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lunedì 25 luglio 2016

Il grande amico dei ribelli del bitto


Il rapporto tra Piero Sardo e il Bitto ribelle (si è chiamato Bitto Valli del Bitto tra il 2003 e il 2009 e Bitto storico tra il 2010 e il 2016) data al 2005. In realtà Slow food, intuendo che dietro quel gruppo di ostinati difensori della tradizione c'erano i valori che la chiocciola stava iniziando a difendere in modo organico, si era avvicinata a Ciapparelli & C sin dal 2001. Fu Giacomo Moioli, lecchese ed allora esponente di spicco della chiocciola (vice di Petrini)  a stringere i primi contatti con i ribelli.

Il presidio nacque nel 2003 quando, dalle parti del Consorzio ufficiale e delle altre organizzazioni legate all'agroindustria casearia , si chiedeva ormai apertamente di poter produrre bitto dop con i mangimi e i fermenti in bustina. La minaccia era evidente. Era la fine del bitto autentico. Bisognava correre ai ripari. Entrò in scena Piero Sardo, personaggio autorevole di Slow food, ma anche figlio di formaggiai, e quindi uno dei pochi  dentro la chiocciola che - in mezzo a tanti esperti di comunicazione - capisse  di formaggio.   Sardo interviene in una fase drammatica per i produttori storici, quando devono decidere se uscire dal Consorzio ufficiale e dalla dop. Nascono allora i ribelli del bitto. E se sono sopravvissuti sino ad oggi, non schiacciati dall'impari rapporto di forze e di risorse tra loro e il loro nemici , si deve non solo alla loro tenacia e al loro coraggio, ma anche a Piero Sardo.

Slow Food ha costruito con i ribelli un rapporto largamente basato sul ruolo di garante di Piero Sardo. Egli, rischiando in proprio, intuì che bisognava dare credito al coriaceo condottiero degli allora sedici casari ribelli. Ha difeso Ciapparelli e i suoi in innumerevoli circostanze, anche quando all'interno di Slow food qualcuno storceva il naso preferendo Presidi più "tranquilli" (e finanziati dalle istituzioni).
Dipinti come dei talebani, inaffidabili, rissosi, volubili i ribelli e il loro capo-clan, che evocava i miti celtici,  potevano apparire ‘un po’ troppo’ anche per Slow Food. Di certo Ciapparelli non era e non è un personaggio politically correct.  Nel concedergli piena fiducia Piero Sardo ha dovuto basarsi molto sul proprio intuito, sui segnali che raccontavano di persone sincere e di una causa sacrosanta, in grado di riassumere in sé tutte le ragioni di una ribellione non solo contro il sistema distorto delle Dop ma anche contro modelli economici, politici, culturali che hanno imposto all'agricoltura, alla montagna le logiche dell'agroindustria, della standardizzazione produttiva, dei numeri e delle organizzazioni controllate dall'alto.

 Non era facile trattare con Ciapparelli, ai tempi personaggio più ostico di oggi (nel tempo alla fermezza ha saputo coniugare l'ironia). Dieci anni fa il "venditore di piastrelle" (come rimarrà sempre per i suoi nemici) di sostenitori ne aveva ancora pochi ed era costretto a tenere sempre il coltello tra i denti per non cadere nelle insidie di un avversario tanto più forte. Va dato atto a Sardo di aver saputo guardare oltre i condizionamenti culturali che avrebbero forse indotto un po’ più di diffidenza per un polemico leghista valtellinese (poi la Lega passò dai proclami pro tradizione e identità alla realpolitik  e Ciapparelli si concentrò sulla sua battaglia dimenticandosi dei partiti). 

In ogni circostanza,  in undici  anni fatti di rotture e di "tavoli", di insidie, di minacce, Sardo ha  tenuto fermo questo criterio: “quello che decidono i produttori nella loro autonomia va bene anche per Slow Food”.  Un criterio che Slow food (a volte con un po' riluttanza da parte di qualche "colonnello")  ha accettato. Grazie a questa figura di "commissario straordinario per gli affari del bitto" si è potuta stabilire una linea rossa diretta tra i produttori storici e Bra, che ha consentito decisioni rapide ed efficaci nei momenti critici.  Solo così il bitto ribelle ce l'ha fatta.

Sardo è stato sempre a fianco dei produttori ribelli e la sua presenza ha sventato non poche minacce. Tra il 2007 e il 2009 vi fu un periodo di ambigue "trattative" (come nel 2014) cui Sardo partecipò sostenendo con decisione la causa dei ribelli. Nella primavera del 2008, finita la "tregua" per il Centenario della Mostra di Morbegno, le timide aperture che avevano coinvolto un sottosegretario all'agricoltura a Roma e un direttore generale della Regione Lombardia, furono dimenticate. Si tornava a chiedere la resa senza condizioni: il rientro nel Consorzio ufficiale dei ribelli. Sardo dichiarò:

La situazione del Bitto è la più critica tra tutte quelle della Dop, prima di tutto perché la trattativa non si è mai realmente sviluppata a seguito degli incontri in Ministero. Per questo in assenza di un riconoscimento della sottodenominazione e della creazione di due disciplinari distinti, procederemo al ricorso all’Unione Europea. (La Provincia di Sondrio, 8 marzo 2008).


