano Papini, una 'promessa' del Bitto storico che esercita la sua arte all'Alpe Orta soliva (sulla strada del passo di San Marco in comune di Albaredo). Cercasi sponsor.


Il Caseificio di Poschiavo si schiera con i produttori del Bitto storico

Alla casta valtellinese non deve essere andato giù, ai primi di settembre, l'articolo contenuto nello specialw de La Provincia sul caseificio di Valposchiavo nella vicina valle svizzera. Nel paginone della rubrica economica del quotidiano non si sono sprecati le considerazione di ammirazione per un modello vincente basato sulla valorizzazione del latte di montagna in chiave bio. Il titolo del nostro articolo su Ruralpini, dedicato a suo tempo a questo caseificio la dice lunga: Il successo del Caseificio Poschiavo (Grigioni) dipende da un modello che premia la qualità, l'estensività, il buon fieno. Il caseificio di Poschiavo, come il Bitto storico, ha imboccato una strada di rifiuto di compromessi: norme rigorose (entro uno schema bio ma anche di assoluta prevalenza del foraggio aziendale) per garantire la qualità ma in cambio un prezzo elevato ai produttori. All'interno dello speciale de La Provincia un pezzo intitolato "Caseificio Poschiavo schierato con il Bitto storico" deve aver fatto sobbalzare qualcuno sulla sedia dalle parti di Sondrio, di Morbegno e di Delebio. Le parole del presidente della coop, Cornelio Beti (nella foto sotto al centro) non lasciavano adito a molti equivoci: Beti ha dichiarato nell'intervista che Bitto storico e poschiavini hanno molto in comune. Infatti, nonostante il caseificio di Poaschiavo sia grande e moderno, incarna la stessa filosofia che vede la qualità come un fatto legato alle persone, al loro impegno, alla serietà, all'onestà, alla creatività. Il casaro del caseificio di Poschiavo è un valtellinese, Tony Giacomelli (nella foto a sinistra). Tony è un personaggio apprezzato e molto stimato in Val Poschiavo perché gli si riconosce un 'tocco artigianale' che ha decretato il successo dei prodotti poschiavini sui mercati della Svizzera interna (Zurigo e non solo). Tanto che uno dei prodotti è stato battezzato Super Tony. L'alleanza tra Caseificio Poschiavo che va oltre i confini, fatta di amicizia ma anche scambio di buone pratiche e idee è un bell'esempio di iniziative che partono dal basso, dai produttori.


Il Bitto storico guarda sempre di più a Bergamo

Il Bitto storico non ha ancici solo in Svizzera (vedi sopra) ma anche appena al di là del Passo di San Marco. Non solo in Valbrembana ma anche a Bergamo città e in generale in provincia. Riscoperta la sua antica anima Orobica il Bitto storico, sempre osteggiato dalla casta valtellinese, ha deciso da tempo di gravitare sempre più su Bergamo. Branzi con la storica Fiera di San Matteo (che si è svolta il 22-23 settembre) è l'occasione per ricordare che la storia segue un pendolo. Se, sino agli inizi del secolo scorso, il Bitto/Branzi era commercializzato prevalentemente a Branzi, ciò rispecchiava  antichissimi rapporti tra i due versanti delle Orobie legati dalla stessa forte cultura pastorale. Oggi il legame si è riannodato. Morbegno e la Valtellina hanno giocato male la carta del Bitto che erano riuscite ad avere in mano. Hanno voluto strafare. E ora pagano le conseguenze. L'alleanza tra i formaggi orobici è ormai lanciata. E trova anche l'appoggio delle istituzioni bergamasche, anche a costo di dare dispiaceri a qualcuno a Sondrio (e a Milano). Archiviata con un successo di pubblico la Fiera di San Matteo con una presenza sempre più visibile del Bitto storico (foto sotto) i prossimo wee-end, sempre a Branzi, si terrà la prima sagra della taragna bergamasca per consacrare questo piatto orobico che valorizza sia le varietà autoctone di mais (Gandino, Rovetta) che i formaggi "principi delle Orobie". Sempre a Bergamo GourmetArt, ai primi di dicembre, vedrà protagonista il Bitto Storico mentre si stanno stringendo dei contatti anche con la CCIAA della città orobica.


Un Decreto Ministeriale, sulla spinta della vicenda Bitto, cerca di correggere la "prigione" delle Dop