Intanto in regione cambiò anche l'assessore. Il nuovo, Ferrazzi, dichiarò di essere deciso a risolvere il problema del bitto e aprì un tavolo. La bozza partorita dalla burocrazia regionale  denominata “Valorizzazione della Produzione del formaggio Bitto e della zootecnia di montagna” prevedeva, di fatto, lo scioglimento dell’Associazione dei ribelli e l’adesione dei singoli soci al C.t.c.b ,da cui erano polemicamente usciti nel 2005.  Su questa base la regione era disponibile a valorizzare oltre al Bitto dop ‘generico’ anche quello del Presidio Slow Food “attraverso specifiche attività di promozione e comunicazione” ma anche “attività di ricerca e formazione”. In cambio l’Associazione (e il C.t.c.b.) si dovevano impegnare a cessare ogni contenzioso : “in particolare di natura giurisdizionale nonché sotto il profilo della comunicazione, e si impegnano sulla base comune disciplinata dalla normativa comunitaria a sviluppare anche attraverso azioni sinergiche e, in ogni caso, non contrastanti e denigratorie, l’obiettivo di valorizzare l’insieme delle Produzioni del formaggio Bitto”. Sono le stesse cose che si sentono anche oggi: una strategia di inganno che va avanti dall'inizio della guerra del bitto. La Regione , il Consorzio e tutto l'ambiente agroindustriale valtellinese temevano il minacciato esposto alla UE dei ribelli e di Slow food. Ma temevano anche la campagna (allora con mezzi più limitati di oggi) di informazione ai consumatori e ai cittadini.

Quel "tavolo" del 2008 era però più pericoloso di quanto potesse apparire perché la Regione lasciava trasparire che avrebbe sostenuto generosamente i presidi Slow food se la Chiocciola avesse mollato al suo destino Ciapparelli.  Nella primavera del 2009, di fronte alla inconcludenza del fantomatico ‘tavolo’ aperto in regione - Piero Sardo che non aveva voluto neppure sentir parlare di "patti scellerati"  a danno del bitto ribelle - in qualità di rappresentante della Fondazione Slow Food per la biodiversità, inoltrava,  insieme a Paolo Ciapparelli, inoltrava  una memoria  alla Commissione Europea in merito alla modifica del disciplinare di produzione del bitto dop. La Commissione insabbiò tutto dichiarandosi incompetente.

Nell'autunno 2009 arrivarono le famose sanzioni della "Repressione frodi" , invocate dall'assessore provinciale De Stefani . Nel 2010 Slow food concesse al neonato bitto storico l'uso del marchio della chiocciola quale "scudo". Il resto è storia recente. Ma anche tutti i difficili passaggi sostenuti dai ribelli dal 2010 ad oggi sono stati seguiti con attenzione da Sardo che, poche settimane fa, era a Gerola (foto sotto).

In tanti anni una sola volta si è creata un'incomprensione con Sardo: al Salone del gusto del 2012 quando qualcuno di Slow food pensò di accettare il dixtat della regione Lombardia che non gradiva la presenza del Bitto storico  troppo vicino allo stand istituzionale.  A Ciapparelli era stato chiesto il consenso a sloggiare da dove era previsto lo stand del Presidio ed egli per non "creare problemi" accettò. Ma la notizia trapelò e finì in grande evidenza su la Provincia di Sondrio e l'Eco di Bergamo. Sardo ne fu amareggiato perché si presentava la cosa come un tradimento da parte di Slow food.  Sardo si sentì messo in mezzo, pur non essendo stato lui a ricevere la proposta "scandalosa" della Regione. Tanto era solida e sincera l'amicizia tra Sardo e i ribelli, tra Sardo e Ciapparelli che l'episodio fu presto archiviato. 

Sardo è persona che agli ideologismi antepone una sincera umanità (da non confondere con il buonismo), che non ama la visibilità, ma che opera con un'autorevolezza che gli viene dalla coerenza e dal credere realmente nei valori proclamati. Incontrare sulla propria strada un personaggio così è stata per i ribelli una delle fortune più grandi. Grazie Piero per quello (tanto) che hai fatto e che farai per la causa del bitto buono pulito e giusto.



1 commento:

  1. Mi sto leggendo tutto ciò che riguarda lo storico ribelle, e anche la biografia politica di Corti. Mi sono anche commosso (non sulla biografia politica di Corti, che anzi...). Avevo comperato un pezzo di bitto di 6 anni nello stand del Bitto storico ribelle a Formaggi in piazza, in autunno a Sondrio, e mi ero portato via un depliant. Il venditore che se ne stava dietro il banco mi sembrava (potenza suggestiva del marchio) piuttosto fiero e bellicoso, in realtà si rivelò poi molto pacifico e addirittura mite, mi accennò alla necessità del cambiamento del nome per evitare cause legali. Ieri al ristorante La Brace ho mangiato lasagnette allo storico ribelle e bresaola. Mi chiedevo perché non comparisse il nome Bitto e ho pensato che si trattasse delle questioni legali. Ora ho capito tutto. Da quando ho cominciato a frequentare la Valgrosina sono anche innamorato della Razza Bruna (proprio in Valgrosina insidiata addirittura dalle povere e patetiche frisone), di cui avevo appreso le vicende leggendo il sito svizzero della razza. Ora vedo anche che tutto si tiene: Bitto vero, Razza Bruna e Capra Orobica (manca solo una battaglia contro le devastanti piste di Mountain bike). Nei prossimi giorni penso di fare un salto a Gerola.

    P.S. Però sono anche un difensore dei rododendri.

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