Il titolo della bozza (ormai definitiva) di Decreto del Ministro dell'Agricoltura non fa trapelare i problemi politici e industriali ai quali cerca di dare una risposta: "Disposizioni generali in materia di informazioni aggiuntive nelle etichette dei prodotti a indicazione geografica". Parrebbe qualcosa di asettico e di molto tecnico e invece... Invece dietro ci sono i conflitti che hanno visto protagonista il Bitto ma anche altri prodotti (formaggi, oli), sia per 'faide' interne al mondo industriale che per contrasti tra piccoli produttori e industria alimentare. Fu per una "informazione aggiuntiva", in forma di un piccolo marchio a fuoco ("Valli del Bitto"), che scoppiò- nel 2006 - la guerra del Bitto (o che, quantomenio essa entrò in una fase più virulenta. Allora il Ministero diffidò l'associazione produttori Valli del Bitto (ora Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico) dall'usare un marchio che era stato il frutto di una sofferta intesa tra le parti. Ora è tardi per poter semplicemente tornare indietro. Oggi il Ministero ha 'reinterpretato' le norme europee in senso più 'liberale': sono ammessi i marchi dei Presidi di Slow Food (e altri collettivi e privati) accanto alla indicazione geografica tutelata da Dop o Igp e altre menzioni, purché non "laudative". Il Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico, che non si ritiene più adeguatamente tutelato dalla sola indicazione aggiuntiva "Valli del Bitto," è pronto a portare il caso davanti alla magistratura qualora gli venisse contestata come "laudativa" la menzione "storico", conquistata sul campo in decenni di duro contrasto per difendere l'identità storica del prodotto sia sotto il profilo del metodo che dell'area di produzione.

Al Santuario del Bitto storico l'associazione "Arte da mangiare" da vita ad una nuova espressione artistica: la HertitageBittoCheeseArt



Il 23 settembre presso il centro del Bitto storico a Gerola alta un gruppo di artisti dell'Associazione milanese "Arte da mangiare" hanno  dato vita ad una originale performance artistica.
Gli artisti, utilizzando tecniche diverse, si sono cimentati nella nuova "HeritageBittoArt" ovvero l'arte che usa come supporto materiale alla creatività artistica forme di Bitto storico di diversi anni di invecchiamento.
Consorzio salvaguardia Bitto storico e Arte da mangiare avevano già collaudato a primavera a Milano presso i Chiostri dell'Umanitaria dove ha sede "Arte da mangiare" la possibilità di "operare" in modo artistico sulle forme con incisioni, pirografia, pittura con colori alimentari. Lo spunto per sviluppare questa forma d'arte è stato offerto dalla fantasia e dall'estro calligrafico e decorativo con i quali vengono usualmente personalizzate le forme di Bitto storico con dedica, ovvero adottate da singoli, associazioni, ristoratori.
Il Bitto storico, prodotto al vertice della qualità casearia, lontano da ogni forma di omologazione e serializzazione ha da sempre rifiutato etichette stampate. Insieme agli artisti si intende proseguire in queste esperienze che rappresentano anche una sperimentazione volta ad individuare nuove forme per "vestire" e "comunicare" un prodotto unico, frutto anch'esso di un'arte: l'arte casearia che i casari del Bitto storico continuano a coltivare orgogliosamente.


A luglio, in seguito ad uno stage del corso di laurea di Scienze Gastronomiche (Università di Pollenzo di Slow Food) il centro del Bitto storico è stato ufficialmente riconosciuto quale Sede didattica.
Al Salone del Gusto a Torino, il Bitto storico sarà protagonista di uno dei dieci eventi di "Alti connubi" sul tema di abbinamenti tra assolute eccellenze mondiali insieme ai migliori rossi di Valtellina. Paolo Ciapparelli, responsabile del Consorzio di salvaguardia bitto storico, e Giuseppe Giovannoni, del gruppo dei produttori storici, ve lo faranno scoprire nell’assaggio di un Bitto dell’alpe Pescegallo Foppe (estate 2010) e di un Bitto dell’alpe Bomino Soliva (estate 2002). In abbinamento, il Rosso di Valtellina 2010 e, in anteprima, il Valtellina Sup. Sassella Ris. Rocce Rosse dell’eccezionale millesimo 2002 di Ar.Pe.Pe, una delle cantine della Valtellina che ha meglio saputo preservare l'identità del "Nebbiolo di montagna". Domenica 28 Ottobre h. 13:00 sala Incontri con l’Autore

lunedì 27 agosto 2012

Comunicare gli alpeggi

(27.08.12) Appunti di ferragosto su alpeggi e loro problemi in margine alle riprese per la realizzazione di un libro fotografico sul casari del Bitto storico delle giapponesi Mai Hanano (Maika) e Keiko Kato

Comunicare gli alpeggi

(i loro formaggi, donne, uomini, ragazzi)

di Michele Corti

Il Bitto storico, "nemico pubblico n.1" della burocrazia di ogni ordine e grado continua a fare da apripista. Senza che nessuno ringrazi, anzi. Ma intanto i casari del Bitto storico diventano protagonisti di forme di comunicazione basate sull'espressione artistica, che sinora sono state appannaggio del mondo del vino. Perché il buono è anche bello e l'etica è estetica.

Anche quest'anno Regione Lombardia getterà al vento in tempi di crisi centinaia di migliaia di euro per sostenere la bolsa Mostra del Bitto (quello "ufficiale"). Vanno alla voce "promozione". Quella degli stand "istituzionali" vuoti, delle pubblicazioni che finiscono a marcire nelle cantine degli enti e che servono solo a foraggiare gli amici degli amici. Il Bitto storico (quello ribelle) da un fastidio immenso alla cattiva politica e alla cattiva burocrazia. Si fa promozione con la sua immagine pulita, con la sua capacità di resistere senza finanziamenti pubblici.  E ha tanti amici. Una sfida.

Maika (fotografa), Keiko illumina. Siamo alla casera dell'Alpe Orta Soliva e il casaro è Dino Papini. L'ho preso di spalle ma - in compenso - è stato ben ritratto da Maika

Chi appoggia il Bitto storico lo fa perché incarna nel modo più coerente possibile (la coerenza assoluta non è di questo mondo) i valori del cibo buono, pulito e giusto. Sono parecchi ad occuparsi di questioni agroalimentari ed enogastronomiche da un po' di tempo in qua. Per parecchi è un modo di cavalcare una tendenza per restare a galla, per trarne vantaggi. Gino Cattaneo, patron del Ristorante Hotel La Brace e in prima fila tra i "paladini" del Bitto storico è solito affermare che, dopotutto, c'è un grande ritorno per il tempo, e le risorse economiche impegnate nel sostegno alla causa dei ribelli del Bitto storico: la gioia di poter continuare a mangiare il vero Bitto. Quelli che appoggiano la causa del Bitto ufficiale e dei "cibi di plastica" (la bresaola di zebù congelato, i pizzoccheri di grano duro ecc.) lo fanno per mangiarci su, noi ci rimettiamo di tasca nostra ma lo facciamo per mangiarci il vero Bitto. Non è poco.


Anche Mai Hanano (Maika) e Keiko Kato, giapponesi con domicilio nei pressi di Nizza sono state fascinate dal Bitto storico. È stato Giacomo Mojoli (foto nella colonna a sinistra dietro il calice di vino) a parlare a Keiko e Maika del Bitto storico e di Paolo Ciapparelli ("il guerriero del Bitto"). Mojoli si occupa di comunicazione con riferimento particolare al cibo e al vino, è stato uno dei fondatori di Slow Food ed è presidente onorario di Slow Food Giappone. È corrispondente, con una sua rubrica “vino e sostenibilità”, di un prestigioso periodico distribuito sui voli giapponesi ANA. Al tempo stesso è stato colui che ha per primo assicurato il sostegno di Slow Food alla causa del Bitto ribelle (poi saldamente garantito dal forte impegno personale di Piero Sardo). Mojoli resta un grande amico e sostenitore del Bitto storico (chiamato anche in cattedra al Politecnico di Milano nell'ambito di un suo corso, vedi articolo) e rappresenta un ponte tra il Bitto storico e il Giappone. Conosciuto Ciapparelli a Cheese e in altre occasioni tramite Mojoli le due giapponesi nel 2009 hanno realizzato un primo servizio fotografico accompagnate da Paolo sugli alpeggi Trona soliva (dove a 80 anni continua a mungere le sue vacche il mitico Mosè) e Pescegallo Foppe. Quest'anno hanno deciso di recarsi in tutti gli alpeggi (12 attualmente) e realizzare un'opera sul tema dei "casari del Bitto storico". Informato da Ciapparelli della cosa mi sono dichiarato disponibile ad accompagnarle.

Comunicare il prodotto artigianale: la persona al centro

Le foto sul loro sito sono di vignaioli, compresi alcuni molto noti. Ci sono anche la vigna, la cantina, il vino ma rappresentano il contesto. Il soggetto è la persona. Per il semplice fatto - mi spiegavano poi quando ci siamo incontrati - che a differenza del vino di una grande cantina quello dei vignerons, degli artigiani del vino esprime fino in fondo la personalità, l'impronta di chi lo produce. Da un ritratto spontaneo e "naturale" di un vignaiolo si possono intuire molte cose sul suo vino. Una filosofia di comunicazione che segna la differenza tra la promozione del prodotto industriale (che associa al prodotto suggestioni più o meno artificiose) e di quello artigianale. Ad un vino naturale (so che sulla definizione ci sono disquisizioni a non finire ma lasciatemela usare) deve corrispondere una fotografia "naturale". E così mi pare, non sono un critico fotografico, quella di Maika.
Confortato da queste considerazioni ho affrontato tre giorni non proprio di relax per consentire a Keiko e Maika di realizzare un adeguato numero di scatti accompagnandole a piedi e in fuoristrada (Jimny e non nuovo). Doveva esserci una appendice di altri due giorni necessari a raggiungere alpeggi di non facile accessibilità (Cavizzola e Varrone) ma, grazie alla generosità di Gino è stato noleggiato un elicottero per concludere il servizio in un giorno. Vale la pena sottolineare - a proposito di auto-sostegno - che durante la loro permanenza in Valtellina Keiko e Maika sono state ospitate da Gino presso il suo locale (Hotel-Ristorante La Brace).

Da sn: I ruderi della casa di vacanze degli oratori milanesi "Pio XI" (bruciata dai tedeschi nel 1944 dopo che era divenuta rifugio di prigionieri, per lo più russi, e sbandati), il Pizzo dei Tre Signori, il Pizzo Varrone.

In realtà la buona volontà per recarsi in ogni alpeggio, anche a piedi, Keiko e Maika ce l'hanno messa. Il primo giorno, dopo avere incontrato Antonella Manni, casara dell'Alpe Trona Soliva e figlia di Mosè abbiamo pranzato al Rifugio omonimo dove si è confortati dall'atmosfera cordiale, calorosa e famigliare di Elisa Montani e di tutta la sua famiglia. Abbiamo mangiato tutti alla stessa tavolata: noi, la famiglia di Elisa e gli altri ospiti presenti (risotto con Bitto storico di Antonella e mirtilli dell'alpe Trona vaga cucinato dal papà di Elisa). Qui il clima è quello che si vorrebbe trovare in montagna. Con gli alpeggiatori ci sono ottimi rapporti e si utilizzano i prodotti dell'alpeggio. Il Rifugio sta anche diventando un punto di riferimento per i pastori e un tassello della filiera del Bitto storico tanto che Elisa ci racconta soddisfatta che tra due giorni ci sarà un po' di "bisboccia" con i pastori di Pescegallo foppe e Valvedrano. Peccato che non si uniscono anche quelli delle Trone che sono più vicini. Ma è già qualcosa, una bella iniziativa di socializzazione.
Lasciato il Rifugio siamo saliti alla Bocchetta di Trona (foto sopra)  a 2.000 m che segna il confine tra la Val Gerola e la Val Varrone (provincia di Lecco). Oggi qui transita un sentiero come tanti altri ma per millenni questa è stata una via di comunicazione importante (la via del Bitto) tra la Valtellina e Milano. Nell'alta val Varrone si trovano i pascoli e la casera dell'Alpe Varrone nostra meta. Siamo scesi per un certo tratto lungo il sentiero per vedere dov'era la malga (le vacche da latte). Purtroppo invece di essere alla "cima" ovvero in alto verso la Bocchetta era dalla parte opposta dell'alpeggio, molto lontana. Avremmo dovuto scendere, salire, ridiscendere e risalire. Ritornando indietro verso la Val Gerola ci siamo fermati alla baita (foto sotto) che rappresenta la "cima" dell'Alpe Trona Vaga. Qui abbiamo incontrato il casaro Carlo Maffezzini e il suo aiutante. Di Maffezzini ho già diverse foto e ho lasciato lavorare tranquille Keiko e Maika.

La baita di cima di Trona Vaga

Il giorno dopo abbiamo risalito l'altro ramo della valle del Bitto, quella di Albaredo verso il Passo S. Marco. L'Alpe Orta soliva è sulla strada e ci siamo fermati subito. Dino Papini, giovane casaro, stava completando le operazioni di caseificazione (foto all'inizio). Ne ho approfittato per ritrarre la casera che, come tutte, dopo la metà di agosto, racchiudono la loro preziosa produzione di Bitto storico.

La cantina dell'Alpe Trona Soliva

Al passo abbiamo incontrato la malga di Orta vaga, altra delle nostre mete. Sapevamo, però, che la casara (la giovanissima Cristina Gusmeroli) era già in basso alla casera e non l'abbiamo neppure cercata. Transitando lungo la strada ho fatto però vedere a Keiko e Maiko la deviazione che si stacca dalla strada transorobica per raggiungere la casera di Orta vaga dove avrebbero potuto recarsi anche da sole nei giorni successivi con la loro berlina. E così è stato. La baita della cima di Orta Vaga (foto sotto) è quasi in coincidenza del passo. Un punto strategico per la vendita diretta che la famiglia Gusmeroli ha opportunamente attrezzato con un semplice e spartano punto vendita.


La malga pascolava proprio in fregio alla strada e l'allegro concerto delle ciòche e trügn (campannacci) attirava gli automobilisti che si fermavano volentieri a fotografare la scena. Questa situazione, però dura pochi giorni. Passato il ferragosto si riprende la discesa (che nel caso dell'Alpe Orta vaga è molto lunga perché sui pascoli di Garzino si resta sino ad ottobre). L'interesse dei turisti per gli alpeggi c'è. Peccato che al Passo di S.Marco nessuno dei vari enti si preoccupi di segnalare che il Passo stesso è al centro di uno straordinario comprensorio di alpeggi. Al Parco (qui non si sa a quale dei due rivolgersi perché siamo sul confine tra quello valtellinese e quello bergamasco) interessa più poter dire che c'è l'orso. Un modo per poter fare dell'ambientalismo a buon mercato per distogliere l'attenzione (e qui vale per la parte bergamasca) dalle autorizzazioni delle gare di motocross sui sentieri del Parco (leggi articolo) e, peggio ancora, dalla realizzazione di nuovi sciagurati comprensori sciistici.


Nella malga di Orta vaga si distingueva la simpatica mezza Highlander della foto sotto.


Superato il Passo, dopo una lunga ridiscesa a valle e conseguente risalita a Cusio e Monte Avaro siamo arrivati all'Alpe Foppa. All'Albero-Rifugio ci avevano detto che "sono già scesi". In realtà il casaro Fulvio Colli era alla "cima", a un'ora e mezza di salita a piedi.

Così ci siamo accontentati di ritrarre la mamma del casaro, signora Acquistapace, figlia di caricatori e sorella del Faustino Acquistapace caricatore di Trona vaga.
Non è facile sapere quando un casaro si sposta da una baita all'altra. Va tenuto conto che negli alpeggi del Bitto storico si usano ancora diversi calecc' (capanne casearie in muro a secco coperte da una semplice tenda impermeabile) e che quindi localizzare il sito dove di lavora il latte in un alpeggio di centinaia di ettari non è facile. Sarebbe facile se prendessero i cellulari. Ma a fronte di tariffe elevate le coperture e la qualità del servizio in Italia lasciano molto a desiderare. In montagna non si può far troppo conto sui radiotelefoni. Gli alpeggiatori dicono che hanno le loro "cabine", posti particolari dove c'è un po' di segnale. Spesso però ora c'è e ora sparisce. 


Tornati al passo di S. Marco a mani quasi vuote (e oltre 70 km di strade di montagna macinate) andiamo all'Alpe Ancogno soliva. La baita in funzione è sulla deviazione della strada che porta al vecchio rifugio (Cà S. Marco). Qui il casaro è Carlo Duca un giovane che è già una leggenda perché ha firmato alcune forme ormai storiche (chi è interessato può leggersi i vari articoli che parlano del Bitto storico in questo sito). Lì stanno quasi per mungere anche se sono le tre del pomeriggio ma ritenendo che "tanto facciamo in tempo a venire dopo" decido di "fare" un'altra alpe: Parissolo. Il piede, a 1.600 m è raggiungibile con una strada di servizio del bacino idroelettrico di Ponteranica. Ora, però, sono anche loro "alla cima" a 1.800 m in una valletta. La "cima" consiste in un baitello che è poco più di un calecc'. Il giovane casaro (Lino Fognini) mi dice apertamente che sono quasi meglio i calecc' perché con il bel tempo si può sollevare la tenda e il fumo si allontana più facilmente. Invece la lamiera non consente al fumo di sfiatare se non per dei pertugi.


Arriviamo che hanno da poco iniziato a mungere le vacche. Qui i tempi sono diversi da Ancogno evidentemente e prima delle 18.30 la mungitura non è finita. Girare per gli alpeggi "nomadi" del Bitto storico è entusiasmante ma qualche problema c'è. A parte sapere dove stanno si deve calcolare a che ora si finisce di mungere e di lavorate. A inizio stagione il latte è molto ma le ore di luce sono di più e la malga è in basso. Dopo ferragosto il latte cala molto e finiscono prima di mungere. Ma viene buio preso e sono ancora in alto. Alla fine riuscire a girare più alpeggi e ritrarre i casari all'opera è impresa non facile. Va detto, però, che è preferibile fare gli "alpeggionauti" in agosto rispetto alle prime settimane di alpeggio. All'inizio ci sono più vacche da mungere, c'è tanto latte da lavorare. Il lavoro è massacrante. Per parlare, intervistare, chiacchierare, scambiare idee, fotografare, filmare consiglio caldamente di venire ad agosto quando tutti si stanno rilassando. Non c'è più nemmeno l'ansia della riuscita della stagione. A quest'epoca (come visto, le cantine sono piene).


Pur essendo a Ferragosto a Parissola la mattina fanno ancora due forme (foto sopra). Nel baitello lo spazio è angusto. "Una volta ci stavano i mansulèr" mi dice lo zio di Lino mentre prepara la minestra sbucciando patate e tagliano cetriolo. I mansulèr erano gli addetti al bestiame giovane che occupava le zone più alte del pascolo (sotto le pecore). La custodia non era continuativa e quindi il ricovero era più per l'emergenza. Guardando la carta, però, ho poi visto che la "Baita Parissola" è un rudere a quota ancora più alta. E se era chiamato così è perché ci lavoravano il latte. Dentro il baitello non solo c'è poco spazio ma anche una quantità di fumo che fa l'effetto dei lacrimogeni (conosciuto piuttosto bene).


Keiko e Maika stoicamente scattano. Io me ne sto fuori a chiacchierare con lo zio che mi prepara anche un caffè nel pignatìn. Un pignatìn totalmente annerito dal fumo che si può vedere nella foto sotto. Contrariamente a quanto si può supporre il caffè "alla turca" è buonissimo (non me ne meraviglio perché uso la napoletana, dopo aver rottamato tre macchinette espresso).


Per far vedere il pignatìn ho invertito la cronologia delle foto. Sotto il più giovane dei pastori (i pastorelli si chiamavano cascìn ma  lui è grande in confronto ai bambini di 10 anni che svolgevano un tempo le mansioni ausiliari sull'alpeggio)accompagna le capre verso il pascolo serale (fortuna che l'orso M13 ora è in Südtitol). Poi ha un'altra incombenza: il trasporto a valle della maschèrpa (la ricotta grassa con latte intero di capra). I garocc' di legno oltre che a funzionare molto meglio dei cestelli di plastica per lo spurgo si trasportano anche bene. Nella foto sopra il ragazzo si carica la cadùla in spalla (un telaio in legno) per portare a valle la golosa maschèrpa


Caricatasi la cadùla in spalla, con i garocc' pieni di maschèrpa in spalla, il ragazzo inforca la moto da trial. La usa anche per portare i bidoni di latte alla baitella (la distanza è breve ma svolgendo da solo questo compito a piedi sarebbe impossibile). In questo modo il latte viene aggiunto amano a mano nella caldèra di rame e perde meno di "caloria". A fianco il fuoco del focolare, utilizzato per cucinare dallo zio, è lì pronto per scaldare la caldéra quando la mungitura sarà finita e bisogna riportare su la temperatura. Lino mi comferna che anche questo parametro varia di almeno 2 °C in funzione della qualità della pastura. Il cascìn fa bene a usare la moto. Fanno malissimo i trialisti che ho incontrato salendo qui a Parissola e anche il giorno prima salendo alla Bocchetta di trona. Ma non voglio ripetermi troppo.


Mentre il cascìn porta le capre al pascolo gli altri pastori danno l'erba alla malga delle mucche. Oggi è facile, basta spostare i picchetti di plastica che reggono i fili elettrificati. Di buona lena le mucche attaccano a mangiare la cèna (area di pascolo serale). 


Giornata successiva. Tre alpeggi, tutti raggiunti in macchina ma su piste non proprio rilassanti. Si inizia con Pescegallo foppe. Alla baita alta assistiamo alla lavorazione della ricotta da parte dell'aiuto casaro. Poi scendiamo con il casaro capo, Michele Lombella alla casera. La casera di Pescegallo Foppe è una delle più belle perché conserva una mascherpéra come si deve. Sotto una foto "storica" di quando era casaro Giuseppe Giovannoni. La mascherpéra era piena di maschèrpe belle stagionate, belle fiorite, con la piuma. Oggi la stessa foto è impossibile perché ci sono quattro maschèrpe in croce.


Non sono passati che quattro anni ma tutti i casari mi hanno ripetuto lo stesso ritornello: "Ce le bruciano via fresche, perché rischiare e fare fatica a curarle se te le portano via?". È il mercato che detta le sue condizioni. Ma dietro il "mercato" c'è la corruzione del gusto. La maschèrpa piace fresca perché da qualcosa di più di una Vallelata ma non inquieta con quelle muffe colorate il consumatore. Così, però si perde quasi tutta l'originalità della maschèrpa che diventa irresistibile quando, a patto che sia salata poco, si fa compatta, presenta note sensoriali che definire intriganti non è frase fatta. Chi la conosce lo sa. Fantastica dopo un mese o due poi è perfetta da scagliare su vari tipi di piatti (verdure cotte, pesce d'acqua dolce ecc.). Che tristezza le mascherpére vuote! Combattute dall' ASL (che le ha devastate segmentandole in locali senza adeguata circolazione d'aria e che coperture in lamiera) e adesso massacrate da un mercato che si calibra i gusti su Philadelphia, Vallelata e roba simile. Sarà possibile una riscossa?


Cosa direbbe un casaro storico come Plinio Curtoni classe 1925 il cui nome è inciso qui sulla porta della casera di Pescegallo Foppe?


Michele è impegnato nella salagione a secco, il locale è ampio e ne approfitto per immortalare la scena di Keiko e Maika che fotografano il giovane casaro.


Anche queste foto ricordano quelle scattate a Giovannoni mentre esegue la stessa operazione. E chissà quanti sono i casari passati da qui. Qualcosa passa qualcosa resta.


Da Pescegallo Foppe, non prima di esserci rifocillati alla "base" ovvero al Centro del Bitto, ci siamo trasferiti a Bomino soliva (caricatore Samuele Martinoli, casara la moglie Donatella Aguadri, la figlia Serena, il pastore Paolo). Lì abbiamo atteso la mungitura e poi l'avvio della lavorazione. Il caldo era intenso. Abbiamo lasciato Bomino alle 19. La lunga sosta a Bomino mi ha consentito di fare un po' di foto montate con la colonna sonora originale della malga del Bomino. Il risultato è un breve video.


Non me la sentivo di "fare" un altro alpe ma Keiko e Maika hanno insistito. Procedendo a velocità sostenuta siamo tornati a Gerola alta, abbiano risalito la strada di Castello e Laveggiolo per entrare in Val Vedrano. La corsa sarebbe stata inutile se non avessi saputo (me l'hanno detto al Rifugio Trona Soliva due giorni prima) che il casaro di Vedrano, Angelo Acquistapace la mattina avrebbe fatto il cambio dalla "cima" (Colombana, molto alta e senza strada) alle baite del Piazzo a 1.900 sulla strada per il Rifugio. Avendo fatto il trasloco era logico aspettarsi un ritardo nella mungitura e così è stato. Siamo arrivati dopo le 20 ma non si era iniziato a lavorare il latte. Siamo venuti via alle 21. Ormai buio.
Oggi Keiko mi ha inviato le foto. Il risultato è decisamente all'altezza delle aspettative. per ora non voglio e posso dire altro. La fatica spesa, l'impegno di Paolo, di Gino soprattutto e anche mio è valso la pena. I Paladini del Bitto storico vanno avanti.

domenica 19 agosto 2012

Nel Santuario del Bitto storico

Una visita nel Santuario del Bitto storico non lascia indifferenti alla suggestione di un sito che racconta molte storie, che parla di valori, di passione, di sfide. Anche coloro che sono meno inclini ad accostare cose "profane" a dimensioni elevate si rendono conto di essere in un santuario.

Ferragosto col Bitto storico


 Ferragosto con il Bitto storico


Video realizzato il 18 agosto 2012 all'Alpe Bomino Vaga, una delle 12 dove si produce Bitto storico. Un omaggio al lavoro di chi domenica o giorno feriale, ferragosto o no deve come sempre mungere, dare l'erba alle mucche, cagiare ecc. 

domenica 29 luglio 2012

Quando la montagna non valorizza sè stessa


(28.07.12) Quello che succede a Gerola alta è emblematico. C'è il Centro del Bitto storico, il formaggio più prezioso al mondo. Ma l'amministrazione si guarda bene dal mettere un solo cartello che informi il turista

Quando la montagna

non valorizza sè stessa



Confrontare la Val Grana con la Val Gerola (Valle del Bitto di Gerola) è deprimente. In Val Grana il turista è bombardato da informazioni e sollecitazioni sul formaggio Castelmagno. A Gerola Alta il Bitto storico è "invisibile" (se non fosse che il Centro del Bitto storico è in centro al paese). Un esempio illuminante di come la montagna sappia farsi male da sola


Chi arriva a Gerola alta può pensare di aver sbagliato paese. Di essersi confuso, di aver sbagliato strada. Non è questo il "cuore" della terra del Bitto storico? Possibile che amministrazione e cittadini non vogliano comunicare, esibire questa loro gloria? Solo gli iniziati possono cogliere un riferimento al Bitto storico nel cartello di benvenuto. Sotto lo stemma del comune c'è il logo dell'Ecomuseo: un calecc stilizzato sullo sfondo delle montagne che chiudono la valle (il calecc è la capanna casearia in muretto a secco sormontato da una tenda dove tutt'oggi in diversi alpeggi del Bitto storico si lavora il latte). Ma il riferimento all'Ecomuseo mette ancor di più in evidenza l'ingratitudine di Gerola o quantomeno dell'amministrazione per il Bitto storico. Senza questa grande risorsa, senza la casera di stagionatura del Bitto storico ("il Santuario del Bitto") forse l'Ecomuseo non sarebbe stato riconosciuto considerata la "concorrenza" del comune limitrofo (Albaredo) forte di notevoli entrature politiche.  E cosa dire della "Sagra del Bitto" che potrebbe caratterizzarsi meglio e rilanciarsi con nuovi contenuti chiamandosi "Sagra del Bitto storico". Che senso ha parlare di Bitto generico a Gerola alta, cuore della civiltà del Bitto storico? È autolesionismo (a meno che sotto non ci siano considerazioni di opportunità politica che spingono all' "autotradimento").

A segnalare della produzione del Bitto "generico" (quello che si fa in tutta la provincia, anche senza latte di capra, con i mangimi e i fermenti selezionati) sono degli squallidi cartelloni stradali collocati nel fondovalle della bassa Valtellina e della Valchiavenna in mezzo ai campi di mais ceroso e alle stalle di Frisone. Anche il Bitto "generico" si fa comunque solo in alpeggio, in estate, e la collocazione di questi cartelli - che confondono le idee al turista-consumatore - la dice lunga della sensibilità dei "caporioni" dei grossi caseifici della provincia. Per loro il Bitto è solo un prodotto da giocare come richiamo strumentale per smerciare le altre produzioni di massa. La loro logica è aziendalista. Di valorizzare il territorio, il turismo sostenibile, non frega nulla. Del resto la politica locale (strettamente legata agli interessi economici forti) ha sposato l'idea di un agroalimentare industrializzato (carne di zebù congelata per la bresaola, grano duro canadese per i pizzoccheri, latte "di fuori" per i formaggi). La "tipicità valtellinese" usa l'immagine della montagna e i richiami folkloristici alla "tradizione" solo come specchietto per le allodole. Così va bene alla politica e ai circoli imprenditoriali. E così va bene alla Regione che - disinteressandosi della montagna -  burocraticamente certifica le scelte della nomenklatura locale.
Le contraddizioni e i conflitti ci sono anche in Val Grana ma....
Gli stessi conflitti li troviamo anche in Val Grana ma qui il Castelmagno ha comunque creato una filiera, un valore aggiunto territoriale. Anche in Val Grana la Dop sta stretta e si parla di Castelmagno "nostrale" (foto sotto) e dei "produttori storici" (viene così reclamizzato quello della stagionatura "La Poiana" di Pradleves. 

Però non è solo la Coop ad aver avviato una produzione su larga scala. Vi sono anche altre aziende della filiera che sono venute da fuori (persino da Roma e da Milano) per investire nell' (ex) re dei formaggi che aveva raggiunto quotazioni notevoli (si pagava 60 mila lirette al kg) ed era diventato oggetto di falsificazioni. Così si è puntato alla quantità sino a cadere in grossi infortuni (sequesti di partite avariate) che hanno molto compromesso l'immagine. Chi insiste in questa politica è convinto che ci vorrà del tempo prima che all'estero si accorgano che al nome glorioso non corrisponde più una qualità all'altezza della reputazione.

Sono state costruite grosse stalle come quella della foto sotto condotta da un imprenditore zootecnico della pianura che ha sdoppiato l'attività. La stalla che vediamo è in comune di Monterosso Grana al limite del "confine" della Dop. Nonostante qui ci siano un po' di prati i foraggi non bastano di certo. la grande produzione di Castelmagno è possibile perché il disciplinare per "assicurare un legame con il territorio" (sic) impone di raggiungere il 10% (dieci per cento) di autosufficienza foraggera. La gente poi dice che ogni tanto si vedono cisterne di latte sospette ma queste sono le "voci" che si riscontrano anche in altre zonde di produzione di formaggi Dop.

Nonostante le evidenti ombre (che riguardano alimentazione e qualità del prodotto) la filiera "tira" e si autosostiene. In ogni trattoria e pizzeria ti offrono gli gnocchi al Castelmagno (le osterie più qualificate anche diversi altri piatti a base del formaggio-simbolo). Così non è possibile visitare la Val Grana senza aver mangiato gli gnocchi al Castelmagno. Persino i piccoli alberghi e le locande (foto sotto) sono "marchiate" Castelmagno. Ci vuole poco a capire che tutto ciò garantisce un ritorno reciproco, rafforza l'immagine del prodotto e dell'offerta turistica


A Gerola niente di tutto questo. Per trovare una "osteria del Bitto storico" bisogna recarsi all'Osteria del Crotto di Morbegno (la città a valle dove il torrente Bitto sfocia nell'Adda). Trattasi di una Osteria del circuito Slow Food e capofila del circuito Slow Cooking. Lavorare nella prospettiva della filiera implica un minimo d impegno, di collaborazione. Quando si è bloccati dalle piccole rivalità e gelosia che subentrano nelle piccole comunità in crisi demografica anche piccoli passi in direzione reciproca sono difficili. Tutti i locali, i rifugi, le trattorie della valle del Bitto dovrebbero offrire almeno un piatto con il Bitto storico e poterlo proporre in degustazione (con un minimo di stagionature in crescendo). In Val Grana lo fanno anche le pizzerie. Alla fine c'è un ritorno per tutti. C'è un plus di credibilità, di prestigio che circola tra tutti. Il prodotto offerto a ogni angolo è più credibile ma anche l'offerta turistica. la Val Gerola può diventare la meta di un pellegrinaggio mondiale del gusto. Bisogna fare tutti qualcosa, però. 


Intanto pare opportuno segnalare quanto si fa in Val Grana. Forse può sembrare eccessivo ma bisogna mettersi dalla parte del turista. Abituato al bombardamento quotidiano di informazioni (comprese quelle commerciali) rischia di non notare per nulla anche cose importanti se non viene a contatto in modo ripetuto, coerente con un messaggio.
Al Bitto storico non ci vuole molto a dimostrare che il vero re è lui (basta guardare i prezzi) ma non è in gioco un titolo olimpico. Si chiamino pure "re" anche altri formaggi di eccellenza. Alla fine i prodotti storici sono molto diversi e una classifica non ha senso. A nessuno si nega l'orgoglio per le proprie tradizioni, anzi.

Mentre il Bitto "generico" (gestito da soggetti che non hanno interesse specifico e tantomeno passione) non ha neppure una "strada del Bitto" Il Bitto storico è andato oltre e ha creato i "percorsi dei principi delle Orobie", itinerari a piedi attraverso le Orobie (in provovincia di Lecco, Bergamo e Sondrio) che ricalcano le antiche direttrici commerciali del Bitto (verso Branzi ma anche Cusio, Ornica, Mezzoldo in Val Brembana, verso la Val Varrone e Varenna nel lecchese).

 
In Val Grana fanno molto per il Castelmagno. In Val Gerola dovrebbero prendere esempio. E non si tratta solo di iniziative costose. Spesso conta il fatto di "tenerci" e di far vedere che si tiene ad un prodotto locale.